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È nata la Scuola nazionale di formazione Ail per i volontari

Nel corso della presentazione a Roma sono state delineate le “buone prassi” per accogliere, preparare e accompagnare chi sostiene volontariamente i malati ematologici. Al centro dell'incontro il valore di questo esercito del bene che durante la crisi ha fatto la differenza, cruciale per la ripresa e terzo pilastro dell’economia

di Antonietta Nembri

La presentazione ufficiale della prima Scuola nazionale di Formazione Ail per i volontari è stata l’occasione per riflettere sul valore del volontariato stesso, definito dall’Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma nel titolo dell’incontro un “patrimonio della società civile”,riprendendo anche le parole del Presidente Mattarella pronunciate in occasione dell’inaugurazione di Padova Capitale europea del volontariato.

Dopo i suoi primi cinquant’anni Ail ha voluto fortemente dar vita a una scuola di formazione per far sì che l’esercito dei suoi 18mila volontari possa essere composto da persone serene, consapevoli e competenti, capaci di affrontare e risolvere le più diverse situazioni. «In Italia il volontariato finisce sulle prime pagine solo in occasione delle emergenze», ha constatato il presidente nazionale Ail, Sergio Amadori. «Noi invece vorremmo che i nostri volontari possano emergere come un punto di coesione». Per il presidente Ail, del resto «la cura del benessere del volontario è la cura del benessere dell’associazione».

Il sottosegretario al ministero del Lavoro e alle Politiche sociali Stanislao Di Piazza nel suo intervento ha voluto sottolineare come l’esperienza del Covid abbia posto sotto gli occhi di tutti che al centro dell’agire devono essere le persone. «Non è il capitalismo finanziario che risolverà il problema della povertà. Abbiamo capito come attraverso l’inclusione si possano cambiare le cose. Occorre premiare le buone pratiche», ha continuato Di Piazza facendo riferimento all’imprenditoria sociale: un mondo fatto di imprenditori civili profit e non profit, «occorre superare la dicotomia secondo cui il profit è solo cattivo: l’unica differenza è tra imprenditori civili e “incivili”», ha chiosato. «Dobbiamo indirizzare sempre di più le politiche economiche a favore dell’imprenditoria civile che utilizza il profitto per il bene della comunità. Lo Stato deve premiare questo modello nuovo e in questo ci aiuta il Terzo settore che agisce nella logica del dono a favore del bene comune».

Il professor Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Politiche Sociali ha apprezzato sia la decisione di Ail di dar vita a questa prima scuola di volontariato associativo sia di definire i volontari un “patrimonio” «è il dono dei padri, il volontariato dice di una tradizione. Questo mondo lo abbiamo inventato noi nel 1200, pensiamo alle Misericordie», ha ricordato Zamagni sottolineando come invece negli ultimi anni si sia fatta strada invece una concezione addittivista per cui i volontari sono visti come utili nel caso in cui il welfare state non arrivi a rispondere ai bisogno, ma non indispensabili «un errore culturale gravissimo».
«Il volontariato ha una vocazione nascosta che è quella di affermare e diffondere dentro la società di cui è parte quel principio di fraternità e di reciprocità che lo contraddistinguono. La specificità del volontariato è la pratica del principio di reciprocità, un principio fondamentale che altro non è che la traduzione pratica del principio di fraternità. Il volontario non dona soldi, dona se stesso. Ecco allora la necessità di una Scuola, non solo strumento di formazione, ma costruttrice di un pensiero che vada al di fuori delle aule e che possibilmente arrivi a tutti gli ambiti della vita associata, perché il volontariato ha bisogno soprattutto di essere riconosciuto per quel che è, prima ancora che per quel che fa. Sapere che si è importanti ed essere valorizzati è una remunerazione» ha continuato Zamagni che ha anche ricordato la legge 328/2000 che prevedeva che il Terzo settore co-progettasse insieme all’ente pubblico gli interventi.
Marco Damilano, direttore dell’Espresso nel definire la formazione dei volontari necessaria ne ha sottolineato due aspetti: l’acquisizione di competenze e dall’altro una forma di auto-riconoscimento e di consapevolezza del proprio ruolo. Per Damilano quella del volontario è «un’opera di ricucitura in un Paese come l’Italia dove non mancano lacerazioni» e il 2020 è l’anno che ci indica come «ci si debba avviare a un sistema integrato con forme di economia civile e di volontariato per servire il cittadino e le parti più deboli tenendo unito il Paese». Insomma, per Damilano l’Italia non può fare a meno del volontariato.

