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La promessa tradita della Terra dei Fuochi

Tra i comuni di Napoli e Caserta i roghi tossici si sono quintuplicati durante il governo Conte con all'ambiente il ministro Sergio Costa. La denuncia delle associazioni della Rete di Cittadinanza e Comunità

di Anna Spena

L’aria nella terra dei fuochi puzza. E d’estate si sente ancora di più. A tenere le finestre aperte il fetore di plastica, fogna e chissà quale altra porcheria riempie la casa e i polmoni. Questa è la puzza della morte. Che fine hanno fatto le tante e belle promesse che il ministro dell’ambiente Sergio Costa ha fatto ad una popolazione che abita nei 57 comuni (tra Napoli e Caserta), nei quali risiedono circa 2 milioni e mezzo di abitanti? Che fine ha fatto il protocollo sottoscritto a novembre 2018 dai Ministeri dell’Ambiente, dell’Interno, dello Sviluppo economico, della Difesa, della salute, della giustizia, dall’autorità politica per la Coesione-ministro per il sud, e dalla Regione Campania? “La parola chiave è prevenzione, e chiarire chi fa cosa”, diceva Sergio Costa. Eppure la terra dei fuochi brucia più che mai. «Dal 2012», spiega Vincenzo Tosti, attivista della Terra dei Fuochi e tra i fondatori dell’associazione Rete di cittadinanza e comunità, «Qui non è cambiato proprio niente. Anzi le cose continuano a peggiorare. Certo adesso sappiamo che la Terra dei Fuochi esiste. Ma la gente continua a morire, i roghi a bruciare, i rifiuti tossici a riempire i terreni».

Ma perché? «Qui, in queste terre esiste il “cartello della monezza” che serve a fare e a coprire atti criminali. Dall’inizio di giugno il numero dei roghi appiccati si è quintuplicato. Ma non tutti vengono registrati perché i vigili del fuoco sono sotto organico e non sempre riescono ad arrivare in tempo, e quindi quel rogo agli atti non esiste. Di fatto se vengono registrati 5 roghi in un giorno ce ne saranno stati almeno venti in più».

Appena diventato ministro Costa aveva fatto una promessa: mettere i problemi ambientali e nello specifico quello delle Terra dei Fuochi come priorità del suo mandato da ministro.

Ma la verità è che la questione ambientale non ha mai veramente interessato nessuno dei due schieramenti politici da cui provengono (ancora per pochissimo) i nostri vicepremier.

«Il lavoro di Sergio Costa», continua Tosti, «al di là di un po’ di propaganda, non ha prodotto nessun risultato. Il ministro sapeva bene che il suo lavoro, con il governo attuale, non sarebbe stato facile. Forse sarà stato ostacolato, ma comunque non è stato coerente. E doveva dimettersi. Perché non l’ha fatto visto che non ha tenuto fede alle sue promesse?».

Qualche giorno dopo l’inizio della crisi di governo, Costa aveva dichiarato: “Statisticamente i roghi avvengono sempre nella stessa maniera. Si sa dove accendono i fuochi, a che ora, con quale modalità. Per prevenirli bisogna fare degli appostamenti, e poi arrestarli e portarli in galera. Ma quelli non li posso fare certo io, il ministro dell'Ambiente non ha il potere sulle forze di polizia", scaricando quindi la “palla” a Salvini. (Come mai solo adesso e non prima, ma questa è un’altra storia).

E questo da un punto di vista formale è vero, ma quello che da sempre chiedono i cittadini del territorio non è la militarizzazione dei comuni, bensì «il mettere in pratica le leggi», dice Tosti. «Il primo problema delle Terra dei Fuochi è la totale inettitudine delle amministrazioni locali nel gestire la questione dei rifiuti. Lo stesso vale su scala regionale. E allora se sindaci e regione non sono in grado è lì che dovrebbe intervenire – tramite le prefetture – lo stato centrale. Il governo si doveva assicurare che i governi territoriali osservassero le leggi tramite i loro presidi territoriali ovvero le prefetture. Perché non si è mai fatto niente? Perché i comuni che non controllano il loro territorio non vengono sciolti? Nelle campagne incendiano tutto quello che viene da un indotto industriale sia legale che illegale. La verità è che qui tutti i governi sono ostaggio dei signori della monezza. Perchè?».


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