Education & Scuola

Scuole chiuse in tutta Italia: prove tecniche di comunità

C'è la conferma di Conte, sospensione della didattica fino al 15 marzo. L’esperienza di scuola a distanza messa in piedi in questi giorni dalle scuole della zona rossa e gialla cessa in questo istante di essere un curioso catalogo di best practice da presentare nei tg e diventa il nucleo concreto di un’esperienza da condividere con tutta la scuola italiana. Le riflessioni di tre dirigenti su strumenti, equità d'accesso e inclusione

di Sara De Carli

Edmodo, classroom, weschool. Siti, app, piattaforme, link. Meglio questo, no meglio l’altro. Ragazzi, vi mando il link. Ragazzi, ho fatto la scansione di alcuni esercizi da un altro libro di testo: stampateli (se potete), altrimenti fateli sul quaderno. Messaggi su whatsapp: la prof di musica ha creato un corso su classroom. Quella di arte ha assegnato due tavole sul registro elettronico, l’avevi visto? In Lombardia siamo al decimo giorno di chiusura delle scuole. Le scuole – ha annunciando il premier Conte – saranno chiuse (tecnicamente è una sospensione della didattica) fino al 15 marzo, questa volta in tutto il Paese, da domani.

Seppure con un po’ di fai da te e di confusione, la scuola ha mostrato in questi giorni la volontà di esserci. Prima di tutti i distinguo, prima di dividere scuole e i prof fra esperti e improvvisati, fra chi è partito subito perché aveva alle spalle un lavoro di anni nell’integrazione del digitale nella didattica e chi sta ancora cercando di capire come fare, il primo punto è questo, che «la scuola, in un momento in cui altre istituzioni non sembrano avere la bussola, sta mantenendo la barra dritta. Dice “noi ci siamo”. Il dibattito su quali tecnologie usare, è fuorviante. Come – ma sicuramente il mio giudizio è viziato dal fatto che dirigo un Istituto comprensivo – il “che cosa” stiamo facendo con i ragazzi, se riusciamo a garantire lezioni per una, due o tre ore è meno importante del fatto che ci sia una continuità nel rapporto con la scuola e che i ragazzi non siano soli. L’onda morale che si è creata spontaneamente in questi giorni è un elemento da mettere in evidenza». Parla così Antonio Fini, dirigente dell’Istituto Comprensivo di Sarzana. Centra il punto, da cui è importante ripartire in questi minuti, quando l’esperienza messa in piedi in questi giorno dalle scuole della zona rossa o gialla cessa di essere un curioso catalogo di best practice da presentare nei tg e può diventare il nucleo concreto di un’esperienza da condividere con tutta la scuola italiana.

Abbiamo girato tre domande a tre dirigenti scolastici in prima linea, con alle spalle anni di consolidata esperienza di scuola digitale e di didattica innovativa:

1. L’emergenza Coronavirus, cosa ci dice rispetto al “a che punto è la scuola italiana”?

2. La didattica a distanza presuppone la disponibilità di una strumentazione di base: un computer, uno smartphone, una connessione. E chi non li ha? C’è un tema di equità nell’accesso per i ragazzi? Come è stato affrontato e risolto?

3. La scuola non è solo “andare avanti con il programma”. Le scuole come stanno coinvolgendo gli studenti con disabilità o bisogni educativi speciali, che hanno un PEI?

Alfonso D’Ambrosio, dirigente scolastico dell’IC di Vo’ Euganeo
Lunedì 24 febbraio, Vita ha raccontato per prima il fermento dell’IC di Lozzo Atesino, che vede al suo interno anche la scuola di Vo’, una delle prime d’Italia ad essere chiuse. Alfonso D’Ambrosio, il dirigente scolastico, raccontava della domenica pomeriggio al lavoro in collegamento con una trentina di suoi docenti, per farsi trovare pronti a partire con delle lezioni online subito dopo le previste vacanze di Carnevale. Quel che hanno fatto in questi giorni lo abbiamo visto su tutti i tg. Questa mattina D’Ambrosio (classe 1977) alle 8,15 era in auto verso Bassano del Grappa, per una lezione di robotica da tenere insieme gli esperti di CampuStore: in diretta, ovviamente, con gli alunni della scuola collegati dalle loro case. Con lui c’erano il suo animatore digitale, Carlo Maron, ingegnere e insegnante di musica (classe 1985) e la prof Maria Tatiana De Pascali (classe 1979), che insegna lettere. «Fare didattica a distanza non significa elettrificare l’analogico, è ovvio. Ma in questo momento le critiche non servono. Io stesso ho dato delle linee guida ma non me la sono sentita di imporre un modo di lavoro… La differenza la fa la squadra, la condivisione. Per esempio la professoressa De Pascali ha creato e condiviso dei video tutorial per spiegare le funzioni base di Teams», dice.