«La macchina da cucire per ricucire il tessuto sociale, il collante della società c’è è lì gratuitamente ma non viene valorizzata», ha chiosato il presidente Amadori ricordando come l’idea di una scuola di formazione per il volontariato Ail sia partita ben un anno fa.

A raccontarne i passi Giuseppe Toro, presidente di Ail Palermo – Trapani e responsabile della Scuola di Formazione che ha ricordato come in Sicilia i volontari hanno iniziato a essere formati 23 anni fa, ma occorreva trovare un modello e in questo «siamo stati guidati dai nostri psicologi nell’interesse sia del malato sia del volontario». La novità di questa scuola per Toro è il non aver fatto ricorso a una soluzione accademica «abbiamo istituito un tavolo tecnico, prima con 20 psicologi poi con 42 con l’obiettivo di uniformare da Bolzano a Ragusa, la formazione senza per questo calare dall’alto le soluzioni».
Davanti a un ruolo che è cresciuto nel tempo «si capisce allora come tutto questo debba essere affrontato non solo spinti dalla leva umanitaria e dalla solidarietà ma supportato da una certa professionalità. Il volontariato non è più improvvisazione. Tutte le fasi del percorso di cura sono momenti cruciali e a volte spinosi, non basta essere motivati», ha ricordato ancora Toro.
Hanno preso la parola anche due psicologhe che hanno partecipato al tavolo tecnico che ha steso le linee guida Ilenia Trifirò e Chiara Gigli. Trifirò ha sottolineato come al di là della trasmissione di saperi la scuola e la formazione che punta a essere permanente deve essere uno «spazio del pensiero e un momento di presa in carico del volontariato che va sostenuto e orientato». Da parte sa Gigli ha sottolineato il «lavoro molto delicato dei volontari, spesso invisibile. Ma quando per il Covid è stato interrotto la non presenza dei volontari ha fatto sentire tutti più soli, malati e medici».

«Coniugare l’impegno nella ricerca scientifica con progetti in grado di rispondere ai bisogni dei pazienti a 360 gradi ritengo sia fondamentale, e cooperare con chi è coinvolto in prima persona è indispensabile», ha commentato Alberto Stanzione, direttore Oncologia di Pfizer Italia che, ha ricordato il valore della responsabilità sociale. «Il nostro lavoro è cercare di “tradurre la scienza in vita” ed è per questo che è un grande onore essere al fianco di Ail con la Scuola Nazionale di Formazione del Volontariato».

La scuola che ha l’obiettivo di insegnare i principi e i valori fondamentali del volontariato per realizzare in maniera efficace la mission di Ail prenderà il via ufficialmente il 15 ottobre.
Il programma di studio comprende tre giornate di lavoro ogni due settimane, una formazione di base tenuta da volontari esperti, da psicologi e personale sanitario e, per le giovani leve, incontri formativi, colloqui e tutoraggio con supervisione delle attività.

L’incontro si è chiuso con il “sogno” del presidente Amadori «che questa scuola possa valorizzare il volontariato, non solo il nostro, per rendere il tessuto sociale più coeso. E sogno che questo ruolo sia fattivamente riconosciuto nell’invito al tavolo come co-progettatori».


Nell'immagine in apertura i relatori: da sinistra Giuseppe Toro, Sergio Amadori, Stefano Zamagni, Stanislao Di Piazza


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