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Cooperazione & Relazioni internazionali

Mediterraneo: cosa succede tra SAR libica e limbo dei naufraghi

“Il più grande respingimento di massa della storia del Mediterraneo”, così il fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms ha definito l’intercettazione di domenica di 820 naufraghi da parte della Guardia costiera libica. E mentre Lifeline e il cargo Alexander Maersk, restano bloccate in mare con 347 persone a bordo, la Libia dichiara una propria SAR zone, senza però avere un Centro di coordinamento soccorsi

di Ottavia Spaggiari

Sono ancora bloccate in un limbo d’acqua le 347 persone salvate la scorsa settimana dall’Ong tedesca Lifeline e dal cargo Alexander Maersk, dopo la chiusura dei nostri porti, in un braccio di ferro tra il governo italiano, Malta ed Europa che ha tanto il sapore di uno spot elettorale per il Ministro dell’interno Salvini.
Proprio ieri si è conclusa l’ennesima settimana nerissima nel Mediterraneo, dove in pochi giorni sono annegate oltre 220 persone, un numero che purtroppo è da considerare per difetto, poiché questo è “solo” il dato relativo alle perdite che gli operatori di Unhcr sono riusciti a registrare.

E proprio ieri è stata un’altra giornata di fortissima confusione a largo della Libia. Il coordinamento delle operazioni di soccorso di sette gommoni in difficoltà, (un totale di circa mille persone), è stato passato ufficialmente dall’MRCC di Roma alla Guardia costiera libica, specificando sostanzialmente che, poiché l’emergenza si trovava nella neo-dichiarata zona SAR libica, il coordinamento dei soccorsi spettava a Tripoli. Un’affermazione che però solleva diversi dubbi.

Dal punto di vista tecnico, dal sito dell’Organizzazione Marittima Internazionale, risulta effettivamente che la Libia ha annunciato il proprio piano di ricerca e soccorso. Manca però un’informazione fondamentale, ovvero non è menzionato nessun Centro di Coordinamento dei Soccorsi nel Paese.
Una mancanza segnalata anche da Oscar Camps, fondatore di Proactiva Open Arms che, via Twitter, ha raccontato come proprio ieri, l’MRCC di Roma avesse prima segnalato la presenza di mille persone in acque internazionali, alla deriva e senza giubbotti di salvataggio, rispondendo poi all’offerta della nave umanitaria di intervenire di “non avere bisogno d’aiuto”.
Sempre Camps ha inoltre commentato la notizia secondo cui, nel naufragio di ieri ci sarebbero anche diverse persone annegate: "Ieri hanno rifiutato il nostro aiuto, in un'operazione con più di 1000 persone in pericolo in acqua. Oggi parliamo di morti. Chi è responsabile?"

Nella mattina di domenica, in centinaia di persone hanno partecipato all'azione di "mail-bombing", scrivendo alla Guardia costiera italiana per chiedere "l'immediato ripristino delle operazioni di soccorso in mare nei riguardi delle navi Ong".

"La Guardia Costiera italiana ha sempre svolto in questi anni importanti operazioni di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al limite delle acque libiche." Si legge nel testo dell'e-mail. "Ci chiediamo perché oggi delegando alla Libia, Paese con Governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento degli interventi di soccorso in mare, il vostro Corpo, pur eseguendo un comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire alla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982."

Sarebbero 820 le persone riportate in Libia, nelle operazioni di domenica. "Ringrazio di cuore, da ministro e da papà, le autorità e la Guardia costiera libica che oggi hanno salvato e riportato in Libia 820 immigrati, rendendo vano il 'lavoro' degli scafisti ed evitando interventi scorretti delle navi delle Ong”, ha commentato via Twitter il ministro Salvini.

SOS Mediterranee, che con Aquarius è tornata in missione, dopo l’odissea di due settimane fa, ha dichiarato che il coordinamento di ieri “non è stato chiaro e alcune imbarcazioni potrebbero essere ancora in mare. Dalla Aquarius abbiamo visto una motovedetta libica pericolosamente sovraccarica tornare in Libia, l’inferno dal quale le persone tentano di fuggire. La Libia non è un porto sicuro”.

La Guardia costiera libica ha alle spalle una lunga lista di episodi in cui ha utilizzato la forza nei confronti degli equipaggi di navi umanitarie e dei naufraghi stessi (li avevamo elencati qui). Proprio il Tribunale del Riesame di Ragusa, lo scorso maggio, ha rigettato il ricorso della Procura contro il dissequestro della nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che aveva rifiutato di consegnare le persone salvate alle autorità libiche, affermando che “La Libia non è un approdo sicuro quale delineato dal diritto internazionale”. Un’affermazione che, come ha scritto Nello Scavo su Avvenire, è stata riconfermata nuovamente da un portavoce dell’Onu: «Per noi la Libia non può essere considerata come porto sicuro».

Nemmeno due settimane fa, l’8 giugno, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha imposto delle sanzioni individuali a sei persone che gestiscono reti di traffico di esseri umani in Libia, tra questi appare anche il nome di Abd al Rahman al Milad, capo dell’unità della Guardia costiera libica di Zawiyah, finanziata dall’Unione Europea.

Nel frattempo proprio questa mattina, Salvini è volato a Tripoli: "Saremo vicini alle autorità libiche anche con i necessari supporti tecnici ed economici per garantire insieme la sicurezza nel Mediterraneo e rafforzare la cooperazione investigativa e più in generale la collaborazione in tema di sicurezza", ha affermato, durante l'incontro con il ministro dell'Interno libico Abdulsalam Ashour, assicurando "impegno massimo per rinsaldare l'amicizia tra i due Paesi e la collaborazione su tutti i fronti, a partire dall'emergenza immigrazione, ma anche per realizzare iniziative comuni in materia economica e culturale".

Foto: Hermine Poschmann


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