Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Servizi sociali essenziali: dove sono i piani regionali?

Nella prima ondata i servizi essenziali per la cura e il sostegno delle fasce più a rischio della popolazione sono stati chiusi, spesso senza alcun intervento sostitutivo. Il decreto Rilancio li ha definiti servizi essenziali e le Regioni avrebbero dovuto stendere un “piano pandemico” dei servizi sociali essenziali entro il 16 settembre. Ad oggi, non ci sono notizie circa la loro adozione. E non basta dire agli enti gestori: restate aperti, a vostro rischio e pericolo

di Lisa Noja

L’8 novembre scorso, la Legge 328/2000 ha compiuto vent’anni. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che un anniversario così importante cadesse proprio nel mezzo della seconda ondata dell’emergenza pandemica più grave dell’ultimo secolo. Può sembrare una beffa del destino, ma forse è anche un’occasione per riflettere su quanto lungimirante fosse quella legge quadro e su quanto sciagurata sia stata l’incapacità del nostro Paese di darvi piena attuazione.

La Legge 328/2000, infatti, già vent’anni fa aveva individuato i nodi fondamentali da affrontare per poter realizzare un sistema integrato di servizi tale da garantire livelli essenziali di prestazioni sociali su tutto il territorio italiano, superando la disomogeneità geografica che ancora oggi rappresenta uno dei maggiori fattori di disuguaglianza del nostro paese. Punto di partenza di quel grande progetto di riforma era il passaggio dalla concezione della persona con fragilità come portatore di un bisogno specialistico da soddisfare attraverso interventi singoli e specifici a quella di cittadino titolare di diritti costituzionalmente garantiti, da accompagnare in un percorso di sostegno capace – partendo dal contesto familiare e territoriale – di individuare e valorizzare il suo potenziale individuale. In altre parole, una visione di welfare non più inteso come insieme di interventi meramente riparativi ma come strumento di promozione attiva del diritto di ogni cittadino di sviluppare la propria persona e di partecipare effettivamente alla vita politica, economica e sociale del Paese, così come prescritto dall’art. 3 della Costituzione che – non a caso – è citato proprio all’art. 1 della Legge 328.

Se negli ultimi vent’anni gli obiettivi prefigurati da quella legge fossero stati pienamente realizzati, se l’idea di Community Care alla base di quella riforma così lungimirante avesse davvero costituito il fondamento di un nuovo sistema di welfare per tutto il Paese, forse non sarebbe accaduto il dramma che abbiamo vissuto durante la prima ondata, quando servizi essenziali per la cura e il sostegno delle fasce più a rischio della popolazione sono stati chiusi da un giorno all’altro, senza che spesso fosse messo in campo alcun intervento sostitutivo.

Se negli ultimi vent’anni gli obiettivi prefigurati da quella legge fossero stati pienamente realizzati, se l’idea di Community Care alla base di quella riforma così lungimirante avesse davvero costituito il fondamento di un nuovo sistema di welfare per tutto il Paese, forse non sarebbe accaduto il dramma che abbiamo vissuto durante la prima ondata, quando servizi essenziali per la cura e il sostegno delle fasce più a rischio della popolazione sono stati chiusi da un giorno all’altro, senza che spesso fosse messo in campo alcun intervento sostitutivo.

Consci della lezione della prima ondata, proprio nel tentativo di recuperare la visione innovativa della Legge 328, in sede di conversione al Decreto Rilancio, abbiamo presentato un emendamento, poi approvato, volto a inserire all’articolo 89 del provvedimento il comma 2-bis. Una norma che anzitutto sancisce espressamente come i servizi previsti all'articolo 22, comma 4, della Legge 328 (ossia i servizi sociali professionali e il segretariato sociale, i servizi di pronto intervento per le situazioni di emergenza, l’assistenza domiciliare e nelle strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali, i centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario) siano da considerarsi servizi pubblici essenziali, in quanto volti a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati.

