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Cooperazione & Relazioni internazionali

Putin: soldi e visibilità al volontariato, purché non disturbi il governo

Il presidente della Federazione Russa ha proclamato il 2018 come anno dei volontari, mentre sta per essere approvata una nuova legge che favorisce chi si occupa di assistenza e penalizza di fatto l’attivismo su diritti umani e ambiente. E chi prende finanziamenti dall’estero è classificato come “agente straniero”

di Nicolò Triacca

Se in Europa il terzo settore e il volontariato possono contare su una storia più o meno lunga e radicata di leggi, pratiche e infrastrutture, la situazione è diversa per quei paesi in cui, per ragioni storiche e culturali, la società civile non ha potuto svilupparsi liberamente. Per questa ragione all’estero la recente riforma del terzo settore e il ventennale sistema italiano dei centri servizio per il volontariato suscitano grande interesse.

Lo scorso marzo 2018 CSVnet è stato invitato ad intervenire in qualità di ospite straniero alla sessione sul volontariato all’interno del Labour Forum di San Pietroburgo. L’incontro, sotto la direzione di Nikolay Skvortsov, preside della facoltà di Sociologia, ha coinvolto anche funzionari pubblici, esponenti di Ong locali e professori universitari.

In Russia negli ultimi tempi il volontariato ha assunto sempre più importanza sia nella vita dei cittadini che nei discorsi politici. A dicembre 2017 Vladimir Putin, invitato a premiare il volontario dell’anno, ha dichiarato che il 2018 in Russia sarebbe stato l’anno del volontariato. La proclamazione è arrivata a seguito di una serie di riforme adottate dal governo per regolamentare il terzo settore russo. Il mondo delle organizzazioni della società civile in Russia è ancora in fase di sviluppo: fortemente osteggiate in epoca sovietica, le prime associazioni sono nate all’inizio degli anni novanta grazie anche a un forte impulso proveniente dall’occidente. Dopo il crollo dell’Urss, la grande crisi economica vissuta dal paese ha aggravato le condizioni di vita e mentre è venuto meno il supporto dello stato, si sono generate dinamiche di solidarietà e di autorganizzazione tra la popolazione. Tra i primi enti a fornire risposte concrete contro la povertà grazie al volontariato a San Pietroburgo vi è la Nievsky Angel di Vladimir Lukianov che si occupa di assistere gli ultimi da più di 25 anni e che fa del volontariato una delle sue maggiori risorse.

Da allora il terzo settore ha continuato a crescere. Secondo il ministero della Giustizia russo le organizzazioni registrate nell’ottobre del 2016 erano 227 mila, il 27% situate a Mosca e San Pietroburgo. La maggior parte si focalizza sui servizi sociali, come l’aiuto alle persone disabili, la lotta all’abbandono di minori e il lavoro in orfanotrofi.

Recentemente, però, a causa di una serie di riforme messe in atto dal governo il numero delle organizzazioni che si occupano di ambiente e diritti umani è drasticamente sceso, così come la fiducia della popolazione nella società civile è diminuita di 20 punti percentuali tra il 2011 e il 2015 (fonte Hse Monitoring of the state of civil society).

Si sta infatti verificando una vera e propria strumentalizzazione del terzo settore a fini governativi. Il terzo settore russo è in costante revisione e aggiornamento; la legge 7 del dicembre 1995, riferimento per la giurisprudenza delle organizzazioni della società civile, ha già ricevuto 74 emendamenti, la maggior parte dei quali negli ultimi anni. A seguito delle rivolte del 2011 e 2012 in Russia, dove le organizzazioni delle società civile hanno giocato un ruolo determinante, il governo russo ha avviato un’attività legislativa volta a regolare la presenza delle Ong e “l’ingerenza straniera”. Il cosiddetto fenomeno del “closing space for civil society”, ovvero la tendenza in determinati paesi a restringere lo spazio di azione in termini di raccolta fondi e di collaborazioni con altri enti soprattutto stranieri, si è ulteriormente aggravato a seguito dalla rivoluzione ucraina dove nel 2014, in un contesto culturale e politico molto simile a quello russo, l'azione della società civile è stata tra le cause del cambio alla guida del paese.

Un esempio del “closing space” in Russia è rappresentato dalla cosiddetta legge sugli agenti stranieri: in vigore dal 2012, la legge istituisce un registro delle organizzazioni che, poiché ricevono denaro da altri stati e fanno “attività politica”, sono ritenute indesiderate e per questo sono soggette a un regime più restrittivo con ammende e controlli ogni 3 mesi. Inoltre queste organizzazioni sono obbligate a riportare il marchio di “agente straniero” nelle proprie comunicazioni, con un chiaro danno alla loro immagine pubblica in quanto tale definizione nella percezione comune è assimilabile a quella di spia.

«In prima battuta sono iniziati i controlli sulle organizzazioni che si occupano di tematiche Lgbtq», racconta Anna Skvortsova, direttrice della Ong Development Center di San Pietroburgo e board member della rete internazionale EU-Russia Civil Society Forum, «poi sono passati a chi si occupa di diritti umani e ambiente, mentre ora sono arrivati anche ai centri di ricerca e di studio. Basta veramente poco per essere iscritti come agenti stranieri. Non viene fatta alcuna differenza tra attività di policy e attività politica». Nonostante la sua organizzazione sia finita nella maglie della legge Anna ha deciso di non rinunciare alla propria attività e di continuare con resilienza fino a quando le sarà possibile.

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Nel momento in cui un’organizzazione viene iscritta nel registro, le sue possibilità di sopravvivenza vengono messe a dura prova. Dal 2012, sono 158 le organizzazioni iscritte nella lista, alcune hanno deciso di rinunciare a finanziamenti stranieri e molte hanno chiuso. Nel marzo 2018 sono 79 le organizzazione iscritte, secondo Human rights watch.

Lo spazio per le organizzazioni che si occupano di diritti e di cittadinanza attiva si restringe sempre più non solo in termini giuridici, ma anche spaziali. Si pensi che a San Pietroburgo è possibile manifestare legalmente solo in pochi spazi definiti dal comune, difficilmente raggiungibili e collocati lontani dal centro. Dall’altro lato, però, un grande interesse mediatico viene assegnato a volontariato come servizio verso il prossimo o di coinvolgimento in grandi eventi, dalle Olimpiadi invernali di Soči allo stesso Labour Forum che si è servizio di volontari per l’accoglienza degli ospiti.

Dal punto di vista legale vengono definite le “organizzazioni non profit con un fine sociale”, le quali sono i maggiori destinatari dei finanziamenti pubblici. Un’altra serie di leggi è stata infatti approvata per favorire l’affidamento di servizi di welfare alle organizzazioni non profit. Di particolare rilievo è la nuova legge sul volontariato che entrerà in vigore il prossimo primo maggio e che ha l’obiettivo di promuovere il volontariato nella federazione russa. Uno dei principali cambiamenti è la scelta di un unico termine per definirlo: in precedenza in Russia si utilizzava dobrovolets e volontyor, che significavano rispettivamente il volontariato socio assistenziale e quello negli eventi. Si è optato per la versione unica di volontyor. La legge favorisce inoltre la creazione di centri di supporto al volontariato in ogni regione della Federazione Russa.

Se da un lato si assiste insomma a un rilancio del terzo settore sia in termini di visibilità che di finanziamenti, dall’altro si osserva un restringimento della libera iniziativa dei cittadini e un appiattimento del volontariato su un’idea di servizio e assistenza o partecipazione gratuita ad eventi all’interno di un quadro definito dal governo. La complessità dell’universo russo, la sua storia e le sue contraddizioni si rispecchiano così anche nel terzo settore. Come dice ancora Anna Skvortsova, “oggi molte realtà preferiscono non costituirsi legalmente per evitare di entrare nelle maglie del sistema”. Un sistema che offre molto a chi è in linea con la politica di governo ma che rende la vita difficile a chi persegue fini diversi, anche se questi fini concernono i diritti civili e la tutela dell’ambiente.

Una situazione che nessuno saprebbe forse commentare meglio di come ha fatto lo scrittore Vasilij Grossman, in una pagina del suo capolavoro “Vita e destino”: «Anche coloro che perseguono il proprio bene personale cercano di ammantarlo di universalità, e dichiarano: ‘il mio bene coincide con il bene di tutti, il mio bene non serve a me soltanto ma a ogni altro uomo. E facendo il mio bene mi metto al servizio dell’umanità intera’. In tal modo il bene che ha perso l’universalità – il bene di una setta, di una classe, di una nazione e di uno stato – si veste di una universalità mendace per giustificare la propria battaglia contro ciò che esso considera male». Era il 1960.


*Nicolò Triacca di Csv.net


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