Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Ventimila domande per il ReI in Lombardia: le sfide per gli assistenti sociali

Sono 19.989 le richieste presentate in Lombardia per il Reddito di Inclusione solo dal 1° dicembre al 7 febbraio, 1.628 i progetti di vita per la legge 112. ReI e "dopo di noi", le misure più innovative del welfare nazionale, fanno leva su un progetto individuale, mettendo al centro la professionalità degli assistenti sociali. In 600 hanno partecipato a una giornata di formazione per attuare al meglio le nuove misure

di Sara De Carli

Un «progetto personalizzato di attivazione inclusione sociale e lavorativa» nel decreto legislativo 147/2017 e un «progetto individuale» preceduto da una «valutazione multidimensionale» nella legge 112/2016: il Reddito di Inclusione che ha debuttato il 1° gennaio 2018 e i progetti per il “dopo di noi” che stanno in questi mesi avviando la loro operatività (proprio la Lombardia è la prima regione ad aver concluso l'esame delle richieste pervenute, ovvero 1.628 progetti di vita), puntano forte sul progetto personalizzato. Detta in altri termini, significa che le due misure nazionali di welfare più recenti e più innovative individuano nell’assistente sociale il professionista centrale per attuare il cambio di paradigma di un welfare che vuole superare la logica del “bisogno” in favore dei diritti delle persone. Non è un caso che la politica abbia cominciato a parlare di “infrastruttura sociale”, un concetto relativamente nuovo, riconoscendo la necessità di potenziare anche in termini di risorse economiche e professionali i servizi sociali quali infrastruttura del Paese, al pari delle strade, delle ferrovie, delle scuole: il ReI d’altronde è il primo livello essenziale dei servizi nella storia del welfare italiano.

Seicento assistenti sociali della Lombardia martedì 13 dicembre si sono riuniti a Milano per un’intera giornata di formazione, ragionando attorno a queste due nuove misure, alla loro attuazione, alle sfide alla professione che esse pongono e anche alla nuova identità professionale che vanno a definire. Il Convegno “Le politiche a sostegno dei diritti e contro la povertà” è stato organizzato dal Consiglio Regionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia (CROAS), che conta circa 5.200 iscritti: «L’obiettivo era trasmettere agli iscritti l’impegno dell’Ordine su queste due misure e aprire il confronto con gli altri attori, poiché l’attuazione di queste misure richiede corresponsabilità e attivazione di reti, un’azione non come monadi ma come soggetti che fanno parte di un contesto», spiega la presidente Mirella Silvani. Un consiglio in carica da circa sei mesi, che vuole lavorare molto sull’apertura e sull’avvio di collaborazioni forti con altri soggetti del territorio. Il Convegno si è articolato su tre momenti, corrispondenti a tre livelli: un livello politico, «con cui è indispensabile raccordarsi», uno organizzativo e metodologico, «perché tanti colleghi hanno ruoli di responsabilità» e uno operativo, di rapporto diretto con le persone, «che richiede però un aggiornamento costante e un riferimento forte a elementi teorici e metodologici che la prassi operativa a volte ci fa dimenticare», afferma Silvani. Tre livelli affrontati con interlocutori diversi, proprio nell’ottica dell’apertura e per non assumere il proprio punto di vista come punto di vista assoluto.

I lavori si sono aperti con la provocazione lanciata da Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine Nazionale degli Assistenti sociali, che ha invitato i colleghi a mettere in discussione modelli e linguaggi: «non parliamo più di utenti e di presa in carico ma di persone e di progetti di inclusione, opportunità. Dobbiamo ragionare in modo innovativo e proporre nei nostri servizi cose innovative». L’onorevole Elena Carnevali ha presentato i tratti peculiari della legge 112/2016, ovvero l’autodeterminazione della persona, la cultura dell’empowerment e il passaggio dalla prestazione alla progettazione sociale. L’onorevole Ileana Piazzoni ha ripercorso le novità del ReI, sottolineando il necessario cambio di passo sul lavoro di rete, che non può però essere affidato solo agli assistenti sociali – «il problema è che spesso non ci sono dirigenti dedicati ai servizi sociali, la gestione associata è la strada da seguire ma non la si può imporre» – e ricordando come l’inclusione attiva non sia solo lavorativa. Presente il Comune di Milano con l’assessore Pierfrancesco Majorino: «il ReI e il Dopo di noi sono opportunità ma queste misure non devono essere contraddette da scelte diverse su capitolo affini sui temi sociali, né è possibile che il servizio sociale professionale sia strategico a singhiozzo», ha detto. Sul fronte della Regione – assente a livello di assessorati – il consigliere Carlo Borghetti ha criticato come dato di contesto l’assenza di un piano sociosanitario, scaduto da tre anni, l’accentramento sulla sanità del welfare lombardo nonostante la riforma recente e il fatto che la percentuale per il sociale e il sociosanitario che in Lombardia si ferma al 10% della spesa complessiva di 18 miliardi per i servizi alla persona.

