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Delpini, discorso alla città di Milano: “Benvenuto futuro!”

Ieri sera nella basilica di Sant'Ambrogio il vescovo di Milano ha prnunciato il tradizionale messaggio alla città: «Io non sono ottimista, io sono fiducioso. Sono uomo di speranza, perché mi affido alla promessa di Dio e ho buone ragioni per aver stima degli uomini e delle donne che abitano questa terra»

di Redazione

Ecco qualche passaggio del discorso di Mons. MArio Delpini alla città di Milano pronunciato nella Basilica di Sant'Ambrogio ieri sera intitolato “Benvenuto futuro!”.

«Io non sono ottimista, io sono fiducioso. Non mi esercito per una retorica di auspici velleitari e ingenui. Intendo dar voce piuttosto a una visione dell’uomo e della storia che si è configurata nell’umanesimo cristiano. Credo nella libertà della persona e quindi alla sua responsabilità nei confronti di Dio, degli altri, del pianeta. E credo nella imprescindibile dimensione sociale della vita umana, perciò credo in una vocazione alla fraternità».

Non coltivo aspettative fondate su calcoli e proiezioni. Sono invece uomo di speranza, perché mi affido alla promessa di Dio e ho buone ragioni per aver stima degli uomini e delle donne che abitano questa terra. Non ho ricette o progetti da proporre, come avessi chissà quali soluzioni. Sono invece un servitore del cammino di un popolo che è disposto a pensare insieme, a lavorare insieme, a sperare insieme. Non è il futuro il principio della speranza; credo piuttosto che sia la speranza il principio del futuro.

Lo sguardo cristiano sul futuro non è una forma di ingenuità per essere incoraggianti per partito presto, piuttosto è l’interpretazione più profonda e realistica di quell’inguaribile desiderio di vivere che, incontrando la promessa di Gesù, diventa speranza. Non un’aspettativa di un progresso indefinito, come l’umanità si è illusa in tempi passati; non una scoraggiata rassegnazione all’inevitabile declino, secondo la sensibilità contemporanea; non la pretesa orgogliosa di dominare e controllare ogni cosa, in una strategia di conquista che umilia i popoli. Piuttosto la speranza: quel credere alla promessa che impegna a trafficare i talenti e a esercitare le proprie responsabilità per portare a compimento la propria vocazione»

Per guardare al futuro è necessario che il futuro si realizzi con le nuove generazioni. Purtroppo il nostro Paese sta sempre più invecchiando, manifestando una grave crisi demografica.

Il futuro sono i bambini. Una crisi demografica interminabile sembra desertificare il nostro Paese e ne sta cambiando la fisionomia. Le proiezioni sul domani sono allarmanti, sia per il mondo del lavoro, sia per la sostenibilità dell’assistenza a malati e anziani, sia per il funzionamento complessivo della società. Le prospettive sono problematiche, ma ancora più inquietanti sono le radici culturali.

Perché spesso prevalgono interessi individualistici, un orizzonte legato al proprio benessere egoistico. «Siamo autorizzati a pensare e a ripensare criticamente le nostre scelte. Io personalmente ho scelto di non avere figli. Ho sperimentato piuttosto la fecondità di una vita dedicata ai figli degli altri. Non ho figli, ma ho raccolto confidenze ed esperienze di molte famiglie e riesco a intuire la bellezza e la fatica di avere figli».

Il futuro invoca dialoghi che condividono la ricerca del bene comune piuttosto che conflitti per il proprio tornaconto; l’assunzione di responsabilità e la disponibilità a «mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo» piuttosto che limitarsi alla lamentela, alla denuncia, alla denigrazione. Dove la comunità è invisibile, la società si fa invivibile e lo diventa laddove si privilegia la cura dei luoghi piuttosto che i luoghi della cura.

Non si deve però distogliere lo sguardo dai molti problemi drammatici che talora rendono l’adolescenza e la giovinezza un tempo di rischi e di trasgressioni pericolose, di avvio di dipendenze che possono compromettere la libertà e la serenità per tutta la vita. Il diffondersi delle droghe, dell’alcolismo, delle ludopatie, delle videodipendenze, dei disturbi alimentari (dalla bulimia all’anoressia) crea un problema sociale allarmante. Siamo autorizzati a pensare alle radici, alle responsabilità, ai rimedi che abbiamo la responsabilità di offrire alle giovani generazioni. La fragilità dei rapporti di famiglia, la malizia di chi trae vantaggio dalle dipendenze degli adolescenti e dei giovani, la facilità di accesso a sostanze e abitudini rovinose espongono a rischi preoccupanti.

È necessario che si costruiscano alleanze tra tutte le istituzioni educative, scolastiche, sportive, le forze dell’ordine, le amministrazioni locali perché la sola repressione non è mai efficace. Sempre è necessario offrire motivazioni, accompagnamenti attenti e pazienti, sostegno nelle fragilità e nelle frustrazioni che la vita non risparmia a nessuno, interventi tempestivi, affettuosi e forti. Siamo tutti chiamati a essere protagonisti nell’impresa di edificare una comunità che sappia anticipare e suggerire il senso promettente e sorprendente della vita e proporre una narrativa generazionale che custodisca i verbi del desiderare, del mettere al mondo, del prendersi cura e del lasciar partire. La comunità cristiana si dichiara pronta a offrire il suo contributo ed entra volentieri in questa alleanza con tutte le istituzioni e la società civile, per ribadire sempre: benvenuto, futuro!

Qui il testo integrale


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