A Vo’ oggi sono arrivati 25 tablet e 25 chiavette, inviati dal MIUR: «Ne manderà mille nelle zone rosse, proprio per il tema dell’accesso per tutti. Faccio una analogia: con l’obbligo di istruzione noi abbiamo di pari passo garantito dei servizi come la mensa per il tempo pieno alla primaria o gli scuolabus spesso offerti dai comuni. Oggi l’equivalente del pulmino è la connettività, l’Agenzia per l'Italia digitale ha fatto tanto ma non basta, perché non basta la vision, servono i fatti. Dobbiamo capire che il Paese deve avere delle infrastrutture performanti, fare in modo che ci sia un wifi comunale gratuito, a Este e Padova c’è. Oppure fare come per la tv, mettere nella bolletta il canone internet, in modo che tutti abbiano una connessione. Altrimenti è inutile parlare di obbligatorietà ed accesso. Noi abbiamo una quarantina di studenti che realmente non hanno strumenti e connettività, togliendo l’infanzia e le prime due classi della primaria arriviamo al numero che ho segnalato al Miur».

Antonio Fini, dirigente dell’IC di Sarzana
La sua scuola fa parte della rete di Avanguardie Educative. In accordo con il Ministero dell’Istruzione, INDIRE – grazie al supporto delle scuole di questo Movimento – ha lanciato ieri un’iniziativa di solidarietà tra scuole per superare l’emergenza Covid19 e sperimentare soluzioni per la didattica a distanza con metodologie e strumenti innovativi. L’iniziativa si chiama “La scuola per la scuola” e nella sua prima giornata ha visto 2mila docenti partecipare ai webinar di formazione. Oggi pomeriggio anche Antonio Fini ne ha tenuto uno, dal titolo “Non restiamo isolati. Come coinvolgere docenti e alunni nella didattica online, non solo in emergenza”.

Cosa è emerso in questi giorni? Come è messa la scuola italiana? «Come al solito ci sono luci e ombre. Apprezzabile è la grande disponibilità da parte della stragrande maggioranza degli insegnanti, in alcuni casi anche sorprendente». Sul fatto che tutte le iniziative siano di qualità… «è un tema delicato», ammette. «Ho visto alcune alzate di sopracciglio dinanzi al fatto che in pochi giorni tutti siano diventati esperti… È vero che chi aveva già una infrastruttura e un nucleo di docenti esperti ha fatto presto a partire, noi già lunedì 24 eravamo operativi. L’infrastruttura è importante: rispetto alle piattaforme, se tutti gli studenti non avevano l’account già da prima, con le liberatorie, ora sei bloccato. Questo non si improvvisa, è vero. Però non butterei via il movimento spontaneo dei tanti che si sono avvicinati per la prima volta, lo trovo poco generoso. Anche perché chi non ha le piattaforme può usare il registro elettronico, che a sua volta spesso ha le possibilità tecniche per far arrivare contenuti o avere risposte dai ragazzi… Un altro elemento importante è la multicanalità, devi usare più canali perché questo ti consente di raggiungere tutti», spiega Fini. Che sulla questione “esclusione” aggiunge: «È nostro compito sapere chi abbiamo davanti: gli insegnanti sanno quali sono, su 25 alunni, quei due o tre bambini che possono avere difficoltà di accesso. Quindi la scuola si attiva, chiama a casa, verifica la situazione specifica. È un grande sforzo organizzativo da parte di tutta la scuola. In questo momento sarebbe utile, certamente, avere forniture straordinarie da dare in comodato d'uso ai ragazzi. Senza dimenticare il problema delle connessioni».

