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Le premure di Papa Francesco per i senzatetto

Con il Coronavirus “in circolazione”, quella dei senza fissa dimora è un’emergenza nell’emergenza. Il pontefice ne è pienamente consapevole e si adopera per fronteggiarla, compiendo atti concreti e non semplicemente inviando esortazioni. Cercando altresì di favorire la presa di coscienza collettiva di un problema non perimetrabile nell’area della crisi epidemiologica in corso

di Vincenzo Comodo

Dallo scoppio dell’epidemia Covid-19, più volte, Papa Francesco ha rivolto il suo pensiero ai senza fissa dimora. Questo dimostra quanto essi gli stiano a cuore e quanto tale questione sia da lui considerata di primaria importanza. A maggior ragione adesso, tempo in cui bisogna osservare le tanto indicate misure di sicurezza sociale, per evitare di essere contagiati e di contagiare. Tra queste, quella di restare a casa. Ma loro, purtroppo, una casa non ce l’hanno. Chiediamoci, allora: e Papa Francesco come sta affrontando questo problema?
Animato da grande spirito di misericordia e sospinto da fervente zelo apostolico, lo sta affrontando prima con i fatti e poi con le parole.

Con i fatti: perché, manco a farlo apposta, poco prima che il Coronavirus cominciasse a seminare morte e sofferenza nel mondo, egli ha destinato l’uso di Palazzo Migliori, a due passi dal colonnato di San Pietro – che fino ad allora aveva ospitato una congregazione religiosa femminile – a centro di accoglienza per i senzatetto. Infatti, il 15 novembre scorso, ha inaugurato questa struttura di quattro piani e duemila metri quadri, affidata all’Elemosineria apostolica e gestita dalla comunità di Sant’Egidio.

È un gesto, questo – va ricordato – che viene ad aggiungersi ad altre opere di carità a loro riservate, quali l’attivazione di un presidio sanitario, l’erogazione di servizi docce, lavanderia, barberia e distribuzione di generi di prima necessità. Non solo a Roma, peraltro.

Con le parole: perché ha riproposto la triste realtà che essi vivono, da lui già segnalata in molte altre circostanze. Tra quelle più toccanti, è bene riportare il commento di un’immagine pubblicata sui quotidiani, il 2 aprile: «Sul giornale, oggi – ha fatto notare Francesco, durante la meditazione mattutina dello stesso giorno –, c’è una foto che colpisce il cuore: tanti senzatetto di una città sdraiati in un parcheggio». Per la precisione, si tratta degli homeless del rifugio della Catholic Charities, a Las Vegas, chiuso dopo che un clochard è risultato positivo al Covid-19. Essi sono stati temporaneamente sistemati dalle autorità nel parcheggio del Cashman Center, un complesso per convention e partite di baseball. “A ben vedere”, è uno scatto che rivela la sofferenza e la disperazione di «questi giorni di dolore e tristezza».

Evidentemente, queste sue parole esortano non solo ad accrescere la sensibilità collettiva verso chi vive per strada, ma anche a farsi carico di loro. Tant’è che ha spronato a trovare soluzioni concrete e immediate, come ha detto nell’intenzione di preghiera pronunciata nella cappella Santa Marta, il 31 marzo: “Preghiamo […] per coloro che sono senza fissa dimora, in questo momento in cui si chiede di essere dentro casa. Perché la società di uomini e donne si accorgano di questa realtà e aiutino, e la Chiesa li accolga”.

E le risposte non hanno tardato ad arrivare. A partire dalla stessa Chiesa cattolica. Pensiamo, ad esempio, a quelle date dalla Caritas di Matera-Irsina, che presso le strutture della propria sede ospita trentuno persone; dalla Caritas diocesana di Gorizia, che accoglie quaranta ragazzi immigrati fuori accoglienza in dormitorio; dalla Caritas diocesana di Bari-Bitonto, con circa quaranta persone nel dormitorio che è diventato H24 visto il divieto di uscire; dalla Comunità Papa Giovanni XIII, nella Diocesi Chieti-Vasto, che è operativa con la Capanna di Betlemme a Chieti e Casa Manuela a Vasto, dando ospitalità a una settantina persone; dalla Diocesi di Roma che, nella “Fraterna Domus” di Sacrofano, ne ospita altre novanta, grazie all’opera dei Frati Minori della Provincia romana.

È ritornato sul punto, inoltre, nel messaggio Urbi et orbi di Pasqua: «Non è questo il tempo dell’indifferenza – ha affermato –, perché tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell’affrontare la pandemia. Gesù risorto doni speranza a tutti i poveri, a quanti vivono nelle periferie, ai profughi e ai senzatetto. Non siano lasciati soli questi fratelli e sorelle più deboli, che popolano le città e le periferie di ogni parte del mondo. Non facciamo loro mancare i beni di prima necessità, più difficili da reperire ora che molte attività sono chiuse, come pure le medicine e, soprattutto, la possibilità di adeguata assistenza sanitaria».

Detto questo, è facile prevedere che tornerà sulla questione. Evidenziandone, ancora una volta, la gravità e l’impellenza. Reclamando la dignità di coloro che non hanno una casa in cui stare. Cercando di sradicare la cultura dello scarto. Continuando ad invocare l’aiuto di Dio. Chiedendo ancora una volta a Madre Teresa di Calcutta «che risvegli in noi il senso della vicinanza a tante persone che nella società, nella vita normale, vivono nascoste ma, come i senzatetto, nel momento della crisi, si evidenziano così». Allora, in questi tempi di Coronavirus (ma anche dopo!), proprio per far sì che tale senso di vicinanza si diffonda, sarebbe davvero utile ricordarsi che, oltre al rispetto delle norme di igiene personale anti-contagio, andrebbero rispettate anche quelle di igiene morale, che, per questo specifico caso, prescrivono di “non lavarsi le mani”.


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