Cooperazione & Relazioni internazionali

Pisapia: «Se fosse il Coronavirus a guarire l’Europa?»

L’ex sindaco di Milano Pisapia, ora eurodeputato indipendente eletto con il Pd, nel giorno in cui sembra che il contagio stia raggiungendo anche gli altri Paesi Ue, ragiona del ruolo dell’Italia in questa emergenza e su come l’Europa possa sfruttare questa crisi per provare a risolvere i propri problemi. Con una speranza: «che l’Italia metta a disposizione le best practices sin qui adottate per affrontare questa emergenza»

di Lorenzo Maria Alvaro

In queste ore la Francia registra i primi casi di contagio non legati a Italia, Cina e Iran. El Pais in prima pagina sul proprio sito parla di contagio atteso per la settimana santa, la Germania conta 40mila infezioni di influenza (tante come quelle registrate in tutto il resto dell’anno) e parla apertamente di epidemia mentre in UK i medici hanno lanciato un appello al Governo perché non preparati a fronteggiare un eventuale emergenza. L’Italia che fino a ieri era considerata la malata d’Europa oggi è diventata un modello di gestione emergenziale. Con Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano e oggi eurodeputato indipendente eletto con il Pd, abbiamo ragionato del ruolo dell’Italia in questo contesto e del futuro dell’Europa.


L’Italia, nonostante una comunicazione non sempre all’altezza, sembra essere riuscita, soprattutto grazie ai tecnici (medici e protezione civile), a gestire l’emergenza sanitaria. Non è ancora finita naturalmente ma si può dire una volta di più che abbiamo un ottimo sistema sanitario che è un’eccellenza in Europa?
Il sistema sanitario italiano si conferma assolutamente tra le punte più avanzate a livello mondiale. Abbiamo medici e infermieri che con ammirevole abnegazione si sono dedicati e si dedicano 24 ore su 24 a questa emergenza sanitaria. Un pensiero particolare va a quei medici e infermieri che operano nelle aree definite di zona rossa e che lavorano e vivono nelle strutture ospedaliere di quei territori. Premesso tutto questo, uno dei nodi venuti al pettine è il potere concesso alle singole regioni con la riforma del Titolo V della Costituzione. Non sono io a dirlo, ma esperti come Walter Ricciardi, membro del consiglio esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità. Personalmente ero contrario alla riforma, e in Parlamento avevo votato contro quella modifica costituzionale che avrebbe creato una sanità di serie A e di serie B a seconda della regione. Faccio un esempio: alcune regioni hanno adottato iniziative e controlli che sono andati oltre le indicazioni previste a livello nazionale. Capisco la buona volontà, ma alla fine tutto questo ha contribuito a creare quelle distonie di comunicazione registrate in questi giorni.

La nostra gestione è stata improntata alla trasparenza e al contenimento. In molti, soprattutto in Europa ci hanno criticato e stiamo scontando grandi difficoltà economiche che pagheremo sul medio e lungo periodo. Potevamo fare diversamente o è stato l’unico modo per gestire questo tipo di situazione?
Ex post è molto facile criticare e suggerire. É probabile che qualcuno dei provvedimenti presi sia stato sproporzionato, ma penso che sia a livello nazionale che locale il primo obiettivo sia stato il contenimento della diffusione del virus. É sempre positiva una gestione trasparente purché i messaggi siano coerenti e non contraddittori. Ad esempio sul numero dei contagiati non vi è stata quella chiarezza in grado di far distinguere chi era effettivamente sintomatico e chi invece non lo era. Questa cosa ha generato piccole e grandi incertezze e a livello internazionale ha dato adito a messaggi ingiusti e vergognosi nei confronti del nostro Paese.

