Welfare & Lavoro

Nessuno è troppo grave per la vita indipendente

In Lombardia le organizzazioni di persone con disabilità e loro familiari hanno presentato un progetto di legge regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente. È una revisione completa del modello di welfare per le persone con disabilità, che supera la logica dell'assistenza, protezione e custodia. Intervista con Giovanni Merlo

di Sara De Carli

«Oggi, in Lombardia, la vita di molte persone adulte con disabilità si può riassumere con tre parole: assistenza, protezione e custodia. Noi vogliamo che in un prossimo futuro queste tre parole siano altre: casa, lavoro e vita sociale»: Alessandro Manfredi, presidente di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità, sintetizza così il senso del progetto di legge regionale “Politiche di welfare sociale regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità” che l’associazione ha presentato al Consiglio Regionale della Lombardia (qui il testo integrale).


Progetto individuale di vita indipendente, budget di progetto, Agenzie per la vita indipendente, revisione delle unità di offerta sociosanitarie e socioassistenziali: sono questi i cardini del progetto di legge regionale. «Ogni persona con disabilità è titolare del proprio progetto individuale di vita indipendente e ha diritto di essere supportata nella definizione dello stesso», si legge all’articolo 4. «Il progetto individuale di vita indipendente viene redatto sulla base delle preferenze e degli obiettivi della persona, con disabilità, delle sue condizioni di vita e dei suoi bisogni». «Il progetto individuale di vita indipendente può essere oggetto di modifiche su richiesta della persona con disabilità o del suo rappresentante legale». «Eventuali limitazioni nella possibilità di autodeterminazione non possono giustificare interventi di sostituzione delle decisioni delle persone con disabilità». Giovanni Merlo, direttore di Ledha, ce ne spiega l’origine e gli obiettivi.

Lunedì 23 novembre avete presentato la proposta al Consiglio Regionale. “Prima” cosa c’è stato?
Lunedì è stato un punto di arrivo e insieme di partenza. Tutto è partito molto tempo fa e un anno fa, il 19 settembre 2019, abbiamo presentato una prima idea di lavoro. La proposta di legge nasce dalla constatazione che anche dopo molti anni c’è una distanza fra la realtà e ciò che è previsto come diritto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Questa distanza ha molte motivazioni: culturali, tecniche, di risorse… Una motivazione è anche il fatto che l’impostazione del nostro welfare non prevede il riconoscimento del diritto alla vita indipendente per cui anche chi si è sforzato in questi anni di prendere sul serio l’art 19 della Convenzione Onu spesso di è di fatto trovato bloccato, nell’impasse di dover decidere se dare retta alla Convenzione Onu o alle norme che regolano il funzionamento del servizio. L’esempio più immediato è quello dei servizi diurni: chi opera in un Centro Diurno dovrebbe lavorare per promuovere l’indipendenza, l’inclusione, il protagonismo delle persone… Invece le regole del sistema portano di fatto a una prospettiva centrata sull’assistenza, la custodia e la protezione delle persone. Nelle situazioni in cui le due cose confliggono e si deve scegliere una prospettiva o l’altra… oggi vince la logica dei servizi.

L’impostazione del nostro welfare non prevede il riconoscimento del diritto alla vita indipendente, per cui anche chi si è sforzato in questi anni di prendere sul serio l’art 19 della Convenzione Onu spesso di è di fatto trovato bloccato, nell’impasse di dover decidere se dare retta alla Convenzione Onu o alle norme che regolano il funzionamento del servizio. Quando si deve scegliere una prospettiva o l’altra… oggi vince la logica dei servizi.

Giovanni Merlo

Qual è il punto del welfare attuale che proprio non funziona?
È un sistema di welfare incentrato sull’emergenza e l’urgenza, che da per scontato che sono le famiglie a prendersi carico della persona con disabilità e che quindi interviene sostanzialmente a supporto delle famiglie. Individua come risposte “i posti”, “il collocamento”, tot ore di assistenza, un assegno di tal valore… Ma questi sono strumenti, non sono le risposte.

Quindi avete individuato la vita indipendente come tema cruciale per cambiare il sistema del welfare. Perché pensate che si debba partire proprio da questo?
Ovvio che bisogna cambiare tante cose, questa è una cosa che va fatta insieme a tante altre, però rileggendo le segnalazioni che ci sono arrivate al Centro Antidiscriminazioni Franco Bomprezzi ci sentiamo di dire che c’è anche questo pezzo da fare: provare a intervenire sull’aspetto legislativo per orientare il lavoro degli operatori sociali e sociosanitari a sostegno del rispetto dei diritti. In questo orizzonte abbiamo avanzato la proposta. La prima cosa da mettere in rilievo è che va cambiata la nozione attuale di vita indipendente, che non è quella della Convenzione. Oggi di fatto la “vita indipendente” viene intesa solo come desiderio di andare a vivere da solo e diventa uno dei servizi del “menù”, che riguarda tendenzialmente solo persone adulte, con disabilità motoria, cin certe abilità… No. La nostra proposta di legge per la vita indipendente è per tutte le persone con disabilità: è il diritto di tutte le persone con disabilità a decidere della propria vita, quasi che siano le compromissioni che hanno e le competenze che hanno. Casomai l’impegno deve essere maggiore verso le persone che hanno più difficoltà ad esprimere i loro bisogni e i loro desideri, investendo capacità e competenze professionali per far emergere i desideri della persona, di ogni persona.

