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Cooperazione & Relazioni internazionali

Oxfam, addio a 18 Paesi

L’ong internazionale ha deciso di chiudere alcune sedi nel mondo. Un ripensamento della presenza nei contesti internazionali dettata sia da un cambio di strategia organizzativa, sia da una razionalizzazione economica cui la crisi della pandemia da Covid-19 ha dato una spinta. Ne abbiamo parlato con il direttore di Oxfam Italia, Roberto Barbieri

di Antonietta Nembri

«Non è un addio immediato, ci sono progetti in corso e altri che stanno partendo ora, ma sì la decisione di lasciare 18 Paesi è stata presa» a confermare la scelta assunta dall’executive board di Oxfam è Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia che precisa: «Chiuderemo le sedi locali e non avremo nostro personale lì. Lo ripeto sarà una chiusura governata e che ci impegnerà nei prossimi quattro anni».
Le sedi locali di Oxfam quindi chiuderanno in: Tailandia, Afghanistan, Sri Lanka, Pakistan, Tajikistan, Haiti, Repubblica Dominicana , Cuba, Paraguay, Egitto, Tanzania, Sudan, Burundi, Rwanda, Sierra Leone, Benin, Liberia e Mauritania.

In un documento si spiega che questo è un ripensamento complessivo dell’organizzazione e che riguarda anche il fronte risorse, da destinare «in modo che abbiano il maggior valore aggiunto possibile». È un ragionamento in atto da tempo e che è diventato «ancora più urgente alla luce della drammatica crisi sociale ed economica scoppiata a seguito della diffusione della pandemia Covid-19. Una crisi di portata globale che ha comportato, per Oxfam come per tutte le organizzazioni della società civile che operano grazie al sostegno individuale di centinaia di migliaia di donatori nel mondo, la necessità di prepararsi a gestire un contesto marcato da una riduzione improvvisa delle risorse disponibili per le proprie attività istituzionali».

Quella in atto sembra una ritirata, ma Barbieri punta più sulla necessità «di arrivare ad un network globale con più affiliati nei Paesi in via di Sviluppo», come pure «di rafforzare le partnership locali in una logica di sussidiarietà».
Tuttavia, ammette: «La scelta di uscire nasce anche da una motivazione che si rifà a un modello economico. Avere una sede e del personale comporta dei costi sulla sicurezza e non solo, ora dobbiamo puntare a un altro modello che prevede il finanziamento di un progetto che viene gestito dai partner in loco. In Sri Lanka (uno dei 18 Paesi, ndr.), per esempio, il lavoro di Oxfam sarà portato avanti da un’impresa sociale locale».

La contrazione dei fondi a disposizione non è estranea alla decisione presa, quindi? «Certo è anche una questione di razionalizzazione economica. Per noi come per tutti il lockdown ha congelato tutto, in alcuni Paesi come la Germania e la Gran Bretagna la chiusura dei Charity Shop ha pesato qualche milione di euro, ma anche l’impossibilità di avere dialogatori in strada… Gli ultimi tre mesi hanno avuto un importante impatto sul bilancio a livello internazionale e questo ha portato a un’accelerazione delle decisioni», risponde il direttore di Oxfam Italia ammettendo una conseguente «contrazione degli investimenti».
Le stime sul futuro sono comunque in continuo aggiornamento perché, spiega «in assenza di una qualche misura di mitigazione, solo a causa del Covid-19 abbiamo perso tra i 30 e i 40 milioni di euro a livello internazionale. Certo per chi ha progetti finanziati dalle istituzioni il peso della perdita di fundraising dai privati pesa un po’ meno».

Lasciare un Paese non significa però chiudere la possibilità di portare aiuto «In Venezuela per esempio dove non siamo presenti siamo intervenuti attraverso Oxfam Colombia, anche in Grecia dove abbiamo chiuso l’ufficio i nostri programmi continuano attraverso due partner locali», illustra Barbieri.La chiusura di 18 sedi porta anche al fatto che un migliaio di persone concluderà il suo rapporto di lavoro con l’organizzazione «si tratta soprattutto personale locale che cercheremo di aiutare in un ricollocamento, aiuteremo anche gli espatriati che però rappresentano circa il 5% del totale. Come Oxfam Italia non abbiamo nessuno in quei Paesi».

Se a livello internazionale la situazione è questa, per Oxfam Italia quanto sta pensando la crisi da Coronavirus? «L’impatto economico per noi è più contenuto anche perché i nostri programmi sono legati a donatori istituzionali. Tuttavia abbiamo dovuto rivedere il nostro bilancio perché anche noi stiamo risentendo della flessione della raccolta fondi» risponde Barbieri. E la cifra con il segno meno è stimata a 200mila euro «Una stima parziale a oggi» precisa il direttore di Oxfam Italia «questo non ci ha impedito di avere un programma Covid in Italia di cui siamo orgogliosi, con i nostri community center in Toscana e in altre zone abbiamo portato avanti il supporto psicologico e altri servizi di mediazione…».

Sarà un’organizzazione più leggera quella di Oxfam in futuro «ma nei Paesi in cui rimaniamo rafforzeremo la nostra presenza come in Siria…». Tuttavia nell’elenco ci sono Paesi molto fragili… «È stata una decisione difficile, ma non si può fare tutto per cui alla fine occorre fare scelte razionali e ragionare: rimanere dove la nostra presenza può fare la differenza» conclude Barbieri.

In apertura programma in corso in Burkina Faso – immagine di Pablo Tosco – Oxfam


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