Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Una ruota quadrata: l’Italia secondo il Censis

I quattro interventi che il Censis indica per uscire dalla crisi sono un nuovo schema fiscale; un ridisegno del sistema industriale; un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali; una revisione delle attribuzioni di ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del Terzo settore, «un po’ attori e progettisti dell’intervento sociale, un po’ ammortizzatori dell’inefficienza pubblica». Il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani è uno dei capitoli più drammatici dell’emergenza sanitaria secondo il Censis. È l'anno della paura nera. E il 43% degli italiani torna ad ammettere la pena di morte

di Redazione

Una ruota quadrata che non gira. Così il 54esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi, descrive il sistema-Italia. Anziché avanzare, una ruota quadrata avanza a fatica, suddividendo ogni giro in quattro momenti distinti, con uno sforzo disumano per ogni movimento compiuto. L’epidemia ha squarciato il velo sulle nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, pronti a ripresentarsi – più gravi di prima – il giorno dopo la fine dell’emergenza.

«Il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus», scrive il Censis, in questo anno “della paura nera”. È questa l’etichetta che sceglie, dettata dal 73,4% degli italiani che indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente del momento. Un’Italia spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza, che ha visto «una relazionalità amputata e un crollo verticale del “Pil della socialità”».

Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo, tanto che il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Insieme al debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno quindi molte. Persino la pena di morte torna nella sfera del praticabile: a sorpresa, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è oggi favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento, con il dato che sale al 44,7% tra i giovani.

La forbice tra garantiti e non garantiti. Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no, con circa 5 milioni di persone che vivevano dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Oggi il 40% degli italiani afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e ‒ nel Pese dell’autoimprenditorialità ‒ solo il 13% lo considera ancora una opportunità. Secondo il Censis i sussidi erogati dall’Inps a ottobre avevano coinvolto una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa. Il Censis la chiama “bonus economy”, fatta di "sussidi ad personam".

La scuola degli esclusi. Solo l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti. Nel 18% degli istituti ad aprile mancava all’appello più del 10% degli studenti. Il 53,6% dei presidi sostiene che con la didattica a distanza non si riesce a coinvolgere pienamente gli studenti con bisogni educativi speciali. Il 37,4% teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e per la prevenzione della dispersione scolastica.

«Quest’anno siamo stati incapaci di visione. La distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi di ogni ordine e genere ha calmierato le difficoltà di imprese e famiglie. Il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione in deroga hanno posto un argine al rischio di trasferire sui soggetti più deboli gli effetti della riduzione della produzione. Ma il debito pubblico è stato accresciuto in misura rilevante, ponendo un ulteriore fardello sulle prossime generazioni. Il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un’alta via», scrive il Censis. «In tutte le epoche di crisi, la società italiana ha resistito e ha saputo rilanciare grazie a un curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti. Ma la realtà odierna ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non presupporre una nuova azione sistemica della mano pubblica. Tutti avvertono che per rimettere in cammino l’economia e risaldare la società occorrono interventi concreti e in profondità». Quelli che il Censis indica sono un nuovo schema fiscale; un ridisegno del sistema industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti a sostegno della produzione, dell’innovazione, delle esportazioni; un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali; rivedere le attribuzioni di ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del Terzo settore, «un po’ attori e progettisti dell’intervento sociale, un po’ ammortizzatori dell’inefficienza pubblica».

Il capitolo dedicato al sistema di welfare, mette in evidenza l’inverno demografico che sta progressivamente rimpicciolendo il Paese, il fatto che durante l’emergenza sanitaria, 16 milioni di pensionati hanno svolto il ruolo di «silver welfare» a supporto di figli e nipoti, facendo scoprire il valore sociale ed economico delle pensioni e il ritorno di una idea di malattia che fa paura, rovesciando quella rappresentazione rassicurante che si era imposta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e con la cronicizzazione delle patologie. «Il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani è stato uno dei capitoli più drammatici dell’emergenza sanitaria», conclude il Censis. «Nel post Covid-19 diventa prioritario attivare reti integrate di assistenza per affiancare le famiglie troppo spesso lasciate sole nell’assistenza di malati cronici o non autosufficienti. La soluzione passa attraverso la figura dell’infermiere di comunità o di famiglia. Ben il 91,4% degli italiani la ritiene la soluzione migliore per l’assistenza e la cura di persone bisognose di terapie domiciliari e riabilitative».

Photo by Alessandra Caretto on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA