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Quel laboratorio di bellezza nelle scuole di periferia

Il 6 e 7 dicembre a Napoli si terrà il Seminario Nazionale "La scuola interculturale nelle periferie. Educare alla bellezza e alla cura dei luoghi". Quattro scuole della città ospiteranno altrettante sessioni tematiche, dedicate a luoghi, partecipazione, bellezza e narrazione. Un viaggio

di Sara De Carli

«Essere giovani al Sud non è facile. Ogni mattina ti svegli e non sai cosa sarà del tuo futuro. Hai dei sogni nel cassetto, ma è probabile che siano destinati a rimanere lì. Ma perché il futuro deve essere sempre altrove?»: parla così Gabriella, una delle ragazze dell’Officina di Futuro del Centro Tau di Palermo, alla Zisa. L’amara constatazione di Francesco Di Giovanni, il coordinatore, è che «oggi anche la speranza è a rischio. La sfiducia si traduce in immobilismo. La prospettiva è totalmente assente dalla vita dei ragazzi». In Sicilia i Neet sono il 41,4%, il terzo dato regionale più alto d’Europa. I giovani che abbandonano prematuramente gli studi nel Mezzogiorno sono il 18,4%, quasi cinque punti sopra la media nazionale. In Campania ogni cento bambini con meno di tre anni ci sono solo 6 posti negli asili nido e a Reggio Calabria appena 5 alunni su cento a scuola hanno la palestra. Nel Mezzogiorno sono 500mila i minori in povertà assoluta e 1,2 milioni quelli in povertà relativa. Il divario fra il Nord e il Sud del Paese parte da qui. Ma nelle diverse “periferie” del Sud c’è anche un fermento inedito, una nuova voglia di investire sulla formazione e l’educazione come leva per ribaltare il paradigma – cit. Francesco Mollace dalla Locride – «dell’autogiustificazione collettiva sull’impossibilità di un cambiamento nel Mezzogiorno». La strada? Creare aree ad alta intensità educativa proprio dove è più alta la povertà educativa.

Ai Quartieri Spagnoli di Napoli c’è una scuola che attira la borghesia: si chiama Dalla Parte dei Bambini ed è parte integrante di FoQuS, un progetto di rigenerazione urbana avviato nel 2013 che ha trasformano l’ex Istituto Montecalvario. Un “edificio mondo” in cui si incrociano il nido e l’Accademia di Belle Arti, persone con disabilità e imprenditori. «La nostra chiave è l’ibridazione, non siamo uno splendido ghetto», racconta Renato Quaglia, direttore di FoQuS. Un nuovo progetto sta per partire, finanziato dal bando Prima Infanzia di Con i Bambini: «Accoglieremo 88 bambini in più, fra nido e scuola dell’infanzia, tutti provenienti da famiglie in condizioni di povertà e fragilità. Parallelamente lavoreremo con una quindicina di giovanissimi genitori, fra i 17 e i 30 anni, portandoli ad assolvere l’obbligo scolastico. Faranno dei tirocini, prenderanno il patentino di operatore d’infanzia, avvieremo una start up da cui FoQuS acquisterà servizi».

