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Val d’Enza, Anfaa: «un bambino non è proprietà di nessuno, neanche dei suoi genitori biologici»

Le riflessioni dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie a margine dei fatti/reati della Val d'Enza: «Uno spropositato stravolgimento del dibattito e il pericolo di un aprioristico ritorno alla difesa dei legami di sangue»

di Redazione

Profondo dolore, ma anche una «fondata preoccupazione e arrabbiatura» per quanto è successo in Val D’Enza, ove le «presunte collusioni fra gli Operatori dei Servizi pubblici (Assistenti sociali, Psicologi, etc.), le presunte falsificazioni di relazioni e testimonianze dei minorenni coinvolti anche da parte di consulenti (Claudio Foti e i suoi collaboratori) e la scarsa attenzione, se non l’assenza, delle Autorità giudiziarie minorili – così come documentate nell’Ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia – avrebbero portato all’allontanamento di alcuni minorenni e all’affidamento degli stessi ad affidatari impreparati e improvvisati, se non – in alcuni casi – inadeguati a svolgere il loro ruolo nei confronti di minori, già così duramente provati». Così scrive l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie in un documento di riflessione a margine dei fatti di Bibbiano.

«Ciò che in questo momento ci preoccupa maggiormente è il futuro dei bambini e ragazzi coinvolti nella vicenda, nonché il futuro dell’intero sistema di tutela dei minorenni, sia per quanto riguarda l’affido sia per quanto riguarda l’adozione: laddove tali condotte fossero accertate, infatti, vorrebbe dire che è venuta meno quell’attività di verifica puntuale e rigorosa in merito alle reali condizioni di vita dei minori da parte delle Istituzioni che avrebbero dovuto tutelarli».

Anfaa stigmatizza il fatto che sulla vicenda «si sono espressi – e continuano ad esprimersi – giornalisti e professionisti competenti, ma anche altri incompetenti: intellettuali saccenti e disinformati hanno rilasciato dichiarazioni e interviste, esprimendo opinioni e creando, ad arte, confusione anche sui termini utilizzati (ad es. confondendo gli affidamenti con le case famiglia/comunità)». Quanto alla politica, la richiesta di costituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare «sarebbe la terza in pochi anni e le precedenti non hanno portato nessun risultato tangibile…», mentre «i Ministri Salvini e Di Maio non hanno perso l’occasione per rilasciare dichiarazioni inaccettabili, da cui prendiamo le distanze». Della “Squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori”, istituita dal Ministro Bonafede, Anfaa critica la composizione: «nessun coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali, cui istituzionalmente competono la programmazione legislativa (e relativi finanziamenti) e la gestione operativa degli interventi volti a supportare le famiglie in difficoltà, per prevenire l’allontanamento dei minorenni, nonché la promozione, la gestione e il sostegno dei progetti di affido. E nessun coinvolgimento, anche solo a titolo consultivo, delle Associazioni e Reti di affidatari è previsto nella suddetta Squadra».

È passato del tempo dalla prima notizia dell’indagine aperta sui servizi della Val d’Enza: «prima di prendere posizione, abbiamo voluto documentarci e darci il tempo necessario per riflettere», afferma Anfaa. «Ora però vogliamo denunciare la gravissima generalizzazione del fenomeno che si sta facendo sul piano mediatico e politico, che sta travolgendo tutto e tutti e avrà gravi e negative conseguenze, a breve e lungo termine, sui minori stessi, sugli affidatari, nonché sulle famiglie di origine in difficoltà e sul supporto che devono ricevere dai Servizi preposti. Da questo spropositato stravolgimento del dibattito e da molte esternazioni da parte di politici, emerge il pericolo di un aprioristico ritorno alla difesa dei legami di sangue. Siamo stati sempre in prima linea (e lo siamo tutt’ora) ad affermare il diritto del minore a crescere nella sua famiglia di origine, famiglia che, se in difficoltà, deve essere aiutata dalle Istituzioni. Nel contempo però affermiamo con forza che il bambino non è proprietà di nessuno – neanche dei suoi genitori biologici – e che il suo diritto a una crescita in una famiglia affettivamente e educativamente adeguata debba essere sempre tutelato».

Per questo Anfaa negli anni passati è stata «in prima linea a chiedere una legislazione promuovesse l’affidamento familiare, come risorsa che affianca la famiglia di origine nella crescita del minorenne, quando questa famiglia – pur con i necessari aiuti – non è in grado di provvedere da sola alle sue esigenze. Lo stesso impegno l’abbiamo sostenuto nella elaborazione e nella corretta applicazione della legislazione riguardante l’adozione come diritto del minore in stato di adottabilità ad avere una famiglia».

