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Così un samaritano cambia il mondo

Il nuovo testo di Francesco sceglie come riferimento una delle parabole più famose dei Vangeli. La sviscera in tutti i suoi dettagli per farne capire la piena attualità. E il suo protagonista diventa il testimone di una categoria più completa di amore, “l’amore sociale”

di Giuseppe Frangi

La nuova Enciclica di papa Francesco ha un centro narrativo che fa quasi da architrave per tutto il testo: è la parabola del buon Samaritano. Una parabola la cui portata “rivoluzionaria” non è stata ben recepita e che Bergoglio perciò sviscera, scavando ogni dettaglio del racconto e traendone indicazioni che sono il tessuto stesso dell’Enciclica. «È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale», scrive infatti il Papa. «È un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena».

La domanda fondamentale a cui Gesù è chiamato a rispondere dal dottore della Legge che lo sta interrogando è “chi è il mio prossimo”. Domanda non banale, visto che la Legge stessa raccomandava come precetto fondamentale l’amore verso Dio e verso “il prossimo”. Ma cosa si deve intendere con quella parola? Possibile che il prossimo sia qualunque persona senza nessuna criterio di vicinanza o appartenenza ad un gruppo comune? Ad esempio il samaritano «per alcuni giudei di allora, era considerato una persona spregevole, impura, e pertanto non era compreso tra i vicini ai quali si doveva dare aiuto». I samaritani abitavano una regione che era contaminata da riti pagani, per questo venivano guardati con disprezzo dai giudei.

Ma l’uomo ferito dai briganti sulla strada che Gerusalemme scende a Gerico, era un giudeo: ma questa sua identità non gli era bastata per attirare l’attenzione di due passanti, un sacerdote e un levita (due religiosi dunque), che pur vedendolo non sentono l’urgenza di aiutarlo. «Si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace», sentenzia il Papa. Diversa la scelta del samaritano, un commerciante e dunque un laico, che risponde istintivamente ad una logica di solidarietà. Non guarda all’identità di chi in quel momento è a lui “prossimo” e lo aiuta con intelligenza e discrezione: «Per rendersi vicino e presente, ha attraversato tutte le barriere culturali e storiche», scrive Francesco.

Altro soggetto della parabola sul quale il Papa pone la sua attenzione sono gli autori della rapina e del ferimento: i “briganti”. È una notazione molto realistica perché effettivamente la strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico era strada infestata da ladroni, in particolare nell’ultimo tratto che attraversava tratti deserti e anche impervi. Specifica però Francesco: «Il punto di partenza che Gesù sceglie è un’aggressione già consumata. Non fa sì che ci fermiamo a lamentarci del fatto, non dirige il nostro sguardo verso i briganti». Il racconto quindi non dà alibi: sa che il mondo avrà sempre da affrontare le forze del male, ma questo non può essere giustificazione per mettersi al riparo o fissare criteri per l’agire davanti ad un bisogno. «All’inganno del “tutto va male” e del “nessuno può aggiustare le cose”, dell “che posso fare io?”», sottolinea Francesco.

Il prossimo quindi è una categoria che non conosce perimetro, né etichette: se il giudeo ferito era sociologicamente “vicino” al sacerdote e al levita, in realtà troverà aiuto da un lontano che vedendolo, agisce e si fa concretamente suo prossimo. Per Francesco la parabola diventa così per meglio definire la parola chiave dell’Enciclica: la parola “amore”. Infatti nello sviluppo dell’Enciclica, la parola amore è accoppiata da un aggettivo che la qualifica e la rende irriducibilmente concreta: “amore sociale”.

L’amore sociale, scrive Francesco, è una «forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d’oggi e per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici». È una forza che non ha bisogno di programmi o di indicazioni “cattedratiche”.
«È possibile cominciare dal basso e caso per caso», scrive Francesco, «lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito».


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