In rete, contro la dispersione

Fra il 2013 e il 2015 in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia furono realizzati 207 “prototipi” di contrasto alla dispersione scolastica finanziati con fondi europei: debuttarono lì le reti fra scuole e terzo settore e gli indicatori per una timida valutazione d’impatto delle azioni, mai chiesta prima alla scuole. Riccardo Ganazzoli è dirigente dell’istituto comprensivo Antonio Ugo di Palermo, che con quella rete realizzò il progetto “Parco Pedagogico Zisa”: «l’assetto laboratoriale portò grandi risultati in termini di frequenza delle attività e poiché docenti ed educatori lavoravano insieme, c’è stata una bellissima contaminazione, che è stata la vera eredità. Purtroppo nei Pon 2017/20, al di là delle premesse, la valorizzazione del partenariato non c’è: questo smorza l’efficacia delle azioni», denuncia. E la dispersione? «È rimasta la stessa, perché quando otteniamo un risultato in termini di frequenza abbiamo il dovere di spostare più in alto gli obiettivi in termini di competenza. Facile abbassare la dispersione promuovendo tutti: piuttosto sarebbe utile portare dentro l’istituto comprensivo un pezzo dei percorsi professionali, valorizzando il senso di appartenenza alla scuola quei ragazzi non li perderemmo». Indire nel 2016 pubblicò i risultati del monitoraggio di tutti quei prototipi: la sintesi fu che lo strumento più efficace contro la dispersione scolastica e per l’inclusione è la capacità di avere su ogni singolo ragazzo uno sguardo globale e accogliente. Uno sguardo che nessun attore da solo può avere: per questo oggi si punta sulle “comunità educanti”. Sono la via scelta da Con i Bambini, l’impresa sociale attuatore del fondo sperimentale da 360 milioni in tre anni per il contrasto alla povertà educativa, creato da fondazioni di origine bancaria, Forum del Terzo Settore e Governo; da Crescere al Sud, la rete associativa che da poco ha riunito 65 organizzazioni del Sud per rispondere alla povertà di opportunità che nascere al Sud di fatto oggi comporta; da Save the Children (i primi a elaborare un Indice di povertà educativa) con i suoi 23 Punti Luce e il programma Fuoriclasse; da Frequenza200 di WeWorld che ha già coinvolto 5mila ragazzi sul territorio nazionale. Le alleanze che danno forma alle comunità educanti non servono più tanto a dare una risposta specifica al target di riferimento o a creare un servizio, ma ad avviare processi e creare luoghi in cui tutta la comunità si rimetta in gioco da protagonista: questa è la novità.

Sud, laboratorio di innovazione

Bellezza, pensiero meridiano e utopie concrete: per Vinicio Ongini, esperto del Miur, sono queste le tre parole peculiari dell’innovazione che avanza nelle scuole del Sud. Napoli in autunno ospiterà il terzo seminario nazionale delle “scuole di periferia”, con cui il Miur sta provando a connettere tutte queste esperienze «nell’ipotesi che dove c’è maggior complessità c’è anche maggior dinamismo». Arte, espressività e rigenerazione urbana, valorizzare un modo diverso di vedere le cose, mettere in campo qualcosa di ardito: sono tratti che emergono con forza. Lo si vede nei ragazzi che “mettono in vita” i classici del teatro ad Arrevuoto, la non scuola di Napoli, e a CapoSutta, la non scuola di Lamezia Terme. Gianni Vastarella ha 30 anni, è uno dei registi di Arrevuoto, ma quando Marco Martinelli avviò la non scuola di Napoli, era un ragazzino di Scampia. «Il teatro ti dà possibilità di capire chi sei e cosa vuoi fare. Noi non stiamo salvando nessuno, non esiste il salvato e il salvatore, esiste un incontro. Gli adolescenti rigettano senza filtri la violenza che il mondo dei grandi gli mostra: il teatro raccogliere paure e violenza e le incanala nell’arte», racconta. Dal teatro al cinema: a Ponticelli nel 2014, figlio della trentennale esperienza di Arci Movie, è nato il Centro FilmaP, coordinato da Antonella Di Nocera: «l’idea forte è quella di una comunità che diventa microcosmo, dove le attività sono parte di una visione che tende a restituire dignità e bellezza a un territorio che sembra condannato a non averne. Realizzare un film nelle scuole è un’esperienza che crea solidarietà, impegno per un obiettivo comune, condivisione. In questi anni ho ritrovato molti ex bambini dei Movielab sui set, o in Rai, qualcuno è educatore con noi», afferma Di Nocera.

