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Per Ail la crisi è stata una occasione per migliorare

«A causa del virus abbiamo perso circa 7 milioni di euro per la mancata campagna pasquale. Ci siamo buttati sul digitale conquistando nuovi donatori e usando nuovi linguaggi. Domani possiamo dire che saremo ancora più forti», spiega Chiara Tuscano, responsabile eventi e raccolta fondi

di Lorenzo Maria Alvaro

81 sezioni provinciali e gli oltre 18.000 volontari che quotidianamente accudiscono i pazienti affetti da tumori del sangue con servizi che permettono loro di affrontare meglio la malattia. Sono i numeri dell'Associazione Italiana contro leucemie, linfomi e mielomi che porta aventi questo impegno da 50 anni. Lavoro che è messo a rischio dall'emergenza Covid che ha di fatto cancellato gli eventi grazie a cui Ail finanzia la sua azione. Come ha reagito l'associazione? Ne abbiamo parlato con Chiara Tuscano, responsabile eventi e raccolta fondi.


Per Ail il Covid che impatto ha avuto?
Considerevole. A causa dell'emergenza abbiamo dovuto rinunciare alla nostra manifestazione di piazza in cui avremmo distribuito oltre 700mila uova di cioccolata per una raccolta di 7 milioni di euro. Un danno economico che tuttavia è in realtà difficile da quantificare con precisione perché Ail non è un ente come gli altri. Abbiamo una sede nazionale che coordina 81 sede territoriali. Ma ogni realtà particolare ha una propria autonomia e una propria organizzazione.

Significa che a seconda di che realtà particolare si considera il danno può essere più o meno grave?
Esattamente, per le sedi che avevano nella campagna delle uova di cioccolata l'unico introito il danno è presto detto. Poi ci son invece sedi più strutturate e allora si parla di una calo del 50% del fundraising

Anche dal punto di vista della gestione questa indipendenza delle sedi ha avuto un impatto?
Sì, questa struttura peculiare è anche una criticità organizzativa in un momento di emergenza. Non possiamo infatti come sede centrale imporre soluzioni, ma solo indicare linee guida. Questo essere collegiali rischia naturalmente di renderci più burocratici e lenti nella reazione e riorganizzazione.

Come vi siete mossi?
Una volta indicata alle sedi che la strada sarebbe stata la conversione della campagna in digitale si è dovuto affrontare alcuni problemi tecnici. Da un lato avevamo circa migliaia di uova di cioccolata distribuite tra le varie realtà locali che non sapevamo dove mettere, dall'altro una cmapagna pensata come evento di piazza che quindi non era trasferibile tout court online.

Perché l'evento non si poteva declinare in digitale così com'era?
Il claim era rivolto al tema della ricerca, che non era più funzionale visto il nuovo contesto. Abbiamo dovuto immaginare come cambiare la comunicazione nei confronti dei donatori senza generare confusione. Non potevamo fare un cambio di rotta violento. Così abbiamo costruito una proposta a step portando gradualmente l'attenzione dei nostri sostenitori sulle nuove esigenze dei nostri pazienti. Sono nate così #restoacasamasostengolaricerca che è poi diventato #iosonoarischio. Abbiamo usato tutti i canali che avevamo a disposizione: dai social al mailing fino al crowdfunding e alle partnership con le imprese.

Che risultati avete avuto?
Naturalmente si tratta di una raccolta che non può essere messa a confronto con la tradfiizonale campagna. Ma è un ottimo punto di partenza. Da Facebook sono arrivati 50mila euro e dal crowdfunding circa 100mila.

Quindi il digitale non ha risolto il problema economico?
No, è troppo presto. Ma bisogna dire che è una prima volta, costruita in smartworking e in emergenza. Significa che ci sono ampi margini di miglioramento e che quindi è una strada credibile per il futuro e non alternativa alla nostra modalità tradizionale. In più i dontatori che raggiungiamo con questi strumenti non sono i nostri storici. Parliamo di una fascia più giovane che non riuscivamo a intercettare prima. E sia in termini di raccolta che in termini di contatti il risultato è stato ampiamente sopra le nostre aspettative.

Come avete risolto invece il problema delle uova di cioccolato?
La data di scadenza a lunghissimo termine del cioccolato ci avrebbe teoricamente permesso di conservarle per l'anno prossimo. Ma, proprio per via della nostra struttura, non c'era modo per noi di stoccarle visto che sono distribuite presso tutte le nostre sedi. Così abbiamo deciso di usarle come premio sulle campagne online. Una quota viene spedita ai donatori come ringraziamento per il sostegno. Il restante viene invece usata come regalo da parte dei donatori ai sanitari impegnati sull'emergenza. Il donatore cioè può decidere di mandare il suo uovo ad un oepsdale o a una struttura sanitaria. Per rendere il tutto più agile abbiamo messo a disposizione delle nostre sedi una partnership con Glovo.


Nell'immagine di copertina la foto usata per la campagna #iosonoarischio


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