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“Che non resti fra noi”, il progetto di accoglienza rilancia sull’integrazione

Evento conclusivo dell’iniziativa che ha visto come capofila il Consorzio Farsi Prossimo e che in 16 mesi ha accompagnato 200 persone verso l’autonomia. Nella giornata del 15 gennaio la riflessione e la comunicazione dei risultati ha avuto un fil rouge: l’idea che l’incontro concreto tra le persone sia l’antidoto alla narrazione oggi dominante

di Antonietta Nembri

Circa 200 le persone accompagnate verso l’autonomia (con azioni di diverso tipo: dall’accoglienza in famiglia all’avviamento al lavoro al sostegno alla casa) nei 16 mesi del progetto Fami – “Fra noi” che ha messo in rete a livello nazionale un sistema di accoglienza e integrazione per rifugiati e titolari di protezione internazionale. Martedì 15 gennaio a Cascina Triulza a Milano il Consorzio Farsi Prossimo ha promosso una giornata per raccontare quanto accaduto proprio perché – come recitava il titolo dell’evento: “Che non resti fra noi”le esperienze fatte siano di esempio e ispirazione in un percorso ineludibile che è quello appunto dell’accoglienza e dell’integrazione.

I risultati raggiunti dal progetto che si è chiuso a dicembre scorso sono scaturiti da progettazioni individualizzate e azioni molto varie che hanno potuto fare la differenza: dall’accoglienza in una famiglia italiana (negli ultimi tre anni 1300 le famiglie che hanno contattato associazioni e enti che si occupano di questo progetto per dare la propria disponibilità a ospitare un migrante a casa propria), all’aiuto all’inserimento lavorativo: 118 le persone inserite in azienda con un tirocinio, soprattutto nel settore alberghiero e ristorazione (43%), nel commercio/servizi (21%) nel manifatturiero (12%). Di questi, un terzo sono già stati assunti. Inoltre, l'aiuto nella ricerca della casa, il sostegno economico per le prime bollette o per le prime mensilità di un affitto ha permesso a 100 tra persone e nuclei familiari di entrare in una casa in autonomia.

Al di là dei numeri ci sono le storie e le esperienze che nella giornata di martedì sono state le vere protagoniste dell’evento scandito tra laboratori, filmati e dibattiti che si è concluso con una tavola rotonda cui hanno partecipato il vicesindaco e assessore alla Protezione sociale del Comune di Rimini, Gloria Lisi; l’assessore alle Politiche sociali, salute e diritti del Comune di Miano, Pierfrancesco Majorino, il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti e il presidente del consorzio Farsi Prossimo, capofila del progetto, Giovanni Carrara.

Un confronto a più voci che ha visto il contributo della direttrice di ricerca al Center for International Studies and Reserch e docente di “Migrations internationales” a Scienze Po-Lille, Catherine Withol de Wenden che ha tracciato la cornice dei processi migratori in atto e il panorama europeo il cui sistema «non funziona Tutte le strategie hanno fallito», ha rincarato la ricercatrice ricordando che diversamente da quanto viene fissato dalle norme «la divisione in categorie dei migranti è sempre fluida» e sottolineando che la definizione di “rifugiati” è ferma alla convenzione di Ginevra del 1951 mentre oggi ci si trova davanti a flussi misti tra migrazione volontaria e rifugiati.

«In tutti questi mesi noi abbiamo lavorato con le persone. Ora il problema non è produrre delle buone prassi, ma far emergere gli elementi di forza e individuare le criticità traversali» ha ricordato Milena Minessi, project manager del progetto nel corso del primo giro di interventi che hanno avuto come interlocutori protagonisti e collaboratori dell’iniziativa come Annalisa Verna che ha ospitato in famiglia un giovane senegalese o Davide K.H., da quattro anni in Italia, che ha beneficiato del progetto, o Elisabetta Rocchini, Hr manager di Roberto Cavalli che ha collaborato al progetto nell’azione lavoro e che ha in azienda tre giovani selezionati per le loro capacità. Riflessioni importanti favorite anche dai contributi di Maurizio Ambrosini, professore ordinario a Scienze politiche della Statale di Milano; dello psicanalista Raffaele Bracalenti, di Gabriela Ada Rosafio, agente immobiliare e formatrice Tecnocasa e di Alessia Di Pascale associata di diritto dell’Ue e di diritto degli stranieri all’Università degli Studi di Milano.

Fil rouge della giornata il progetto, ma soprattutto le prospettive future dei processi di accoglienza e integrazione dopo l’esperienza del progetto Fami – Fra noi. «In passato è mancato il coraggio e oggi si fa il triplo della fatica» ha denunciato la vicensindaco di Rimini Lisi. «Questo è un progetto che fa rete (44 enti partecipanti – ndr.) e la rete è quella che deve vincere la deriva xenofoba e razzista» ha insistito Lisi cui ha fatto eco Majorino: «Occorre difendere l’esperienza di chi ha deciso di aprirsi nel nome del principio dell’accoglienza e della bellezza dell’incontro delle persone». L’assessore milanese ha poi sottolineato come il decreto Salvini «è il contrario di tutte le esperienze che qui sono state rappresentate. Sarà ampliata la platea degli invisibili ma», ha aggiunto «tutto questo non nasce con la legge di Salvini, il tema delle persone che restano nel limbo è preesistente perché Dublino e la legge Bossi-Fini costringe le persone a presentare la domanda sbagliata mentre gli accessi nella legalità sono “microcanali”».

Per il direttore di Caritas Gualzetti accoglienza e integrazione sono termini che devono andare insieme e, di fronte a chi dice che il tema dell’immigrazione è impossibile da gestire «noi sappiamo che per affrontarlo questo tema va gestito, mentre il decreto Salvini va in direzione contraria dal momento che tutti i servizi di integrazione vengono eliminati». Gualzetti ha poi ricordato come in Diocesi di Milano sono state accolte 2.500 persone, di cui 570 in 99 parrocchie e «l’incontro reale con persone vere ha fornito degli anticorpi alla narrazione dominante, difese immunitarie che noi dovremmo innestare in tutte le nostre comunità così da contrastare la narrazione su percezioni che sono create ad arte».

A chiudere la giornata l’intervento del presidente del Consorzio Farsi Prossimo che se da un lato ha ricordato come «fare accoglienza è un lavoro», dall’altro ha osservato come «più i progetti sono capaci di essere inclusivi e certificati più sono vincenti per le persone sia in termini di comunicazione sia di responsabilità e integrazione». E ha concluso con l’invito ad avere «più coraggio: c’è la possibilità di un’alleanza nuova per cogliere questa sfida».


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