Attivismo civico & Terzo settore

L’eredità del prof Aiuti: la lotta all’Aids non è finita

4mila nuove diagnosi all'anno in Italia, più altrettante nuove infezioni. «Datevi da fare perché la situazione è lontana dall’essere risolta, questo è il messaggio che rispecchia tutto il cursus di vita di Aiuti», afferma il prof Massimo Galli, consigliere nazionale di Anlaids. Con le riflessioni di Giovanni Del Bene sulla prevenzione fra i giovanissimi, nelle scuole

di Sara De Carli

«L’ultima volta l’ho visto, un anno fa, era combattivo come sempre, con quella sua energia nel dirci e ricordarci che la lotta contro l’Aids non è finita, il suo invito per noi è stato “datevi da fare perché la situazione è lontana dall’essere risolta”. Questo è il messaggio che rispecchia tutto il suo cursus di vita, da quando ci trovammo – a inizio anni ’80 – a fronteggiare questa nuova grande emergenza. Anche la sua morte credo stia dando un ulteriore contributo perché non si parli di Hiv e Aids solo il 1 dicembre. Lo conosco da 40 anni e oggi me lo figuro così oggi, penserebbe che il massimo omaggio che gli si può fare è parlare di questi temi». Il professor Massimo Galli, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e consigliere nazionale di Anlaids traccia così il ricordo di Fernando Aiuti, immunologo, pioniere della ricerca e della lotta contro l'Aids. Tutti i giornali oggi lo ricordano con la foto in cui, nel 1991, baciò Rosaria Iardino, sieropositiva da otto anni, per smontare lo stigma e dimostrare che l'Hiv non si può contrarre con un bacio. Nell’ottobre 1994 Aiuti, con Anlaids, fu tra i primi dieci promotori di VITA. Al professor Galli e a Giovanni Del Bene, coordinatore nazionale del progetto Scuole di Anlaids, abbiamo chiesto un ritratto di Aiuti e una riflessione sulla sua eredità, a due voci.

«Aiuti certamente è una delle poche persone in Italia che ha avuto il merito di riconoscere la portata e la pericolosità dell’Hiv e dell’Aids, fin dall’inizio. Ha avuto un ruolo chiave sia nello sviluppo della cultura scientifica e di ricerca in Italia sia nella acquisizione più rapida possibile di metodiche diagnostiche», ricorda Massimo Galli. «È stato il primo a importare in Italia e ad eseguire i test sierologici con immunofluorescenza. Ha fondato Anlaids, in cui tuttora noi militiamo, che è stata una sintesi importante, soprattutto all’inizio, dell’impegno di medici, ricercatori, persone sieropositive, solidarietà e prevenzione. Si è scontrato con l’arretratezza di pensiero, contro lo stigma… Certo non è mai stato un personaggio facile caratterialmente parlando, era aspro e pugnace, ma dal punto di vista di volontà di fare cose e di assunzione di responsabilità personale è stato un elemento di grande importanza per la storia italiana della lotta all’Aids, ha avuto un ruolo importante anche nella legge 135/90, che ha messo i paletti più importanti per affrontare l’epidemia, anche lottando contro le inerzie della politica su questo tema. È stato uno scienziato di alto profilo, che ha pubblicato tanto e bene e insieme una persona che riusciva a sintetizzare scienza, clinica e militanza per la prevenzione e contro lo stigma. È stato un uomo che ha dato molto di sé».

Che significa, come Aiuti ha detto fino all’ultimo, che la situazione è lontana dall’essere risolta? Il professor Galli dà alcuni indicatori. «Il mondo associativo, scientifico e clinico sull’ Aids ha elaborato per il Ministero della Salute un Piano nazionale approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 26 ottobre 2017, che ci consente il superamento di una serie di criticità e un adeguamento alla situazione attuale della lotta all’Aids, sia nella direzione della prevenzione sia della cura, perché è evidente che la situazione oggi non più quella degli anni 90, quando la legge 135 è nata». Ma l’applicazione del Piano, a più di un anno di distanza, è sostanzialmente ferma. E ancora: «ogni anno abbiamo circa 4mila nuove diagnosi di infezione in Italia, persone neodiagnosticate che possono essere state infettate anni prima, e si ipotizza che il numero delle nuove infezioni annue sia più o meno pari». Quanto ai più giovani, «dai questionari che abbiamo fatto su un campione di circa 14mila ragazzi, il livello di conoscenza di questi temi e del rischio non dico che sia zero ma ha limiti e falle che sono espressione del mancato interesse al tema che in questi anni c’è stato. Noti che ai nostri questionari sono stati fatti nelle scuole che abbiamo raggiunto con i nostri progetti, male mi sento a pensare quale possa essere la situazione nelle ampie aree del Paese in cui di queste cose nelle scuole non si è mai parlato».

Anlaids da circa cinque anni ha un Progetto Scuole, a livello nazionale, coordinato da Giovanni Del Bene. Si tratta di un intervento gratuito nelle scuole, per incontri singoli o percorsi più articolati. Le scuole che li hanno cercati sono pochissime: appena 3mila gli studenti raggiunti in Lombardia, 25/30mila in tutta Italia. I problemi grossi, per Del Bene, sono tre: «l’informazione e la formazione dei giovani, per dare loro la capacità di autoregolarsi nei comportamenti ma anche quella di fare educazione tra pari, con il loro linguaggio, perché noi possiamo portare a scuola i massimi esperti al mondo ma per arrivare ai giovani ci vogliono strategie comunicative ad hoc, è difficile parlare di rischio agli adolescenti, che sono convinti di essere onnipotenti». Fra gli strumenti, ad esempio, c’è un’app, Smartsex. Secondo tema, «entrare nelle scuole non è facile, l’educazione sessuale risulta sempre un tema delicato. Servirebbe avere dei progetti obbligatori nelle scuole superiori e forse anche in terza media, che portino ragazzi e insegnanti a riflettere, progetti obbligatori che durino un paio di mesi, trasversali alle varie discipline. E ovviamente serve formazione agli insegnanti e ai genitori stessi». Già, perché la famiglia, evidenzia il professor Galli, spesso su questi temi in realtà tace. «Solo una minoranza di studenti indica la famiglia come ambito in cui sono stati informati su Aids e hiv, questo la dice lunga sulle difficoltà, le reticenze e anche l’inadeguatezza che il contesto famigliare in un Paese come il nostro continua ad avere su questi argomenti».

Foto Sintesi


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