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Politica & Istituzioni

Clementi: «Un mese di democrazia sospesa e di confusione»

Oltre agli stress test sanitari ed economici, il Coronavirus ne imporne un terzo, riguardante le istituzioni e più in generale il sistema democratico. La nostra democrazia parlamentare è attraversata da due faglie preoccupanti, la prima è l’uso smodato dei Dpcm, la seconda è la sparizione del Parlamento da un mese in qua. Dialogo con il costituzionalista e docente di diritto pubblico comparato all’università di Perugia

di Riccardo Bonacina

Non c’è dubbio, da trenta giorni in qua, la nostra democrazia è sottoposta a uno stress test che mai è stato così lungo e probante. Oltre agli stress test sanitari ed economici, il Coronavirus ne imporne un terzo, riguardante le istituzioni e più in generale il sistema democratico. La nostra democrazia parlamentare è attraversata da due faglie preoccupanti, la prima è l’uso dei Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), annunciati in genere a tarda notte, ne sono stati fatti ben 7 in 30 giorni, un atto che non deve essere vagliato dal Presidente della Repubblica nè approvato dalle Camere. Non ha la forza di una legge ma è più simile a un regolamento. Eppure in queste settimane di emergenza sta regolando le nostre azioni quotidiane, dal lavoro allo shopping, dalla visita ai parenti allo sport. Accanto ai Dpcm, come se non bastassero ci sono poi le varie Ordinanze Regionali. E a fronte di questa prima faglia, c’è la seconda: la sparizione del Parlamento da un mese in qua.

Per capire i contorni e la profondità del problema ci siamo rivolti a Francesco Clementi, costituzionalista e docente di diritto pubblico comparato all’università di Perugia, che in questi giorni difficili non si stanca di ripetere che “In emergenza la forma è due volte sostanza”.

Clementi: Partiamo dal cosa siamo: siamo una repubblica parlamentare che ha un’articolazione territoriale particolarmente complessa e confusa perché ai tempi, nel 2001, non si sciolse il nodo su che tipo di autonomia avere. Non avendo, da una parte costruito una seconda Camera dei territori a Roma e quindi avendo perso l’occasione di avere un’identità di Paese espressa attraverso i territori nel Parlamento italiano, e dall’altra avendo perso l’occasione di inserire una clausola di supremazia utile proprio in situazioni di emergenza a coordinare al meglio dal centro tutte le iniziative. Ecco, oggi quanto tu arrivi alla brutalità di un’aggressione di un virus non ci sono chiacchiere, devi decidere. E oggi è proprio questo il problema, ci siamo trovati senza strumenti da un lato, e dall’altro sguarniti di un’esperienza di coordinamento stretto e centrale. Questo ha comportato almeno tre grandi asimmetrie:

La prima è colpa del governo. Lo smodato uso dei Decreti del presidente del consiglio dei ministri invece del Decreto legge ha di fatto aggirato il Parlamento ed escluso il controllo da parte del Capo dello Stato;

Il secondo elemento è il conflitto permanente tra lo Stato e le Regioni figlio di una logica che come vizio di fondo ha il non aver sciolto il nodo delle autonomia ha mandato in crisi il del titolo V della Costituzione;

Terzo elemento sono le asimmetrie tra le Regioni e i sindaci, le cosiddette ordinanze sindacali. Che hanno frammentato ulteriormente le decisioni.

Una frammentazione che di certo non ha aiutato

Clementi: Nell’emergenza la frammentazione è il primo problema da evitare perché genera caos e disordine in un momento in cui il corpo sociale e la democrazia vengono aggredite da una pandemia. La domanda in una situazione di emergenza è come garantire i diritti di tutti, cittadini e titolari del potere (Regioni, Stato) in emergenza? Ci vuole il Coordinamento che da noi è venuto a mancare. Non si può fare il coordinamento tra istituzioni appaltandolo alla Protezione civile, non si può. Quindi abbiamo avuto una confusione istituzionale e a discendere una confusione generale (imprese, terzo settore, cittadini).Paghiamo il non sapere ancora chi siamo come forma di Stato.

In tutto questo il ruolo del Parlamento?

Clementi: Il parlamento è stato due volte umiliato. La prima volta l’umiliazione di progressivi e continui decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Il regime dell’emergenza nel nostro Paese è normato dall’art. 77 della Costituzione che dice che in caso di urgenza si adotta il decreto legge. Perché non viene usato? Perché è più controllato, più misurato, può essere modificato perché deve essere convertito. Il Dpcm nessuno lo guarda e nessuno lo tocca, tranne magari, domani, un giudice. C’è stata, mi pare, una strategia di elusione dell’attività parlamentare giustificata dall’emergenza e dalla necessità di prendere decisioni, ma assai pericolosa se troppe volte reiterata. E, attenzione, il Parlamento è sempre stato aperto, il problema è che non gli arrivavano le carte. I parlamenti sono luoghi di produzione normativa ma sempre di pià, essenzialmente, luoghi di controllo della produzione normativa dei governi. Ma se i governi scelgono una strategia normativa che non consente al parlamento di controllare il parlamento può solo stare ad aspettare che gli arrivi qualcosa.

Ora il tema è di come convocare il Parlamento…

Clementi: Fammelo dire con una battuta. Io mi aspettavo che subito all’inizio dell’emergenza i due presidenti delle Camere scegliessero un delle due strade: o inchiodavano i parlamentari a Roma in seduta permanente, ed era quello che probabilmente si sarebbe dovuto fare, oppure avrebbero trovato una soluzione del tipo voto a distanza che è il sistema che sta adottando il Parlamento europeo e che adottano tutti i paesi a noi vicini, la Spagna, il Belgio. Invece loro stanno a metà, non hanno impedito ai parlamentari di partire da Roma e fanno resistenza al voto a distanza.


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