Il problema che si temeva in Italia non era tanto il virus quanto un contagio su larga scala che avrebbe messo in seria difficoltà il sistema sanitario nazionale. Gli altri Paesi Ue hanno preferito scegliere invece una strada di basso profilo e pochi controlli. È possibile che oggi non esista un protocollo unitario di azione rispetto alle emergenze sanitarie in Europa?
A livello di Unione Europea i singoli trattati non prevedono una comune politica sanitaria che è rimasta di competenza dei singoli Stati. Una crisi come quella legata al Corona Virus, che coinvolge senza alcuna distinzione l’intero globo, pone agli occhi di tutti quanto sia limitante questa visione “nazionalistica” della sanità. Ogni Stato europeo ha deciso di promuovere motu proprio i controlli che riteneva più utili, e almeno sino ad ora, di non condividere appieno i dati come ha ad esempio evidenziato Federico Fubini dalle colonne del Corriere della Sera. É da augurarsi che il Consiglio europeo, al quale partecipano i 27 Stati dell’Unione europea, faccia quei passi in avanti indispensabili per una politica sanitaria europea comune. I segnali purtroppo non sono positivi.

In queste ore lo scenario sta cambiando. Come si temeva sembra che il virus stia aggredendo anche Francia, Germania, Spagna e UK. Addirittura sembra che alcuni paesi (come la Germania, fonte Dagospia) avrebbero preferito in qualche modo non guardare al problema. Oggi se i nostri timori erano fondati c’è il rischio che questi Paesi si trovino ad affrontare la crisi sanitaria che in Italia abbiamo provato ad evitare dall’inizio?
Non entro nel merito delle questioni legate ai singoli Stati. Mi auguro, e ne sono certo, che l’Italia ove sarà necessario metterà a disposizione dei nostri partner europei le best practices sin qui adottate per affrontare questa emergenza.

Nel caso i sistemi sanitari degli altri Paesi dovessero andare in difficoltà la scelta sarebbe se sospendere Schengen oppure attuare misure simili a quella pensate sui migranti con i malati. Lei che ne pensa?
Non sono un tecnico, non sono un medico e quindi non voglio avanzare ipotesi azzardate. Dico solo che limitare la Convezione di Schengen non mi sembra una soluzione ai problemi che tutti insieme dobbiamo affrontare. Non è con la riduzione della libertà di circolazione delle persone all’interno del territorio comunitario che si debellano emergenze sanitarie come questa.

Si potrebbe immaginare che questo virus possa essere l’occasione perché l’Unione Europea divento davvero un’unione di popoli?
Come ho detto prima mi auguro che a livello di Consiglio europeo si superino quelle logiche nazionali che hanno sino ad ora relegato la politica sanitaria a una questione statuale. Penso che il Parlamento Europeo abbia ben chiara questa cosa al di là degli schieramenti. L’unione dei popoli rappresenta il futuro dell’Europa: la tutela della salute sarà più forte e più efficace se ci sarà un impegno comune e se, nei momenti di difficoltà, non si lasceranno soli i singoli Stati.

Sarebbe anche l’occasione per permetter alle aziende europee di emettere virus bond come in Cina, evitare di far rientrare le spese sanitarie emergenziali nel debito e in generale di andare verso a una gestione più comunitaria, nel senso più ampio del termine, delle questioni generali?
Un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo e che ha provocato enormi danni a livello sociale, economico e produttivo, non può essere affrontata con politiche restrittive di bilancio e con le visioni miopi che abbiamo visto “trionfare” in questi giorni in occasione della discussione sul bilancio pluriennale dell’Europa. Occorrono sforzi straordinari e fondi mirati per nuovi investimenti e per far ripartire una macchina che, solo in Italia, ha subito contraccolpi enormi in tutti i comparti: dal turismo alla produzione industriale. Il Commissario agli affari economici e finanziari dell’UE Paolo Gentiloni ha già posto attenzione su politiche più elastiche, ma è bene che dalle parole si giunga a fatti reali e concreti e che si ponga fine a divisioni e visioni misere come quelle di alcuni Paesi dell’Est e del Nord Europa.


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