Welfare & Lavoro

Immobili ecclesiastici: nuova frontiera per l’innovazione sociale

Col calo della vocazioni sempre più spesso le proprietà della Chiesa rimangono sotto utilizzate o inutilizzate. Pur mantenendo, per norma canonica, il vincolo sociale. Come riqualificarli senza disperdere la vocazione per cui sono nati? Le non profit avrebbero la carta vincente...

di Francesca Giani

In Italia nel 2016 sono stati chiusi 28 conventi ogni mese, per un totale di 335. Se tale andamento rimanesse costante nel 2046 si arriverebbe alla chiusura di tutti i conventi italiani. Sebbene non sia una predizione del futuro il dato rende evidente che si tratta di un fenomeno consistente. I fedeli, i preti e i consacrati della Chiesa Cattolica italiana stanno diminuendo con la conseguenza che alcuni immobili ecclesiastici risultano sotto utilizzati o inutilizzati. Ad esempio il numero delle religiose italiane in 40 anni ha subito un calo di oltre il 40%, passando da 147.286 nel 1975 a 80.208 nel 2015. La storia del welfare italiano ci racconta che in passato queste suore hanno realizzato servizi sociali costruendo immobili per ospitare attività caritative: avevano contenuti da ospitare e così sono stati realizzati immobili destinati a contenere opere di assistenza socio sanitaria, educativa ed altro. Oggi alcuni di questi “contenitori” cercano “nuovi contenuti”.

Nel caso dei conventi chiusi si tratta di immobili che ospitavano comunità religiose ed in alcuni casi anche dei servizi di inclusione sociale. Sono conventi situati non solo nei grandi centri urbani ma anche nelle periferie della nazione. Erano luoghi di aggregazione, cultura e spesso anche di particolare bellezza, valore artistico e storia secolare. Cosa avviene di questi beni dopo la chiusura delle comunità?

Le caratteristiche degli immobili della Chiesa
Un immobile ecclesiastico inutilizzato continua ad essere gestito dall’ente che ne è proprietario. A differenza di quanto pensi l’opinione corrente, gli immobili ecclesiastici italiani non sono di proprietà del Vaticano, bensì fanno capo a uno dei 29.932 enti ecclesiastici civilmente riconosciuti dallo stato italiano (dati al 31.12.2015 forniti dal Ministero degli Interni, Direzione centrale degli Affari dei culti). È un numero ragguardevole pari a 3 volte gli enti pubblici italiani (escluse scuole e ASL) che comprende oltre 25.000 parrocchie, 226 diocesi, istituti religiosi, istituti per il sostentamento del clero e molti altri enti, tutti possibili proprietari degli immobili della Chiesa. La varietà e l’ampio numero dei soggetti proprietari rende comprensibile l’assenza di un censimento dei beni immobili della Chiesa italiana. Ad oggi nessuno conosce il numero e la consistenza del patrimonio immobiliare della chiesa italiana.

Gli immobili ecclesiastici sono beni mixti fori, ovvero sottoposti a più tipi di leggi: a quelle della Chiesa – CIC codice di diritto canonico – , a quelle dello stato italiano, e alla normativa pattizia tra i due stati. La differenza più importante rilevabile tra le diverse legislazioni è che per il CIC gli immobili ecclesiastici sono di proprietà di enti pubblici della Chiesa (parrocchie, istituti religiosi etc.) e sottoposti alla suprema autorità del Papa, mentre per il diritto civile italiano gli immobili ecclesiastici sono di proprietà di persone giuridiche private, ed in quanto tali governati dal vigente diritto privato (gli immobili di proprietà di enti ecclesiastici non godono quindi di particolari privilegi, vedi l’IMU). La sensibile differenza invoca particolari virtù al soggetto proprietario che è chiamato a gestire come bene pubblico – secondo la Chiesa – ciò che per il diritto civile è invece un bene privato. Il CIC nel can. 1254 precisa che i beni temporali di cui fanno parte gli immobili sono un mezzo per raggiungere i fini della Chiesa cattolica così individuati : «ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri». Ovvero un ente ecclesiastico non può possedere un immobile senza che il suo uso sia destinato alle finalità della Chiesa. Pertanto, tornando all’esempio dei conventi chiusi, è evidente che per il CIC non è ammissibile che detti immobili restino vuoti perché in tale stato non corrispondono alle finalità della Chiesa. E allora cosa fare dei conventi appena chiusi?

