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Basta un campione di saliva per diagnosticare precocemente la Sla

Il Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica della Fondazione Don Gnocchi ha messo a punto una metodologia estremamente innovativa: da un campione di saliva, con la spettroscopia Raman, si ottiene una firma molecolare con un andamento significativamente riconoscibile per i pazienti malati di Sla. La diagnosi precoce, permetterà di iniziare prima i trattamenti. Lo stesso vale, in prospettiva, per Alzheimer e Parkinson

di Sara De Carli

Diagnosticare la SLA rapidamente e precocemente, tramite un semplice prelievo di saliva. La notizia, di importanza storica, arriva da uno studio a prima firma di Cristiano Carlomagno, ricercatore “Don Gnocchi”, pubblicato su “Scientific Reports” (gruppo Nature). Il progetto di ricerca ha visto la collaborazione tra l’IRCCS Fondazione Don Gnocchi e l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano ed è stato ideato e coordinato dal Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica (LABION) della Don Gnocchi di Milano, guidato da Marzia Bedoni, in collaborazione con l’Unità di Riabilitazione Intensiva Polmonare dello stesso IRCCS, diretta da Paolo Banfi.

La SLA è una malattia degenerativa che porta alla progressiva e inesorabile paralisi della muscolatura. Ad oggi non esistono esami di laboratorio capaci di garantire una diagnosi veloce e certa: si va un po’ per esclusione di altre malattie, attraverso le elettromiografie e le risonanze, in un percorso che può durare anche un anno. Il ritardo nella diagnosi causa spesso nel paziente un senso di impotenza, penalizzandolo anche nell’accesso ai trial clinici. Non solo: con lo stesso metodo si potrebbero diagnosticare anche altre patologie egualmente invalidanti come l’Alzheimer, il Parkinson e lo stesso Covid-19.

Ma come si è arrivati a questo risultato? Ce lo racconta Marzia Bedoni, responsabile del Labion.
Da quando abbiamo inaugurato il Labion, nel 2011, abbuiamo iniziato a utilizzare in ambito biologico delle piattaforme usate nella scienza dei materiali e nella fisica, in particolare la spettroscopia Raman e un’altra metodica, la SPRi che non abbiamo usato in questo studio. Nello specifico, per l’analisi della saliva abbiamo usato la spettroscopia Raman, basata sull’utilizzo della luce laser per studiare la composizione chimica di campioni complessi.

Perché la saliva?
L’idea della saliva mi è venuta 4 o 5 anni fa perché avevo iniziato a leggere pubblicazioni che parlavano di biopsie liquide, ma per alcuni pazienti anche solo un prelievo di sangue è problema. Sulla saliva ho trovato molto interesse perché ha circa 2.500 proteine in comune con quelle che possiamo trovare nel plasma e così insieme a dottor Banfi, pneumologo, abbiamo iniziato questa avventura. Abbiamo presentato al professor Vincenzo Silani, direttore della Unità Operativa di Neurologia e Laboratorio di Neuroscienze dell’ Auxologico, un grande esperto di SLA, le potenzialità delle nostre metodiche, che sono molto specifiche e sensibili. Il vantaggio è che utilizzano il campione biologico praticamente così come è, senza bisogno di un grande trattamento: faccia conto che facciamo masticare un tampone di cotone, in una provetta centrifughiamo il tutto e mettiamo una goccia di saliva, 10 microlitri, su un vetrino ricoperto di alluminio. Un trattamento che richiede dieci minuti. E immediatamente vediamo cosa c’è all’interno del campione.

Che cosa vedete?
Otteniamo la “firma molecolare” della persona. È una sorta di grafico con dei picchi, che dà l’impronta digitale di quel che contiene il campione biologico. A quel punto è possibile entrare dentro ogni legame molecolare oppure usare tutta la firma come biomarcatore. Noi abbiamo preso la seconda strada e messo in confronto i vari spettri, di soggetti sani e di persone con una diagnosi di Sla recente, nei sei mesi dall’identificazione di una probabile Sla. Abbiamo visto che esistevano differenza statisticamente significative.

In parole semplici, dall’andamento dei picchi della “firma” costituita dalla saliva, è possibile dire chi ha la Sla e chi no?
Esatto, perché lo spettro dei pazienti con Sla è molto distintivo, è significativamente differente anche rispetto a quello di pazienti con altre malattie come il l’Alzheimer o il Parkinson. Non siamo solo in grado di distinguere il paziente che ha un patologia, ma anche di identificare di quale patologia si tratta.

Significa che la stessa metodica permette di diagnosticare anche l’Alzheimer o il Parkinson?
Sì, ci stiamo lavorando. Nella pubblicazione di cui parliamo oggi ci sono anche questi pazienti e i risultati sono discussi. Al momento però i pazienti con Alzheimer e con Parkinson presentano sovrapposizioni in alcuni punti, quindi c’è da lavorarci ancora, ma stiamo appunto entrando nel merito. Un secondo punto è che stiamo introducendo l’intelligenza artificiale per rendere ancora più rapida l’analisi: l’associazione con il machine learning, soprattutto su pazienti con “firme” più simili, sarà utilissima.

La prospettiva qual è?
Creare uno strumento realmente in uso nei reparti, dalla ricerca clinica alla clinica. Cercheremo di classificare i diversi pazienti, distinguendo ad esempio fra Sla bulbari e spinali o classificando le tempistiche. Un altro obiettivo è quello di arrivare fare una sorta di screening perché ci sono molecole che sono biomarcatori precoci di determinate patologie, ad esempio nel Parkinson ci sono marcatori che preesistono anche un anno prima del sintomo, mentre sulla Sla sappiamo che ci sono categorie particolarmente colpite. L’obiettivo è quello di anticipare la diagnosi e il trattamento. E poi c’è la possibilità di monitorare i pazienti per personalizzare il trattamento farmacologico o riabilitativo, sempre attrverso la saliva. E recentemente abbiamo sperimentato la metodica anche con pazienti Covid. Le potenzialità sono incredibili, sì.


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