La comunità educante evoluta

Marco Rossi Doria è un grande esperto di questi temi e di recente ha coordinato la Cabina di regia sulla dispersione scolastica e la povertà educativa del Miur: «Anche la comunità educante da sola non basta, serve lo sviluppo locale. Dove si favorisce la transizione fra scuola e lavoro, si cominciano a vedere risultati interessanti». Non è un caso forse che la dispersione scolastica schizzi proprio dove la formazione professionale è più debole. L’ITES Galliani di Napoli, un bacino d’utenza fra Scampia e Secondigliano e un fallimento formativo che nel biennio si aggira sul 40%, a gennaio 2016 ha avviato un Centro di orientamento scolastico e professionale. «La scuola qui è la sola opportunità vera che i ragazzi hanno per migliorare la propria condizione sociale, perciò non possiamo fermarci ai percorsi tradizionali. Un ragazzo pluriripetente, forse fra i più difficili che avevamo, oggi ha un contratto di lavoro», racconta il dirigente Marco Ugliano, che aderisce anche al consorzio Scuola Impresa Sociale – 5 istituzioni scolastiche, un’impresa sociale e un’associazione culturale – proprio con l’obiettivo di «creare azioni di partenariato stabili sul territorio, non legate a singoli bandi».

E se torniamo allo Zen da cui siamo partiti, al Centro TAU, là dove si lavora per fascinazione e contaminazioni, Di Giovanni spiega che il lavoro del prossimo decennio sarà improntato alla costruzione di una “comunità educante evoluta”: «fatta la comunità educante, dobbiamo chiederci verso dove essa vuole portare i ragazzi. Nell’agenda della nostra comunità educante c’è il cogliere gli obiettivi di sviluppo 2030, rigenerando un sistema di comunità». Questa è la pista, «insieme all’idea di incubare e sostenere piccole realtà promosse dai giovani che al Centro sono cresciuti: ci stiamo interrogando, la cooperativa di comunità può essere implementata in una realtà locale come la nostra, con una presenza forte della criminalità?».

Via, via, vieni via di qui

Due alunni e un’insegnante: è la più piccola scuola l’Italia e sta ad Alicudi. A Favignana c’è una pluriclasse gemellata con Sassello: mentre sull’isola la maestra segue i bambini dalla prima alla terza, i più grandi lavorano in videoconferenza con maestra e compagni della Liguria. Il tema delle piccole scuole – 1.333 in Italia – al Sud fa rima con spopolamento e infrastrutture rarefatte: Campania e Calabria sono le regioni in cui raggiungere la scuola è più difficile. Nelle Alte Madonie, dove non si trova nemmeno un pediatra disposto a prendere servizio, 21 scuole di 16 comuni si sono unite nella rete Resma, presieduta da Ignazio Sauro, dirigente dell’IC di Petralia Sottana (PA): «in dieci anni la popolazione studentesca si è dimezzata. Abbiamo moltissimi indirizzi formativi, ma senza corrispondenza con la vocazione del territorio: diamo diplomi che sono una valigia in mano. Pensiamo ora a un curriculum omogeneo che riconnetta l’istruzione al sistema economico e culturale, puntando su agroalimentare ed energie alternative, con dei living fablab». In Calabria invece c’è “l’utopia concreta” di Pitagora Mundus. Una quarantina di studenti sono già arrivati dall’altra sponda del Mediterraneo, in particolare dal Kurdistan iracheno e dall’Egitto, per studiare a Diamante, Scigliano, Sant’Agata d’Esaro, Santa Severina, Palmi. I primi 15 prenderanno il diploma quest’anno: «Li abbiamo cercati, ne finanziamo gli studi. Questi giovani permettono di tenere aperte le scuole in borghi a fortissimo spopolamento, la microeconomia locale rivive, per loro è un’opportunità formativa», spiega Concetta Smeriglio, fino all’anno scorso preside a Diamante.

