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Economia & Impresa sociale 

Dai finanziamenti “a progetto” a quelli “a soggetto”

La crisi impone una svolta nei meccanismi di sostegno agli enti del Terzo settore: risorse a fondo perduto, dirette e a lungo termine, ma sarà anche necessario abbandonare la logica miope ma sicura dei finanziamenti "a progetto" ed intraprendere il non facile sentiero dei "finanziamenti a soggetto", con l’obiettivo di sostenere le strutture e i relativi costi delle organizzazioni considerate strategiche

di Francesco Gentili

Facendo seguito al dibattito rilanciato nelle scorse settimane da Carola Carazzone e Carlo Borgomeo su vita.it, risulta quanto mai urgente un intervento diretto da parte dello Stato che sia in grado di sostenere la strutturazione del Terzo Settore italiano, chiamato – con ancora maggior decisione nei mesi a venire – a “ricucire e dare fiducia” a una società ferita. Sembra allora davvero giunto il momento in cui le istituzioni pubbliche considerino quello animato da quasi 5 milioni di volontari e 800 mila lavoratori un settore strategico dell’economia e della società. Si tratta, infatti, di prevedere interventi corposi (ben più consistenti di quelli previsti dall’art. 72 del Codice del Terzo Settore) volti a sostenere i circa 300 mila ETS che, non beneficiando di alcuna forma di agevolazione né tantomeno di incentivazione di accesso al credito (la ‘non commercialità’ risulta ancora motivo di esclusione da qualsiasi fondo di garanzia sinora previsto), senza giri di parole, sono condannati all’estinzione. Tale sostegno, anzi – lo si consenta – tale investimento, per risultare efficace, dovrà rispettare tre specifiche caratteristiche:

fondo perduto: è difficile pensare di garantire la sopravvivenza di centinaia di migliaia di organizzazioni non commerciali (sportive, culturali, assistenziali, ecc.) solamente attraverso agevolazioni all’accesso al credito. Circa 200 mila organizzazioni in Italia, secondo l’ultimo censimento, presentano un bilancio annuo inferiore ai 30.000 euro, per le quali il solo accesso al credito agevolato risulterebbe insufficiente. Ciò che invece serve è una spinta a strutturarsi, a sopravvivere e organizzare le proprie attività in maniera solida, pianificando le attività e i relativi impatti. I fondi europei non impegnati, segnalati da Borgomeo, possono costituire la base da cui partire.

diretto: come per i settori strategici for profit evidenziati nei libri della professoressa Mariana Mazzucato, membro della task force Colao, che affianca il premier Giuseppe Conte, tali risorse dovranno essere erogate in maniera semplice ma soprattutto diretta, seguendo una strategia che superi la politica degli incentivi fiscali e delle agevolazioni. Resta da stabilire se la gestione dell’erogazione potrà agilmente essere gestita dalla macchina statale o se, pur restando la chiara matrice pubblica, dovrà essere affidata a soggetti di natura privata.

a lungo termine: tali interventi non devono essere archiviati alla voce “costi” bensì nella casella “investimenti”. Si tratta, infatti, di veri e propri investimenti che potranno essere ripagati con la nevralgica attività di prevenzione che quotidianamente gli ETS italiani svolgono: prevenzione della criminalità, dell’esclusione sociale e lavorativa, dell’abbandono scolastico, della depressione.

Perché, infatti, le “casse pubbliche” possano certificare e, eventualmente, misurare i risparmi generati da tale operazione – ammesso che questa debba essere la sola ragione in grado di stimolare l’investimento dello Stato, come per ogni grande investimento strategico – dovranno passare molti anni. È determinante, però, in questo senso, porre l’attenzione sull’oggetto dei finanziamenti: sarà, infatti, necessario abbandonare la logica miope ma sicura dei finanziamenti "a progetto" ed intraprendere il non facile sentiero dei "finanziamenti a soggetto", con l’obiettivo di sostenere le strutture e i relativi costi delle organizzazioni.

Le ragioni di un cambio di rotta che induca a un intervento deciso in questa direzione possono essere così riassunte:

1) Sono 800 mila i lavoratori diretti impegnati nel Terzo Settore, un esercito superiore perfino a quello impiegato nel settore metalmeccanico. Salvare le organizzazioni di Terzo Settore significa tutelare l’occupazione di quasi un milione e mezzo di lavoratori, considerando anche l'indotto;

2) è necessario evitare il fallimento delle organizzazioni chiamate a garantire i servizi essenziali di cui lo Stato e il Mercato non si sono interessati, per negligenza, incompetenza o incapacità. Si tratta di servizi essenziali per la sopravvivenza delle comunità, dalle mense per i poveri agli asili nido.

3) In questi ultimi giorni, sono in molti a scommettere che il mondo che troveremo alla fine del lockdown farà tesoro degli errori commessi in passato e sarà pronto a sperimentare nuovi modelli organizzativi e produttivi. Il Terzo Settore, per sua natura, è un laboratorio di innovative pratiche di partecipazione e cittadinanza. Saranno quindi proprio le organizzazioni che ne costituiscono la struttura portante a garantire che questo rapido processo evolutivo risulti equo e condiviso.

4) Solo il Terzo Settore è in grado di attivare e guidare le comunità in cui opera in un processo di riconciliazione con la struttura pubblica, rinsaldando quei legami che, sulle ali della sfiducia, dell’odio e della diffidenza hanno nel tempo allontanato rappresentanti e rappresentati.

Se, dunque, in linea con quanto previsto dalla recente (e incompleta…) Riforma, il Terzo Settore non deve più giocare quel ruolo residuale di cui prima era stato investito, un cambio di prospettiva occorre anche per gli strumenti economici volti a sostenerlo: non si tratti quindi solamente di residui di impieghi di risorse più seri. Ci si convinca piuttosto che quello nel sociale e nei suoi attori è il più saggio e lungimirante degli investimenti pubblici ad oggi praticabile.


*dottorando in scienze sociali alla Sapienza di Roma e collaboratore del Forum Nazionale del Terzo Settore


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