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Tentare il suicidio a 10 anni? «Non lo chiamerei così, ma nell’infanzia c’è più sofferenza di quel che pensiamo»

Abbiamo letto sgomenti la cronaca che arriva da Battipaglia. Con il pedagogista Daniele Novara abbiamo provato a ragionare non sul caso specifico ma sulla sofferenza che può abitare anche un bambino così piccolo

di Sara De Carli

La notizia di cronaca è di quelle che a leggerle si resta senza fiato. Un bambino di 10 anni si sarebbe lanciato ieri dalla finestra di casa, a Battipaglia, lasciando un biglietto che fa pensare alla volontà di suicidio. Il ragazzino è in ospedale. Da genitori restiamo sgomenti. Davvero un bambino di 10 anni può avere dentro un dolore così grande da arrivare a tentare il suicidio e noi genitori non accorgercene? Cosa possiamo fare? Proviamo a parlarne con Daniele Novara, pedagogista e fondatore e direttore del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Colpisce innanzitutto l’età, 10 anni…
Il tema del suicidio aleggia tantissimo a partire dalla preadolescenza, 13 anni, forse anche 12. Sia nei ragazzi sia nelle preoccupazioni dei genitori. Durante l’infanzia invece normalmente non è così, anche perché il bambino vive una forma di consapevolezza abbastanza limitata, non ha possibilità di prendere decisioni che stabiliscono conseguenze così gravi, ha un senso delle conseguenze molto limitato… Parlare di suicidio per i bambini è improprio, perché non c’è capacità di prevedere le conseguenze fino in fondo, mentre la prospettiva consequenziale è tipica del soggetto suicidario, che fa questo atto non per sparire ma per segnalare la sua assenza, in una forma relazionale paradossale. Questo pensiero complesso però si ha all’età delle medie. È vero che aumenta la depressione fra ragazzi, che è un elemento da monitorare, ma è vero anche che i genitori non possono gestire i figli pensando costantemente a ipotesi così gravi… capisco lo sgomento come genitori e il dolore nel leggere la cronaca, ma ricordiamoci che a suicidarsi sono soprattutto gli anziani. Mentre non così raro è l’autolesionismo dei ragazzi: anoressia, coma etilico, uso di sostanze, dipendenza da videogiochi e dai social… promiscuità sessuale autolesive dannose, sexting… questo sì è in crescita. I ragazzi oggi sono più ritirati, diminuisce l’aggressività verso gli altri e aumenta quella verso se stessi, come abbiamo riscontrato già in 4 anni fa in una ricerca sulla carenza conflittuale nei ragazzi, molto più significativa che non in età adulta.

Forse sbagliamo soprattutto a immaginare e pretendere che il bambino sia sempre contento, senza problemi, spensierato… senza accorgerci o dare peso alla sua sofferenza.
Che il bambino soffra è quasi tautologico. Il bambino è fragile per definizione, l’infanzia è un’età di sofferenza, il bambino è in balìa degli adulti che non sempre sono all’altezza della situazione, né di garantirgli la sicurezza necessaria. Il bambino non può decidere nulla perché decidono tutto i genitori, la sua è per antonomasia un’età di sofferenza, legata all’impossibilità di ribellarsi. I bambini poi vivono tante sofferenze legate alla loro negazione ontologica, alla mortificazione. Prendiamo il caso dei genitori che urlano, che fa male. Un urlo ogni tano non fa problema, ma quanto i genitori sono “grandi urlatori” – ed è molto diffuso – questo mortifica il bambino, è dannoso. Spinge il preadolescente alla depressione, agisce sul sistema neurovegetativo tenendolo in allarme… ma quale genitore si rende conto che urlare fa male? E che succede se un bambino di sei anni, mentre il genitore urla, prova a proteggersi e a dire “non urlare”? Di solito il genitore urla di più.

Quindi che cosa possiamo fare come genitori?
La buona pedagogia cerca di dire attenzione, dobbiamo fare il meglio possibile, non lasciamoci andare a urla, punizioni, cattiverie, negatività… il bambino non dirà mai “mamma sei negativa” ma subisce la negatività e questo si incista dentro di lui e può trasformarsi in una paralisi psicologica e psicosomatica. Credo che dobbiamo cercare innanzitutto di aiutare i genitori a educare bene i figli, perché questa è la base di tutto, se ci occupiamo di loro ci sarà una ricaduta diretta e positiva sui figli. Insistere troppo sui bambini e ragazzi non porta molto lontano, se cominciamo ad avere attenzione per i genitori invece costruiamo una base per una educazione diversa. Positiva, perché ad essere positivi in educazione non si sbaglia mai.

Photo by chuttersnap on Unsplash


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