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La guerra delle mascherine

L’art. 5, comma 5 del D.L. 18/2020, il #CuraItalia, dice che «i dispositivi di protezione individuale sono forniti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e sociosanitari». Ma intanto sono 4.824 gli operatori sanitari con infezione da Coronavirus e 23 i morti. E nelle strutture sociali e socioassistenziali si lavora in prima linea a mani nude. E un diritto sta rischiando di diventare un miraggio

di Sara De Carli

Tamponi ai calciatori e ai politici, ma ai medici no. Persone in fila per la spesa con mascherine ffp2 e ffp3 con valvola ma in corsia, negli ambulatori, nelle RSA, nelle strutture residenziali per disabili sono introvabili persino le mascherine chirurgiche. Ci stanno dicendo tutto e il contrario di tutto: le mascherine non servono, lasciatele ai medici e un minuto dopo indossate tutti le mascherine (ad averle, ovviamente). Sui social come nelle più accorate e intime confessioni fra amici, si moltiplano i medici e gli operatori che raccontano il loro disagio e la loro preocupazione, che va al di là della paura del contagio. Su Facebook intanto i post sponsorizzati gira e rigira arrivano sempre lì, alle introvabili mascherine, che lì invece miracolosamente ci sono. L’art. 5, comma 5 del D.L. 18/2020, il #CuraItalia, afferma che «i dispositivi di protezione individuale sono forniti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e sociosanitari». Ma intanto sono 4.824 gli operatori sanitari con infezione da Coronavirus in Italia su 50.138 (dati Gimbe al 22 marzo 2020). Da oggi il Portale FNOMCeO, listato a lutto, riporta il triste elenco dei medici morti per Coronavirus: se ne contano già 23.

“Gli operatori sanitari tutti sono eroi ma non martiri” hanno scritto Antonio Magi e Pierluigi Bartoletti, Presidente e Vice Presidente dell’Ordine provinciale di Roma dei Medici e degli odontoiatri: «Medici e cittadini italiani hanno ormai compreso che scarseggiano i dispositivi di protezione individuali, i famosi DPI. Ma questo non può giustificare che si peggiori l’attuale drammatica situazione mandando in guerra medici e tutto il personale sanitario con le scarpe di cartone e senza elmetto. Non è tollerabile in un paese civile. La cosa deontologicamente ed eticamente più grave è che colleghi, componenti del gruppo di lavoro dell’Istituto Superiore di Sanità, abbiano abbassato le protezioni del personale sanitario proprio in un momento di massima esposizione al contagio. Cosi si mettono a rischio tutti di coloro che sono in prima linea negli ospedali, negli ambulatori della medicina generale, nei poliambulatori delle ASL, negli ambulatori della guardia medica. Già contiamo troppi morti tra le nostre fila».

È del 20 marzo un nuovo appello del Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO), Filippo Anelli, che ha scritto ai Presidenti delle Regioni e a tutti gli assessori alla salute, reiterando le proprie richieste rispetto alla «problematica dei DPI sistemi di protezione individuali, strumenti senza i quali in un momento come questo i medici non possono letteralmente operare: è prioritario affrontare la fondamentale questione della sicurezza che investe tutti i medici sia quelli impegnati sul fronte ospedaliero che i territoriali impegnati nell’assistenza dei malati della rete primaria».

Due i documenti dell’ISS a cui fare riferimento: il Rapporto ISS-Covid19 numero 2 aggiornato al 14 marzo, Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da sars-cov-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da Covid-19) nell’attuale scenario emergenziale Sars-Cov-2 e il Rapporto ISS-Covid19 numero 4 aggiornato al 16 marzo con le Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell’infezione da sars-cov-2 in strutture residenziali sociosanitarie. In questo secondo report si dice che «quando è necessaria assistenza diretta al paziente, applicare rigorosamente le precauzioni da contatto e droplets nell’assistenza di casi sospetti o probabili/confermati di COVID-19: guanti, mascherina chirurgica, occhiali di protezione/visiera, grembiule/camice monouso; se invece non è necessario contatto diretto, indossare la mascherina chirurgica, mantenersi alla distanza di almeno 1 metro ed evitare di toccare le superfici nella stanza del paziente». Nel primo invece si trova una tabella specifica i DPI raccomandati per la prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 con una declinazione puntuale dei medesimi in relazione al contesto di lavoro, alla mansione e al tipo di attività lavorativa in concreto svolta. Per operatori sanitari, persino nelle stanze di pazienti Covid19 e in assistenza diretta a pazienti Covid19 viene indicata come protezione la sola mascherina chirurgica. «In caso di disponibilità limitata, è possibile programmare l’uso della stessa mascherina chirurgica o del filtrante per assistenza di pazienti Covid19 che siano raggruppati nella stessa stanza, purché la mascherina non sia danneggiata, contaminata o umida. Alle stesse condizioni, i filtranti possono essere utilizzati per un tempo prolungato, fino a 4 ore al massimo», si legge

Gli operatori sanitari sono eroi, ma non martiri. Si sta peggiorando la attuale drammatica situazione, mandando in guerra medici e tutto il personale sanitario con le scarpe di cartone e senza elmetto. Non è tollerabile in un paese civile.

