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Scuola: dopo il Coronavirus niente sarà come prima

Istituti chiusi in tutta Italia, con 7,5 milioni di studenti a casa. Il digitale, che finora ha diviso gli insegnanti in due fazioni, in pochi giorni è diventato l'unico modo per tenere i contatti con i ragazzi e fare didattica a distanza. Ma dopo l'emergenza?

di Redazione

Sette milioni e mezzo di studenti sono a casa. Scuole chiuse in tutta Italia, anzi più correttamente “sospensione dell’attività didattica”, come recita il decreto per il contenimento del Coronavirus. Per gli studenti di tutta Italia la sospensione delle lezioni durerà almeno fino al 3 aprile. Secondo le stime di Tuttoscuola il sistema scolastico nazionale perderà quasi 75 milioni di ore di lezione: la didattica a distanza permetterebbe di recuperarne almeno 10-15 milioni. «Questa esperienza non lascerà la scuola uguale a prima», afferma Giovanni Biondi, presidente di Indire, l'istituto dedicato all’innovazione della didattica e alla ricerca educativa.

In questi giorni eccezionali le scuole hanno messo in campo moltissime esperienze di didattica digitale con l’obiettivo di dare continuità, seppure a distanza, ai percorsi formativi ed educativi e quindi alle relazioni con i ragazzi. «L’urgenza di questi giorni è riconnettere i ragazzi con i loro insegnanti, ricreare il link. Questo non è facile, non tanto perché non esista il mezzo – le tecnologie lo permettono – ma perché non tutti gli insegnati sono in grado di farlo e in questa partita gli insegnanti – che ricordo sono quasi 700mila in Italia, è evidente che la situazione ha luci e ombre – contano più delle scuole. Questa è la premessa per fare didattica a distanza». Con un po’ di fai da te e di confusione, la scuola ha mostrato la volontà di esserci. Il digitale si è svelato finalmente a tutti per quello che è, al di là delle fazioni a cui finora abbiamo assistito: uno strumento in più, che può dare valore aggiunto alla didattica. Qualcosa fra l’altro alla portata di tutti, che ha bisogno certamente di formazione e non di improvvisazione per essere utilizzato in maniera efficace, ma dinanzi a cui la scuola come comunità si sta scoprendo, alla prova dei fatti, più potenzialmente competente che non pregiudizialmente ostile.

L'urgenza di questi giorni è riconnettere i ragazzi con i loro insegnanti. Questa è la premessa per fare didattica a distanza

Giovanni Biondi, presidente di Indire

Tre best practice

Le scuole di Vo' Euganeo (PD) sono state le prime d’Italia ad essere state chiuse per l’emergenza Coronavirus, sabato 22 febbraio. Varchi controllati e quarantena, ma già la domenica pomeriggio Alfonso D'Ambrosio, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Lozzo Atesino che include anche il comune di Vo', era collegato con una trentina di suoi insegnanti per organizzare delle lezioni online. È nata una rete (anche la BBC vi ha dedicato un servizio) che ha coinvolto esperti di robotica, di intelligenza emotiva e di giornalismo, aziende e insegnanti di altre scuole, studenti delle superiori di scuole della Liguria e della Puglia che in una sorta di “gemellaggio” hanno tenuto briose lezioni di inglese o di chimica. E ovviamente le maestre e i prof di sempre, che hanno parlato ai loro ragazzi dalla cucina o dal soggiorno di casa. Tutto con piattaforme gratuite. Una rete per dare la certezza di una presenza, di una quotidianità che va avanti, a margine di non essere soli. «Faccio una analogia: insieme all’obbligo di istruzione noi abbiamo di pari passo garantito servizi come la mensa per il tempo pieno alla primaria o gli scuolabus. Oggi l’equivalente del pulmino è la connettività, l’Agenzia per l'Italia digitale ha fatto tanto ma non basta, perché la vision non è sufficiente, servono i fatti. Dobbiamo capire che il Paese deve avere delle infrastrutture performanti, fare in modo che tutti abbiano una connessione, magari con un wifi comunale gratuito oppure mettendo nella bolletta il canone internet. Altrimenti è inutile parlare di obbligatorietà ed equità d’accesso», riflette il dirigente a margine della frenesia di queste giornate.

Oggi l’equivalente del pulmino è la connettività, dobbiamo fare in modo che tutti abbiano una connessione. Altrimenti è inutile parlare di obbligatorietà ed equità d’accesso

Alfonso D’Ambrosio, dirigete scolastico dell’IC di Vo’ Euganeo

All’ITE Tosi di Busto Arsizio (VA) le lezioni in queste settimane si svolgono con il medesimo orario di sempre, con la differenza che ognuno è connesso da casa propria. I docenti all’inizio dell’ora fanno l’appello e registrano presenze e assenze. Tutti gli studenti hanno tutta la strumentazione necessaria: «se serve, la diamo in comodato d’uso all’inizio del primo anno, con la possibilità di riscatto alla fine del quinto», dice la dirigente Amanda Ferrario. Il Tosi è una delle scuole più innovative d’Italia: il digitale nella didattica c’è da moltissimo tempo e in tempo di emergenza hanno potuto subito ri-organizzarsi. «La scuola è fatta di persone, questa è la lezione di questi giorni. In tanti si sono tirati su le maniche, anche nelle scuole meno pronte, anche qualche docente “insospettabile”. L’obiettivo è stato subito quello di fare comunità. La scuola per tanti versi era più avanti delle politiche ministeriali, non c’erano sostegni pronti ma le scuole erano pronte a fare rete», spiega Ferrario. In tre giorni, nel primo weekend di allarme, docenti e dirigenti delle scuole del Veneto e della Lombardia hanno creato il sito lamiascuoladifferente.it​ che raccoglie materiali, metodologie, esperienze, strumenti per la scuola. «Una sorta di “ti faccio vedere che cosa puoi fare, con quello che hai”», dice Ferrario. La scuola si è scoperta capace ed è capace perché ha il capitale umano. In questi momenti abbiamo compreso il valore della formazione, che ti torna con gli interessi. Per questo dico che la formazione non può essere volontaria, deve essere obbligatoria»…


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