Welfare & Lavoro

Asili nido: quanti a settembre non riapriranno più?

Una prima indagine fra i servizi aderenti al Consorzio PAN svela che tutti i nidi hanno già attivato la cassa integrazione o il Fis. Ma il 58% dei servizi per la prima infanzia, in Italia, è gestito dal non profit. «C'è la necessità urgente di riflettere anche su questo comparto. I nidi sono un luogo di opportunità per i bambini più fragili: oggi avere i servizi chiusi vuol dire avere i bambini fragili esclusi da servizi di qualità»

di Sara De Carli

Quasi quattro asili nido su dieci sono totalmente fermi, senza poter svolgere alcun tipo di servizio. Sei su dieci stanno tenendo il filo con le famiglie, mandando spunti per attività, facendo supporto alla genitorialità: inevitabilmente con bambini così piccoli, sotto i tre anni, la didattica a distanza è impossibile, il supporto è in primis al genitore. Tutti, ma proprio tutti, hanno già fatto richiesta di FIS o Cassa integrazione: uno strumento che consente ai lavoratori di avere un reddito, ma che non mette per nulla in sicurezza gli enti gestori. Così che a settembre, quando i bambini torneranno, il loro asilo nido potrebbero non trovarlo più. Sono i primi dati di una indagini da Consorzio Pan fra i suoi aderenti: 116 asili nido, per circa 4.200 bambini e mille dipendenti, cui hanno già risposto 62 servizi. «Abbiamo una fotografia sulla metà della nostra rete. Il campione è equilibrato, perché fra chi ha già risposto abbiamo 27 servizi sono in appalto, 23 di privato convenzionato, 9 privati e 3 nidi aziendali», precisa Claudia Fiaschi, vicepresidente del Consorzio Pan

Ma asili nido chiusi, significa escludere i bambini di famiglie fragili da servizi educativi di qualità. Dopo che decenni di ricerche hanno dimostrato che proprio l’intervento educativo nella primissima infanzia è fondamentale per ridurre quel gap di opportunità determinato dalla famiglia in cui si nasce. Dopo aver riconosciuto che gli asili nido e i servizi per la prima infanzia hanno una funzione propriamente educativa e non di semplice custodia: per questo con la Buona Scuola è nato il sistema integrato un sistema di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni, il famoso ZeroSei, con i nidi passati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al Ministero dell’Istruzione. Dei bambini piccoli, però, quelli che vanno ai nidi o alle scuole dell’infanzia, nell’emergenza Coronavirus non importa a nessuno. Per loro la didattica a distanza non c’è. Di loro, pensando alla fase 2, si dice soltanto che saranno i più difficili da gestire, perché i bimbi così piccoli si sbaciucchiano e si litigano, vanno cambiati e imboccati.

Cosa dice la vostra indagine interna?

Rispetto ai 62 servizi che hanno già risposto, 39 hanno attivato servizi alternativi a distanza (videochiamate con letture, video non in diretta, colloqui con i genitori, chiamate, sostegno alla genitorialità…). Sono proposte che lavorano molto con i genitori, non con i bambini. Di questi 39, 9 hanno preso accordi con i Comuni nell’ambito dell’art 48 del Cura Italia, 10 stanno trattando con i comuni per il riconoscimento, 20 non hanno utilizzato l’articolo 48 e non utilizzeranno, ad esempio i nidi privati non hanno accesso all’articolo 48. Negli altri il servizio è chiuso. 62 su 62 hanno richiesto il FIS o la cassa integrazione, per l’80-100% delle ore, per circa 650 persone – di cui 500 circa sono educatori o operatori ausiliari dei nidi – per un monte ore di circa 160/200mila ore. Alcuni l’hanno chiesta per un mese, altri per tre.

Quali sono le preoccupazioni emergenti?

L’ingiustizia sociale che colpisce i bambini, senza nido. Se i servizi sono riusciti a mantenere una forma di sostegno educativo nelle famiglie che hanno strumenti e connettività, le famiglie più deboli sono riescono meno a beneficiare del supporto a distanza. La grande preoccupazione è per i bambini più deboli e fragili, che sono i più esclusi da opportunità educative di qualità. I nidi hanno sempre rappresentano un luogo di opportunità per i bambini più fragili: oggi avere i servizi chiusi vuol dire avere i bambini fragili esclusi da servizi di qualità. Il voucher baby sitter sostiene la famiglia attrezzata a scegliersi un buon educatore di famiglia, ma non è detto che si trasformi in opportunità educativa.

E rispetto al rischio di dover chiudere per sempre i battenti?

I servizi privati, che si basano esclusivamente sulle rette pagate dalle famiglie, presumibilmente chiuderanno. A settembre i bambini non li troveranno più. Tutti comunque, anche quelli convenzionati o in appalto, senza un adeguato sostegno pubblico che riconosca almeno i costi fissi sono a rischio chiusura, perché sono a rischio chiusura gli enti gestori. Ricordiamo che da molti anni in Italia abbiamo costruito un sistema integrato pubblico privato, con il 58% dei servizi per la prima infanzia gestito da enti di Terzo settore, che siano cooperative o associazioni. Significa pregiudicare la continuità di più della metà dei servizi per la prima infanzia.

Perché non è solo il tema di “consentire ai genitori di tornare al lavoro”.

Lo dicevo all’inizio, la prima preoccupazione è proprio quella dell’impatto educativo e sociale. I servizi per l’infanzia hanno fatto da presidio sociale per molte famiglie fragili, a partire dalla corretta alimentazione a dare opportunità alle famiglie stesse, non solo ai bambini. Il tema della povertà educativa negli ultimi anni è alla ribalta delle sfide che vanno vinte con progettazioni nuove, che hanno trasformato i servizi in questi anni. La riprova è che i servizi che avevano progettualità per il contrasto alla povertà minorile si sono concentrati proprio su quelle, per la continuità.

Quali sono le esigenze e le richieste, anche alla luce della vostra indagine?

Che con l’articolo 48 si riesca a costruire una strumentazione adeguata da parte dei Comuni rispetto alla possibilità di dare continuità agli enti gestori, perché la cassa integrazione non mette in sicurezza i soggetti che hanno fatto investimenti sulle strutture. E la possibilità di avere DPI anche in questi servizi, anche rispetto ai costi.

È possibile immaginare una riapertura in sicurezza anche di questi servizi?

L’apertura richiede maggiori attenzioni, è evidente. Ma se guardiamo altri Paesi vediamo che nel momento in cui hanno pensato di riaprire le attività economiche hanno pensato anche a come offrire supporti educativi in sicurezza per i bambini. È un tema che deve essere affrontato senza ulteriori indugi, dal momento che – come tuti ci dicono – dovremo convivere con il Covid-19 a lungo. Evidentemente non è impossibile riaprire in sicurezza anche le attività educative con i piccolissimi: definite le regole sanitarie, andrà costruita dal punto di vista pedagogico la capacità di proporre le nuove regole ai bambini con un impatto positivo e non negativo. In questo momento però il tema non è attenzionato, oggi c’è solo la chiusura, mentre c’è la necessità urgente di riflettere anche su questo comparto, che anche per numero di occupati e di organizzazioni, che ha bisogno di essere inquadrato fra le tante filiere da riaprire.

Foto Unsplash


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