La valorizzazione sociale degli immobili ecclesiastici
Oltre alla possibilità della vendita (ammessa ma scoraggiata dal CIC) e alla scelta inopportuna di lasciare inutilizzato un immobile (si ricorda in proposito sia la parabola dei talenti che vede apostrofare come malvagio il servo che non aveva usato il bene a lui conferito – Matteo 25,14-30 -, che l’evidenza che un immobile inutilizzato perde di valore procedendo inesorabilmente verso l’obsolescenza), per gli immobili ecclesiastici privi di uso è presente uno scenario di grande interesse: la valorizzazione immobiliare sociale. Questo è uno degli ambiti di lavoro della Fondazione Summa Humanitate che accompagna gli enti ecclesiastici nello studio di riusi volti al bene comune. La Fondazione cerca, seleziona, affianca nella progettazione partner del terzo settore che abbiano finalità prossime a quelle della proprietà. In termini ecclesiali si parla di dare continuità al carisma della proprietà. In relazione all’ambito immobiliare il tema è quello del riuso e della valorizzazione immobiliare sociale, ambito complesso che necessita di un approccio interdisciplinare (architettura, economia, diritto civile, diritto canonico, ecologica). Attraverso il riuso dell’immobile non si persegue il raggiungimento del massimo profitto, bensì la produzione di valore immateriale offerto dai servizi ospitati nell’immobile, che dovranno comunque avere un equilibrio economico a valere nel tempo.

Lo stesso impiego hanno avuto altri immobili ecclesiastici a Padova e Palermo. A Roma un ex noviziato di proprietà di un istituto religioso nato per il sostegno della gioventù è stato locato all’associazione Davide Ciavattini onlus per ospitare gratuitamente le famiglie e i bambini oncoematologici in cura presso l’ospedale Bambino Gesù.

Grazie al lavoro della Fondazione Summa Humanitate un immobile ecclesiastico a Padova è stato ceduto alla onlus Itaca https://progettoitaca.org/ che lo sta trasformando in una club house per giovani adulti con disagio psichico.

Sempre nella capitale due case per ferie – attività extralberghiera messa in crisi sia dall’avvento dei B&B che dalla professionalizzazione della gestione – sono state trasformate l’una in ostello internazionale per la gioventù, l’altra in uno studentato universitario, sempre in sinergia con enti no profit.

La tutela del valore materiale e immateriale dei monasteri
Tra i diversi immobili ecclesiastici meritano particolare attenzione i monasteri, luoghi delle comunità di monaci o monache dediti alla preghiera contemplativa e portatori di tradizioni più che millenarie che hanno contribuito in modo fondamentale alla costruzione della nostra storia e che attraversano un tempo di grave cambiamento. A ciò è dedicata la prima summer school per il riuso dei monasteri che si svolgerà a Lucca nel a luglio (nella foto di copertina). A partire da un caso di studio la scuola si prefigge di elaborare strategie eventualmente replicabili su altre realtà e altri luoghi. Promossa dall'Università di Bologna, dall'IMT_Scuola Alti Studi di Lucca e dal Centro Studi Ghirardacci, la Summer School è aperta a studenti e professionisti e supportata da diversi enti ecclesiastici.

Immobili ecclesiastici e cura della casa comune
Dopo l’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune è diventato evidente che gli immobili ecclesiastici sono tenuti, non solo a ridurre il proprio impatto ambientale attraverso il miglioramento energetico, ma anche ad essere teatro di azioni di giustizia sociale. Così hanno trovato conferma o preso avvio attività volte alla riduzione dell’impronta ecologica degli immobili ecclesiastici accompagnate da attività di inclusione sociale.

  • Ricordiamo il lavoro del Global Catholic Climat movement GCCM rete mondiale di coordinamento per l’applicazione dell’enciclica Laudato si’. Il GCCM ha contribuito tra le altre cose alla redazione della guida per parrocchie e comunità ecologiche, strumento che traduce in azioni concrete le linee tracciate dal pontefice. A breve uscirà una seconda edizione. Per il momento il documento è scaricabile qui
  • Altro strumento di aiuto alle comunità è l’app Laudato si’ compliance for Property that Delights Creator and Creation per la valutazione dello stato degli immobili ecclesiastici e delle attività svolte negli stessi, in coerenza con le raccomandazioni dell’enciclica così da suggerire soluzioni e valutare i miglioramenti intrapresi. Scrivi qui per info.
  • Infine si riporta l’attività di fratello sole, società no profit promossa da enti ecclesiastici con la finalità di combattere la povertà energetica attraverso attività di miglioramento energetico congiunte con soluzioni finanziarie dedicate in particolar modo agli immobili ecclesiastici che ospitano servizi caritativi.

Immobili per attivare nuovi processi
Chiamata da Papa Francesco a “uscire dal proprio recinto”, la Chiesa italiana può utilizzare l’eccedenza del proprio patrimonio immobiliare per dar vita a nuovi servizi in collaborazione con enti del terzo settore, generando bene comune mediante le attività offerte e nuovi posti di lavoro. Potremmo forse parlare di retro innovazione: nuovi contenuti per vecchi contenitori. Ovvero i luoghi della carità continuano a svolgere in modo nuovo la loro missione. Le esperienze narrate suggeriscono inoltre che anche l’ambito immobiliare, spesso feroce scenario di speculazione, può essere un luogo di innovazione sociale rispondendo con chiarezza alla richiesta del Papa di “attivare processi più che occupare spazi”.


*Francesca Giani – Architetto della Fondazione Summa Humanitate e PhD student DICEA Sapienza università di Roma


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