Antonio Magi e Pierluigi Bartoletti, Presidente e Vice Presidente dell’Ordine provinciale di Roma dei Medici e degli odontoiatri

Anche la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) ha denunciato il fatto che i suoi iscritti siano «esaltati come “eroi” la mattina e trattati come merce di scarso valore la sera nei provvedimenti delle istituzioni nazionali e regionali»: «È fondamentale – afferma Barbara Mangiacavalli – la fornitura di DPI consoni alla situazione, che permettano da un lato la protezione degli operatori per evitare le centinaia se non migliaia di situazioni di contagio tra loro, anche grave in alcuni casi fino al decesso, ma, dall’altro, soprattutto per garantire la sicurezza ai pazienti che altrimenti troverebbero proprio in chi li cura e li assiste una fonte probabile di contagio. Questo ovunque e, in particolare proprio nelle strutture che accolgono i più fragili, coloro i quali tengono alta la percentuale di mortalità, come RSA e Hospice, dove i fenomeni negativi si sommano e muoiono, specie nelle aree a maggior rischio, decine di persone anziane ogni giorno».

Non solo gli ospedali

Torniamo al #CuraItalia, che – ricordiamo – all’art. 5, Comma 5 dice che «i dispositivi di protezione individuale sono forniti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e sociosanitari». Ed è la prima volta che il sociosanitario compare. Per realizzare l’obiettivo autorizza una spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2020, per contributi a fondo perduto e per finanziamenti agevolati, per assicurare la produzione e la fornitura di dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale. E produttori e importatori di mascherine chirurgiche e DPI – si legga l’art. 15 del #CuraItalia – possono avvalersi di una deroga sulla marchiatura CE inviando all’Istituto superiore di sanità o all’INAIL una autocertificazione nella quale attestano le caratteristiche tecniche delle mascherine e dichiarano che le stesse rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. I normali cittadini invece sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull'immissione in commercio, a patto che non le indossino sul posto di lavoro.

Intanto però dalla provincia lombarda arriva la notizia che le mascherine ffp3 che l’ATS aveva ordinato per le strutture sociosanitarie, sono state requisite dalla Protezione civile per gli ospedali. Possibile? Eppure l’art. 5, comma 5 del #CuraItalia – se leggiamo l'analisi dell’Unità di Crisi di Anffas del decreto – dice che la norma va intesa «nel senso che devono essere forniti i dispositivi di protezione individuale anche ai medici e agli operatori sanitari e socio-sanitari dei servizi privati, accreditati e non. Infatti i medici ed operatori di tali servizi svolgono compiti di alto rischio e devono anche garantire la possibilità di poter operare a garanzia dell’intera utenza». E c'è un ordine da un milione di mascherine destinate alle cooperative lombarde bloccato da mercoledì all'estero, senza che si riesca per ora a venirne a capo.

Rispetto al rifornimenti di DPI i tecnici di Anffas hanno già prodotto un prototipo di istanza di accesso prioritario: guanti, protezioni anti schizzo, occhiali protettivi e mascherine chirurgiche, pure dotate di filtro FFP2 o FFP3, necessari «per potere svolgere in sicurezza le attività che prevedono il contatto fisico e non possono essere svolte a distanza superiore ad un metro». Molti sono infatti ormai gli enti per cui i DPI sopra indicati sono terminati o in esaurimento e che malgrado le convulse ricerche avviate non sono riusciti a rinvenire quanto necessario sul mercato.

Associazioni, fondazioni, cooperative sociali continuano a operare nelle strutture residenziali per disabili, anziani, minori e famiglie, persone con problemi di salute mentale e dipendenze, così come continuano a operare nelle carceri, nei servizi di bassa soglia e nei dormitori, nei servizi domiciliari… È indispensabile che queste realtà possano aver accesso in modo sistematico e continuativo ai DPI o, se in grado di rifornirsi autonomamente, i loro ordini non vengano intercettati e sequestrati