La sfida dell’immigrazione

In Italia al 31 dicembre 2017 erano presenti circa 18mila minori non accompagnati, di cui il 65% in regioni del Sud e il 43% solo in Sicilia. I ragazzini soli sbarcati via mare sono una sfida che riguarda l’intero Paese, in una esplicita corresponsabilità nazionale, ma che nel day by day si gioca al Sud. Il Sud ha risposto con generosità e intelligenza. L’istituto comprensivo Vespucci si affaccia sul porto di Vibo Marina e proprio grazie alla presenza di tanti minori non accompagnati, racconta la dirigente Maria Salvia, «nelle classi ora tutti parlano in inglese e in francese, padroneggiano la lingua per la conversazione». La scuola è una delle poche del Mezzogiorno aperta il pomeriggio, compreso il sabato, ha un’orchestra e un monoalbero di 14 metri sequestrato agli scafisti, trasformato in un’aula galleggiante. «Alcuni nostri alunni hanno genitori in carcere o latitanti: migranti o no, a tutti cerchiamo disperatamente e spesso in solitudine di dare un’opportunità, cominciando dall’offrire motivi per stare bene a scuola».

Nell’ex lanificio borbonico di Porta Capuana, a Napoli, nel 2015 hanno aperto le Officine Gomitoli, un centro interculturale e un processo di rigenerazione urbana, che a comun denominatore mette il far sì che ciascuno si senta accolto. I ragazzi che lo frequentano ne colgono l’essenza come “brutto fuori, bello dentro”. «Molti, vivendo da protagonisti nei laboratori, hanno ripreso gli studi», conferma Elena De Filippo, presidente della cooperativa che lo gestisce. Altri si mettono in gioco come peer educator per i compagni stranieri neo arrivati: Officine Gomitoli ha formato già 15 studenti del liceo Villari e altrettanti sono in formazione con l’Alternanza Scuola-Lavoro.

All’Università di Palermo infine c’è IsaStra, la Scuola di lingua italiana per Stranieri che dall’estate 2012 ha aperto i suoi corsi, storicamente frequentati da studenti in Erasmus e adulti, ai minori soli appena sbarcati: è iniziata così una riflessione specifica su come insegnare l’italiano a ragazzi che per il 30% – racconta la professoressa Maria D’Agostino – non sono andati a scuola e non hanno alfabeto. Il modello punta su un’immersione nel territorio al fianco degli studenti della facoltà di lingue, che fanno da tutor: un percorso seguito già da 2.500 MNA. «Dobbiamo rompere la segregazione dei giovani migranti nelle comunità, è il miglior antidoto contro il razzismo e la radicalizzazione», riflette la professoressa.

Il Sud che fa scuola sarebbe ancora ricchissimo da raccontare, ma il problema è esattamente questo: le best practice non bastano più. Ora serve che esperienze diventino prassi sistemiche, il superamento della frammentazione per aumentare l’impatto, il disegno coerente di un approccio multifattoriale e intergenerazionale, una riflessione esplicita sulle comunità educanti che generi policy conseguenti. “Esserci” è fondamentale, e presidio dei territori c’è: ora tocca alla politica.

In Italia, secondo dati del MIUR, sono 825.000 gli alunni e gli studenti di origine non italiana. La percentuale è del 9,4% sul totale della popolazione scolastica, più del 60% sono nati in Italia. In particolare nelle scuole dell’infanzia la percentuale di bambini figli di immigrati ma nati in Italia, si avvicina all’85%. Le scuole con almeno il 30% di alunni di origine non italiana sono quasi 3mila, quelle con almeno il 50% sono più di 600, in maggioranza scuole dell’infanzia. Il precedente appuntamento delle scuole di periferia è stato nel novembre 2017 a Milano, con il titolo “Le Periferie al Centro. Scuola e territorio a confronto in contesti multiculturali“. Questo articolo è stato pubblicato sul numero di VITA di marzo 2018, dedicato al Sud. Foto www.foqusnapoli.it


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