«Vogliamo urlare a gran voce che purtroppo i maltrattamenti e gli abusi, anche sessuali, esistono e provocano sofferenze e ferite difficilmente arginabili», afferma Anfaa: «riuscire a lenire le sofferenze dei bambini che le hanno subite e aiutarli a far ritrovare la fiducia in se stessi è un percorso lungo e impegnativo, per questi minori e per le famiglie che li hanno accolti e li accolgono… e le nostre famiglie affidatarie e adottive ben lo sanno! Ridare a questi bambini e ragazzi fiducia in loro stessi e negli altri, accompagnarli nel percorso della vita, supportare i loro momenti ”bui”, le loro regressioni, le loro esplosioni di rabbia contro se stessi e contro tutti… non è facile. Purtroppo, questo percorso non sempre è accompagnato da un adeguato e competente sostegno dei Servizi socio-sanitari e della stessa Magistratura minorile. Non tutte le Istituzioni preposte assolvono alle loro competenze, più volte siamo intervenuti per segnalare ritardi e carenze del sistema. Non si tratta di cambiare la normativa vigente, ma di applicare, tempestivamente e bene, quella che abbiamo».

Ecco quindi le criticità del sistema, secondo Anfaa: «Va tenuto presente che – come ampiamente documentato nei Rapporti sull’attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo degli ultimi anni (www.gruppocrc.net) – i tagli alla spesa sociale e alla sanità sono stati consistenti e non si può intervenire e operare bene senza adeguati finanziamenti e una corretta allocazione delle risorse. In base anche alle nostre conoscenze ed esperienze, possiamo affermare che l’allontanamento di queste/i bambine/i avviene sovente dopo anni di “distrazione” da parte di operatori sociali, medici, insegnanti etc., che hanno tardato a segnalare ai giudici minorili situazioni di abuso e maltrattamento. Ma se i minori, per essere tutelati, non vengono segnalati da quanti sono in diretto contatto con loro, chi altri può farlo? I Giudici minorili, a loro volta, non sempre hanno agito o agiscono tempestivamente: passano a volte mesi e anni prima che venga preso un provvedimento e non sempre questo provvedimento è quello più appropriato. La mancata precoce individuazione delle situazioni, il ritardo nella segnalazione, la scarsa tempestività dei provvedimenti da intraprendere vengono, giustamente, definiti “abusi istituzionali”, che vanno , purtroppo, ad aggiungersi a quelli già subiti dai minori nella loro famiglia».

La reticenza a segnalare queste situazioni «viene giustificata con il timore delle reazioni dei genitori e parenti: è entrato nell’immaginario collettivo, ormai, che gli operatori e i giudici “rubano i bambini”. Ma questo non risponde al vero! Sappiamo bene che i genitori e/o i parenti che hanno avuto rapporti significativi col minore e il minore stesso sono assistiti da un avvocato, fin dall’inizio dei procedimenti, sia quelli riguardanti la limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale, sia quelli per l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità».

In questa «campagna tesa a denigrare il ruolo degli affidatari», si è molto parlato dei compensi ad essi erogati: sono semplicemente, in realtà, dei rimborsi per le spese che essi sostengono per il mantenimento dei minori e che consentono anche a famiglie idonee e non abbienti questa scelta di accoglienza. Oltretutto in molte Regioni le famiglie non ricevono questi rimborsi e di fatto l’accoglienza è a costo zero per gli Amministratori.

Per concludere, dice Anfaa, «è triste constatare che la stampa e i media non abbiano fatto “vera” informazione: accanto ai fatti oggetto di indagine penale, cui hanno dato molta evidenza e clamore, non è stata fornita, parallelamente, una corretta informazione sulla realtà dell’affidamento familiare, cioè quella quotidianità vissuta dai protagonisti, i minori, che nella stragrande maggioranza dei casi vengono allontanati dalla famiglia d’origine per la sua incapacità a svolgere la funzione genitoriale.

A differenza di quanto accaduto a Bibbiano, nelle nostre esperienze assistiamo spesso ad un “favor” da parte dei giudici e degli operatori socio-sanitari verso la famiglia di origine e ad una “diffidenza” nei confronti degli affidatari che porta a privilegiare il rapporto del minore con i genitori biologici, nonostante le frequenti valutazioni psicologiche e sociali negative su di essi. È superfluo ribadire come tutto questo possa nuocere alla crescita sana e al positivo sviluppo affettivo-relazionale di questi bambini e ragazzi».

Photo by Wendy Aros-Routman on Unsplash


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