Cristiano Gori, Silvia Fargion, Valentina Ghetti e Paola Gilardoni sono stati i protagonisti della seconda parte della mattinata, con relazioni ricche di spunti. Riportiamo qui un concetto per ciascuno, per non essere didascalici. Cristiano Gori, ideatore dell’Alleanza contro la Povertà, ha ricordato alla platea che la centralità del ruolo dell’assistente sociale non è stata affatto scontata nell’interlocuzione politica che ha portato alla costruzione del ReI, dal momento che c’era chi sosteneva approcci diversi per la misura contro la povertà, sulla linea della social card o imperniando tutto sui centri per l’impiego. Gori ha quindi invitato gli assistenti sociali ad «uscire» a cercare le persone in povertà assoluta, anche quelle che non arrivano ai servizi, proprio perché per la prima volta c’è una misura «che è livello essenziale»: la legge «crea le condizioni, ma l’attuazione si fa nei territori». La professoressa Silvia Fargion ha messo l’accento sulla dimensione metodologica, mettendo in guardia contro il rischio che il ruolo centrale dell’assistente sociale – anche rispetto alla condizionalità del progetto per avere il contributo economico – si trasformi in un “controllo”: «il patto diventa opportunità se c’è comprensione di cosa sia la povertà, se si trovano spazi relazionali, se c’è promozione di reti sul territorio». Valentina Ghetti, ricercatrice di IRS, ha affrontato il tema della integrazione fra politiche regionali e nazionali su povertà e disabilità: la Lombardia ha lasciato sostanzialmente la povertà al livello nazionale, concentrandosi sulla vulnerabilità mentre sulla disabilità ha puntato su un incremento di posti nei servizi tradizionali. La maggiore criticità lombarda è data dalla frammentazione delle misure, con target raggiunti sotto le attese e il rischio che ci si concentri più sul governo delle misure che sul governo del progetto. Infine Paola Gilardoni, segretario della CISL Lombardia ha presentato i dati regionali del monitoraggio del SIA, la misura “ponte” che ha preceduto il ReI, anch’essa caratterizzata da un contributo economico e da un progetto personalizzato di attivazione: il 42% degli ambiti non aveva una équipe multidisciplinare, meno del 50% degli ambiti a tre mesi dal progetto lo aveva attuato, 43 ambiti su 91 non hanno risposto alla domanda se esistevano accordi con altri servizi… «La fatica con cui il Sia e il ReI stanno partendo in Lombardia ci dicono quale sia la portata della sfida. Stiamo lavorando per la costruzione in Lombardia di un soggetto regionale dell’Alleanza contro la povertà, alla Regione chiediamo di stanziare risorse aggiuntive rispetto a quelle nazionali e un raccordo fra il ReI e la nuova programmazione sociale triennale 2018/2020». Giuliano Quattrone, dirigente regionale INPS, ha portato i primi dati relativi al ReI in Lombardia: 19.989 richieste presentate, dal 1° dicembre al 7 febbraio.

Il pomeriggio è stato dedicato al racconto di alcune esperienze di attivazioni di reti locali: il progetto "Varcare la soglia" di Fondazione L'Albero della Vita, che opera sulla povertà delle famiglie con figli minori; il progetto L’INC – laboratorio di inclusione sociale che in quattro comuni a nord di Milano sta sperimentando il budget di salute; l’esperienza sul territorio di Lucia Bassoli, responsabile dell’Ufficio di Piano della Comunità montana della Val Brembana e di Treviglio; la co-costruzione delle risposte in ottica di welfare community della cooperativa sociale La Vela di Brescia.

«Il bilancio della giornata è positivo, per partecipazione dei colleghi e per i contenuti. Siamo riusciti a portare l’attenzione non solo sulla dimensione attuativa ma anche a dare elementi metodologici e di pensiero», commenta Silvani. Per quanto riguarda il territorio della Lombardia, il Convegno è stata l’occasione per rafforzare o avviare contatti con altri soggetti: «il monitoraggio fatto sul SIA continuerà anche sul ReI e noi ci saremo; avvieremo dei gruppi di lavoro tematici a cui invitiamo i colleghi dal momento che l’articolazione del nostro lavoro è su più livelli e ambiti, in particolare un gruppo sugli enti locali e il ReI, che partirà già a marzo; vorremmo far emergere e far conoscere le esperienze dei colleghi impegnati sui territori in tanti progetti innovativi, imparando anche a raccontare meglio il nostro lavoro e la nostra professione, un’occasione per farlo è il Premio IRS – CNOAS – PSS, “Costruiamo il welfare dei Diritti sul territorio”. E naturalmente dal 4 marzo ci sarà la grossa sfida di aprire un’interlocuzione con il livello politico».

Photo by Warren Wong on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA