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Adozione europea, è tempo di parlarne?

Fra i Paesi dell'Unione europea è possibile pensare a un'adozione europea, che in virtù della medesima cittadinanza europea possa essere vista come un po' diversa da quella internazionale? L'avvocato Enrica Dato ne parlerà per AiBi ad EurAdopt: «innanzitutto significa modificare il concetto che crescere in una comunità dentro i confini nazionali per un bambino sia sicuramente meglio dell’adozione internazionale»

di Sara De Carli

È possibile immaginare una adozione europea? Un’adozione cioè che si ponga un po’ a metà fra l’adozione nazionale e quella internazionale, per la comune cittadinanza europea? È questa la proposta che AiBi porterà a EuroAdopt, la XIII Conferenza Internazionale del network che riunisce 26 enti autorizzati alle adozione internazionali di 13 paesi europei, che si terrà a Milano il prossimo 24-25 maggio. A parlarne, per AiBi, sarà l’avvocato Enrica Dato in un intervento intitolato proprio «Adozioni tra Paesi Europei».

«Sembra banale parlare di una prospettiva europea nel campo dei diritti dell’infanzia, ma non lo è affatto. L’Europa è nata come mercato comune e solo di recente ha affermato di avere un interesse comune rispetto ai diritti della persona, in particolare solo dal dicembre 2009 con il Trattato di Lisbona fra gli obiettivi dell’Europa è stata inserita anche la promozione dei diritti dell’infanzia e della donna», è la premessa dell’avvocato. Significa che le leggi di riferimento in materia di protezione dell’infanzia, e quindi anche di adozione, continuano ad essere nazionali e che ogni Stato continua ad essere ed è sovrano. «L’auspicio è che possa esserci un interesse dell’Europa a garantire e non solo a promuovere i diritti dei bambini adottabili. Ecco perché proporre questo argomento è difficile. Fare dell’Europa un territorio unico e più omogeneo rispetto agli standard di protezione dell’infanzia è un tema che AiBi ha a cuore da parecchi anni, ma è la prima volta che entra in un convegno di questa portata».

L’avvocato non la sta prendendo da lontano: l’adozione europea, se mai arriverà, dovrà essere uno dei tasselli di un sistema di protezione dell’infanzia più omogeneo, mentre oggi «gli standard di protezione dei minori e tutto il funzionamento del sistema della protezione dell’infanzia, dall’affido famigliare alle strutture di accoglienza alle adozioni sono diverse e non solo tra un Paese e l’altro. Basti pensare all’Italia, da noi le strutture di accoglienza dei minori fuori famiglia rispondono a normative regionali. Questo per dire quanto il tema sia complesso», spiega l’avvocato.

L’adozione internazionale europea, a che punto si situerebbe? «Secondo il principio di sussidiarietà, l’adozione internazionale è l’ultimo gradino del sistema di protezione dell’infanzia, quello da attuare solo dopo che ogni altra strada si è rivelata impraticabile. Ma perché in Europa non si può tenere conto del fatto che siamo tutti cittadini europei? Perché non pensare che l’adozione da parte di una famiglia di un altro paese europeo non sia la stessa cosa che essere adottato da un cittadino extraeuropeo? Non è possibile che nel campo del commercio si sia un’Unione e nel campo dei diritti dell’infanzia no. La strada sarà lunga, credo fra l’altro che non si possa affrontare questo tema presentandosi con soluzioni già pronte, che sarebbero anche facilmente attaccabili proprio per la complessità della materia… un primo passo da compiere, tuttavia, è sicuramente quello della creazione di una banca dati europea dei minori adottabili. Se è vero che l’Europa ha una cultura unica, è doveroso cominciare a pensare all’Europa come un unico territorio e affrontare i problemi dell’infanzia come obiettivo comune; partire da una seria raccolta di dati e cominciare a collaborare fra associazioni ed enti, fare un lavoro di rete», afferma l’avvocato Dato.

Una domanda però sorge spontanea, dinanzi ad esempio al fatto che la Polonia ha da poco comunicato di voler restringere le adozioni internazionali, seguendo le orme della Romania: l’adozione internazionale in Europa ha ancora spazio? «La normativa italiana stessa prevede l’adozione internazionale anche in uscita, e il Portogallo è paese di accoglienza e paese d’uscita. Dobbiamo cominciare a pensare che in Europa la protezione dell’infanzia possa abbracciare anche l’adozione internazionale. Sarà certamente residua e sussidiaria, ma non si può non considerarla. C’è la necessità di ripensare la sussidiarietà tra le varie misure di protezione dell’infanzia all’interno dell’Unione Europea, per cui l’adozione internazionale – e nello specifico l’adozione europea – non debba necessariamente venire per ultima».

Se per un minore avere una famiglia è un bene e un diritto, «l’adozione internazionale deve venire dopo quella nazionale ma prima del restare in strutture deputate all’accoglienza temporanea, quindi senza stabilità, e non caratterizzate da rapporti analoghi a quelli familiari. È questa la novità. Le Guidelines for the Alternative Care of Children dell’Onu del 2010 hanno dichiarato finalmente che le famiglie stabili sono comunque preferibili ad altre soluzioni, sono pochi anni fa. E anche le Raccomandazioni della Commissione Europea del febbraio 2013 raccomandano un controllo adeguato per evitare il collocamento dei minori in istituzioni. Questo concetto non è pacifico, non ancora. Quando parliamo di adozioni dobbiamo ricordare che gli orfani sono una minoranza e che in molte situazioni, anche in Italia, capita che si accetti invece che il minore resti fuori da una famiglia anche là dove non c’è margine per il suo rientro nella famiglia d’origine. Queste valutazioni sono difficili e sofferte, ma ci sono professionisti esperti per farle e ci devono essere tempi entro cui devono essere fatte. Parlare di adozione europea quindi vuole essere innanzitutto questo, smantellare il concetto che crescere in una comunità dentro i confini nazionali per un bambino sia sicuramente meglio dell’adozione internazionale. E che almeno dentro l’Europa si arrivi a dire “pazienza se non c’è una famiglia nello stesso Paese, questo bambino avrà una famiglia nel Paese accanto, la cittadinanza è sempre la stessa, quella europea”».

FOTO DI © ANTONIO DI DOMENICO/AG.SINTESI