Valeria Negrini, portavoce del Forum Terzo Settore Lombardia

Il Forum Terzo Settore Lombardia ha chiesto oggi di attivare un’unità di crisi per il sistema socio-sanitario e l’approvvigionamento di DPI per gli enti del terzo settore lombardo, ormai a un mese di distanza dall’esplosione dell’emergenza causata dal Covid-19. «Associazioni, fondazioni, cooperative sociali continuano a operare nelle strutture residenziali per disabili, anziani, minori e famiglie, persone con problemi di salute mentale e dipendenze, così come continuano a operare nelle carceri, nei servizi di bassa soglia e nei dormitori, nei servizi domiciliari in accordo con le amministrazioni competenti. L’insufficienza o la totale assenza di DPI ha già provocato, come ben sapete, il contagio e messo a rischio molti tra gli operatori, i volontari e gli utenti. È superfluo ricordare che il nostro settore può rappresentare un argine alla diffusione del contagio e contribuire quindi a non sovraccaricare le strutture ospedaliere già in grave affanno. Ad oggi la distribuzione di DPI alle nostre realtà avviene purtroppo in modo insufficiente e disomogenea», scrive la portavoce del Forum Terzo Settore Lombardia Valeria Negrini. «È indispensabile invece che queste realtà possano aver accesso in modo sistematico e continuativo ai DPI o, se in grado di rifornirsi autonomamente, i loro ordini non vengano intercettati e sequestrati. Questo anche in considerazione del fatto che con alcune cooperative di produzione stiamo tentando di avviare una produzione di mascherine».

La questione dell'Unità di crisi per il settore socio-sanitario e sociale, spiega Negrini, «è altrettanto importante dei rifornimenti di DPI. È indispensabile che, accanto all’unità di crisi che si sta occupando del sistema ospedaliero, venga attivato, come già avvenuto in altre Regioni, un preciso luogo istituzionale che sia da riferimento per il settore socio-sanitario e sociale, capace di coordinare le diverse competenze e responsabilità ed in grado di offrire supporto e risposte certe al nostro mondo. sarebbe anche il luogo dove affrontare anche il tema di una distribuzione equa e calibrata dei DPI. Tale unità di crisi deve essere articolata in ciascuna ATS per affrontare gli stati di emergenza che si stanno verificando, per attuare quanto previsto dall’art. 48 del DL 18 (quello sulla chiusura dei centri diurni e dei servizi semiresidenziali, ndr, che prevede la possibilità di attivare servizi alternativi), per coordinare la distribuzione corretta dei DPI, prevedendo necessariamente la presenza di rappresentanti degli Enti Gestori nonché degli Enti Locali. Le azioni messe in campo fino ad oggi non sono affatto sufficienti per affrontare questo grado di emergenza e gli scenari futuri. Capiamo la situazione, dice Valeria Negrini, «ma senza DPI non possiamo svolgere quella preziosa funzione preventiva di arginare il contagio e quindi i ricoveri».

«Stiamo facendo di tutto per tenere il virus fuori dalla porta – dice ad esempio il Direttore Generale di Fondazione Sacra Famiglia, Paolo Pigni, una realtà che nella sede centrale di Cesano Boscone, a differenza delle filiali di Perledo e di Settimo Milanese, è stata risparmiata finora dal contagio – istruendo i nostri dipendenti e adeguando la struttura per continuare ad assistere migliaia di persone fragili, le vittime predilette dal morbo. Ci atteniamo scrupolosamente a tutte le disposizioni che arrivano dalle istituzioni. Abbiamo chiuso tutto ai parenti e ai volontari: dall’esterno non arriva nessuno, e stiamo rivoluzionando parecchi reparti per creare aree di isolamento, in caso dovessero servire. Il problema della sostenibilità economica delle strutture sociosanitarie diventa via via più drammatico – continua Pigni – e vorremmo che in qualche modo il Welfare lombardo se ne rendesse conto. C'è la prima linea ospedaliera, di grande qualità e che sta dando il massimo, ma questa prima linea non potrà mai accogliere tutte le persone fragili ed a rischio».

C'è la prima linea ospedaliera, di grande qualità e che sta dando il massimo, ma questa prima linea non potrà mai accogliere tutte le persone fragili ed a rischio

Paolo Pigni, direttore generale di Fondazione Sacra Famiglia

I risultati dello studio su Vò, secondo cui il Coronavirus cammina sulle gambe degli asintomatici, rende particolarmente preoccupante l’evoluzione dello scenario: suggerendo che l’isolamento degli asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del virus e la gravità della malattia, la strategia usata finora di non fare più il tampone nemmeno ai medici e agli infermieri a meno che non sviluppino sintomi risulta molto pericolosa e gli ospedali come le strutture residenziali rischiano – senza le opportune protezioni – di diventare luoghi ad altissima densità virale. Ma anche la circolare odierna del Ministero della salute sul contact tracing cita l'OMS dicendo che «prendendo come modello l’infezione da SARS e MERS-Cov il rischio di trasmissione in fase asintomatica-prodromica sembra essere basso o molto basso. (…) Anche in altri comuni modelli di infezione virale respiratoria, quali quelli dell’influenza e del virus respiratorio sinciziale, l’agente infettivo si trasmette in maniera significativa solamente durante la fase sintomatica. È comunque ragionevole ritenere che la carica virale presente nei soggetti asintomatici sia marcatamente inferiore rispetto a quella presente nei secreti dei soggetti con sintomatologia pienamente espressa. Il contributo apportato da potenziali casi asintomatici nella diffusione epidemica appare limitato».

“Non sia dato per carità quello che è dovuto per giustizia”. Ce lo siamo dimenticati.

Photo by Adli Wahid on Unsplash


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