Vita indipendente quindi non è solo un progetto per l’autonomia abitativa.
No, è occupazione, lavoro, tipo di vita, casa, dimensione sociale, vita affettiva. L’obiettivo è uscire da un welfare che seleziona in base al tipo di menomazione funzionale, al grado di intensità del bisogno, al reddito: specifiche che ci sono e che vanno tenute in considerazione, ma che sono ininfluenti rispetto al diritto alla vita indipendente, che è universale. Ci sono tantissime sperimentazioni in questo senso, noi ad esempio siamo coinvolti in L-inc, ma penso anche a molte sperimentazioni legate alla legge 112: sono esperienze che dimostrano che si può fare, ma restano sempre sperimentazioni. Invece deve diventare l’ordinario. L’obiettivo è creare un modello che valga per tutti e non solo per chi entra in progetto sperimentale.

La nostra proposta di legge per la vita indipendente è per tutte le persone con disabilità: è il diritto di tutte le persone con disabilità a decidere della propria vita, quasi che siano le compromissioni che hanno.

Concretamente, quali sono le modalità?
Per tutte le persone che chiedono un progetto individuale di vita indipendente, ci deve essere una valutazione multidimensionale, una coprogettazione attraverso cui devono emergere aspettative, desideri, preferenze e bisogni della persona con disabilità, la definizione di un progetto individuale di vita indipendente, la formazione di un budget di progetto. Oggi la valutazione multidimensionale serve per accedere a delle risorse: noi diciamo che viene prima, deve mettere in condizione la persona di avere la massima consapevolezza delle proprie condizioni e di poter esprimere le proprie preferenze. L’esito della valutazione non è “cosa la persona non può fare” ma il dire “lei cosa vuole fare”. Con questa cornice, poi, è il progetto individuale di vita indipendente “che comanda”: al suo interno può starci qualsiasi intervento, il punto è che la persona con disabilità abbia espresso quella preferenza. Questo implica ad esempio che l’utilizzo delle risorse cambierà da un progetto individuale all’altro, non ci sarà una risposta buona per tutti. Un aspetto cruciale è che il titolare del progetto individuale di vita indipendente è la persona con disabilità: il progetto deve essere scritto in prima persona, io voglio fare, io vorrei arrivare… L’altro aspetto dirimente è che c’è un solo progetto per la persona, non un progetto diverso per ogni servizio. Oggi se c’è conflitto tra progetto individuale e servizio, come dicevo prima, vincono le regole del servizio: la nostra idea è che al contrario tutti devono riferirsi al progetto individuale. Questo significa ad esempio che l’orario del servizio cambia in base a i desideri della persona, che può aver bisogno di un servizio alle 11 invece che alle 9, piuttosto che la sera. In termini tecnici significa che il progetto individuale diventa l’elemento regolatore del sistema.

Da qualche anno di parla di budget di progetto come composizione di tutte le risorse che ci sono, economiche e non, pubbliche e private. Funziona?
Con l’esperienza di L-inc abbiamo visto che questo approccio di fortissima personalizzazione ha aperto filoni di lavoro scoiale molto interessanti. Il risultato più immediato da comprendere è che le persone che in questi 2-3 anni hanno partecipato al progetto hanno visto aumentare i luoghi frequentati da 2 a 5. Non solo, se i luoghi di appartenenza iniziali erano molto marcati dalla disabilità, i nuovi luoghi che si sono aggiunti sono al contrario luoghi della comunità, orti sociali, bar, farmacie, il posto di lavoro, altre associazioni che non centrano con la disabilità, gruppi di cammino…

È il progetto individuale di vita indipendente “che comanda”: al suo interno può starci qualsiasi intervento, il punto è se la persona con disabilità abbia espresso quella preferenza.

E i servizi?
Serve una revisione delle unità di offerta. Questo progetto di legge per il diritto alla vita indipendente non è contro il sistema dei servizi: pensiamo che debbano essere modificati, perché il loro compito non è erogare minuti di assistenza.

È necessario creare le Agenzie per la vita indipendente?
Non è una sovrastruttura: nasce dalla consapevolezza che per questa progettazione serve un luogo i tranquillo, di ascolto, di riflessione, che le persone sentano “loro”. Il servizio sociale risponde all’urgenza mentre è importante che la persona possa trovare qui le competenze per far emergere tutti i propri desideri, dove si componga il budget di progetto progetto… Le immaginiamo a livello distrettuale, non una per ogni ambito.

E adesso che succede?
Siamo preparati a una maratona. Il primo incontro istituzionale è andato bene, il presidente del Consiglio regionale ci ha comunicato di aver trasmesso la proposta all’ufficio legislativo, che un po ‘ il passaggio preliminare. Il nostro impegno adesso è quello di promuoverne i contenuti, innanzitutto a livello culturale: per questo lanceremo una campagna di comunicazione con lo slogan “Voglio vivere come dico io”.

Perché come dice il presidente di Ledha, Alessandro Manfredi, «non esistono persone la cui condizione di disabilità sia ‘troppo grave’ da essere escluse dal diritto di vivere una vita indipendente. A tutte le persone con disabilità, anche a quelle che vengono definite ‘gravi’ o ‘gravissime’, deve essere riconosciuto il diritto di scegliere dove vivere, con chi vivere e a partecipare alla vita sociale delle nostre comunità con la stessa libertà di scelta di tutti i cittadini».

Photo by Randy Tarampi on Unsplash


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