Infine, la disabilità. «Intanto cito una piccola esperienza, le insegnanti stanno registrando ora un video in cui spiegano il Coronavirus ai bambini della scuola dell’infanzia, aiutati da alcuni cartelli in CAA. Uno dei canali che usiamo abitualmente sono dei minisiti, dedicati alla scuola primaria e a quella dell’infanzia, accessibili a tutti, linkati sul sito dell’Istituto comprensivo. È un piccolo contributo. La questione è la stessa di prima, la conoscenza della situazione singola. In effetti la scuola è socializzazione e inclusione, acquisire competenze nel gruppo… e davvero in questo momento questo aspetto viene meno. Dobbiamo dirlo in modo sincero, la didattica online non risolve tutti i problemi, come del resto non lo fa la didattica in presenza. Ma nessuno dice che la didattica digitale possa essere sostitutiva della didattica in presenza». La lezione di questa emergenza collettiva? «È che possiamo reagire. Magari per altre future emergenze individuali. Abbiamo capito che è possibile fare una didattica diversa e magari che possiamo smettere di dividerci nelle fazioni del pro e contro la tecnologia a scuola».

Amanda Ferrario, dirigente scolastica dell’ITE Tosi di Busto Arsizio
Cosa ci ha insegnato il Coronavirus? Amanda Ferrario non ha dubbi: «In generale che non bisogna mai rinunciare alla formazione e a buttare il cuore oltre l’ostacolo nell’attività ordinaria, perché tutto quello che si fa torna». Soprattutto sottolinea il «valore della formazione, noi ci siamo trovati avanti perché ne facciamo tantissima. La formazione non può essere volontaria, deve essere obbligatoria: ti torna con gli interessi». Il Tosi di Busto Arsizio è una delle scuole più innovative d’Italia. In questi giorni eccezionali tutti i suoi studenti fanno lezione da casa, con il medesimo orario scolastico di sempre, pomeriggi inclusi: 8-17, con la pausa pranzo. I docenti, da casa loro, all’inizio dell’ora fanno l’appello. Qui tutti gli alunni hanno tutta la strumentazione necessara: «se necessario li diamo in comodato d’uso per tutti anni gli anni di scuola, con la possibilità di riscatto alla fine del quinto anno», dice la dirigente.

«La scuola è fatta di persone, questa è l’altra lezione. In tanti si sono tirati su le maniche, anche nelle scuole meno pronte, compreso qualche docente “insospettabile”. L’obiettivo è stato subito quello di fare comunità. La scuola per tanti versi era più avanti delle politiche ministeriali, non c’erano sostegni pronti ma le scuole erano pronte a fare rete», spiega Ferrario. Venerdì, sabato e domenica dal nulla è nato un sito, creato da docenti e dirigenti delle scuole del Veneto e della Lombardia. Si chiama www.lamiascuoladifferente.it ed è una raccolta di materiali, metodologie, esperienze, strumenti per la scuola. «Risorse di tutti i tipi, dai piccoli tutorial alle piattaforme complesse nato proprio per condividere, fra docenti e dirigenti. Un po’ un “ti faccio vedere che cosa puoi fare, con quello che hai”. La scuola si è riscoperta capace ed è capace perché ha il capitale umano».

Sull’inclusione «dobbiamo riflettere onestamente tanto», ammette Ferrario. «La relazione, a distanza, è un problema. La didattica a distanza perde in relazione e questo significa perdere tanto. Davvero qui lo studente è solo mentre in classe accanto a lui c’è l’insegnante, l’insegnante di sostegno, l’educatore, il gruppo dei pari… A casa, a mattergli una mano sulla spalla, ci sono solo i genitori. Certo un'epidemia rende necessarie delle condizioni di isolamento: da noi stanno provando a lavorare in piccoli gruppetti di studenti, magari in due, e comunque l’età consente di creare quelle relazioni tra pari che possono coinvolgere le persone anche a distanza. Per i più piccoli, ovviamente, è ancora più complicato. La scuola è fatta di relazione, la didattica a distanza non è sostitutiva della scuola: è un tampone che può funzionare in emergenza o per situazioni particolari, ma il valore della comunità deve restare».

Foto Unsplash


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