Si tratta di un riconoscimento importante che mira a rendere ancora più chiaro il carattere esigibile di quegli interventi che la stessa Legge 328 riconosce come essenziali e che non possono quindi essere totalmente interrotti, al pari di quanto avviene per altri servizi ritenuti indispensabili per la sicurezza e la vita dei cittadini. Persino nel periodo di lockdown generale di marzo e aprile, infatti, nessuno ha mai ipotizzato la chiusura totale, per esempio, dei trasporti pubblici, degli esercizi commerciali indispensabili per l’approvvigionamento dei beni di prima necessità o dei caselli stradali. Ebbene, con quella norma del DL Rilancio abbiamo voluto affermare in modo inequivocabile che, parimenti, non è pensabile “chiudere” servizi che garantiscono la possibilità per una persona non autosufficiente di alzarsi, lavarsi e vestirsi alla mattina o per una persona con disabilità di proseguire in un percorso di sostegno e di inclusione indispensabile per la sua vita.

Proprio allo scopo di assicurare che il mantenimento di tali servizi non restasse una mera mozione di principio, il comma 2-bis dell’art 89 ha, dunque, imposto alle Regioni e alle province autonome di definire preventivamente le modalità per garantire l'accesso e la continuità dei servizi sociali, socio-assistenziali e socio-sanitari essenziali in questione anche in situazione di emergenza. In altri termini, la norma imponeva a Regioni e province autonome di attrezzarsi con una sorta di “piano pandemico” dei servizi sociali essenziali, così da trovarsi preparati all’arrivo di una seconda ondata epidemica, puntualmente verificatasi.

Il termine per dotarsi di questi piani è scaduto il 16 settembre scorso e, ad oggi, non ci sono notizie circa la loro adozione. Il 22 ottobre ho presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere al Governo lo stato di adozione dei piani e quali iniziative intenda adottare affinché, da parte delle regioni che non abbiano eventualmente adempiuto all’obbligo previsto dal comma 2-bis dell'articolo 89 del Decreto Rilancio, si provveda con la massima urgenza.

Entro il 16 settembre Regioni e province autonome dovevano definire preventivamente le modalità per garantire l'accesso e la continuità dei servizi sociali, socio-assistenziali e socio-sanitari essenziali in questione anche in situazione di emergenza, così da trovarsi preparati all’arrivo di una seconda ondata epidemica. Ad oggi, non ci sono notizie circa la loro adozione

Se a marzo e ad aprile potevamo dolerci dei ritardi strutturali che avevano portato a non implementare adeguatamente la Legge 328, con la tragica conseguenza di trovarsi del tutto impreparati ad assicurare la continuità di servizi essenziali per le persone più vulnerabili, oggi, di fronte a una recrudescenza della pandemia del tutto prevista, scoprire nuovamente di non essersi attrezzati adeguatamente significherebbe certificare un vero e proprio fallimento istituzionale. E a nulla varrebbe opporre l’argomento che, formalmente, nessuna misura restrittiva attualmente imponga la chiusura dei servizi in parola.

La norma del DL Rilancio, infatti, imponeva agli enti locali di dotarsi di un piano organizzativo idoneo a garantirne l’effettiva accessibilità e continuità, declinandone modalità di erogazione basate su progetti personalizzati e tenendo conto delle specifiche e inderogabili esigenze di tutela proprio delle persone più esposte agli effetti dell’emergenza. Era, dunque, richiesta una piena assunzione di responsabilità, non essendo sufficiente, limitarsi a dire agli enti gestori: restate aperti, a vostro rischio e pericolo. Stavolta gli enti locali avevano e hanno il compito di farsi parte attiva di una pianificazione capace di accompagnare gli enti gestori, di sostenerli e di aiutarli a individuare le forme migliori per non abbandonare mai le persone in difficoltà, nonostante la pandemia. Stavolta non ci possono essere alibi o giustificazioni per nessuno.

Lisa Noja, avvocato, onorevole di Italia Viva

Photo by Anastasiia Chepinska on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA