Sanità & Ricerca

Matthew Lukwiya, medico martire di ebola

7 ottobre 2000: due studentesse muoiono nell’Uganda del Nord per un misterioso virus. Matthew Lukwiya, medico, riconosce subito la micidiale infezione: ebola. Direttore sanitario del St. Mary’s Lacor Hospital a Gulu, Lukwiya si prodiga in modo eroico nell’assistenza ai malati. Consapevole di dare la vita per il prossimo, muore il 5 dicembre 2000, lasciando in eredità la sua testimonianza di carità. Racconta la sua storia il libro Matthew Lukwiya (EMI Editrice Missionaria Italiana).

di Dorina Tadiello

I nostri giri in reparto fra i malati di ebola sono particolarmente impegnativi. Dobbiamo compiere un’osservazione e descrizione meticolosa e giornaliera di sintomi, segni, osservazioni, variazioni del quadro clinico, nel tentativo di aprire nuove vie di comprensione e terapia. Ci riuniamo settimanalmente con gli esperti sanitari mondiali presenti a Gulu per coordinare le attività e tentare di mettere a frutto le loro conoscenze scientifiche, intuizioni o ipotesi cliniche. A coronamento di tanta fatica, la mortalità tra i malati di ebola nel nostro reparto era del 45% contro l’80-90% segnalato nelle precedenti epidemie in altri Paesi.

Non che per Matthew Lukwiya sia sempre tutto facile. A volte commenti superficiali, notizie scorrette, pregiudizi e insinuazioni sulla validità del suo lavoro lo fanno soffrire. In uno degli incontri con gli esperti, dichiara: «Sono amareggiato e risentito per commenti fatti alle mie spalle e basati su notizie viziate, forse, da pregiudizi o superficialità. Credo che l’esposizione fondata su basi scientifiche del mio approccio clinico all’ebola, e il dibattito che ne è seguito, abbiano chiarito ogni dubbio in proposito. Chiedo, per il futuro, più correttezza nelle relazioni fra di noi, più confronto aperto, leale e sincero. Sarò sempre disponibile per chiarimenti a chiunque abbia dubbi o perplessità, ma odio la disinformazione e la calunnia. Chiedo correttezza professionale come si conviene a gente del nostro livello, che sola può creare le basi per una collaborazione proficua e duratura». I presenti acconsentono, presentando le loro scuse.

L’indomani uno dei rappresentanti dell’Oms di Ginevra a Gulu mi dice: «Sono davvero spiacente per l’incidente di ieri. Vorrei che lei mi aiutasse a far capire al dottor Matthew quanto apprezziamo e valorizziamo la sua competenza professionale e la sua esperienza. È la prima volta che ci troviamo di fronte un uomo della sua statura. Spero che sia tutto chiarito e che continui a offrirci il suo prezioso contributo. È la prima volta che, in Africa, ci confrontiamo con un modo di affrontare la sanità a questo livello. Per noi è una grande sfida».

Il dottor Matthew è la persona che porta il carico più pesante di responsabilità e lavoro. Nonostante ciò, sa essere molto attento alla realtà che lo circonda.

Un giorno devo andare in città per un impegno urgente, cosa che ritarderà il mio arrivo in corsia. Vado in ospedale per informare del contrattempo, incontro il dottor Yoti col quale mi accordo per il turno di lavoro. Sto per uscire quando ci raggiunge il dottor Matthew, accompagnato da alcune persone. Ci fermiamo per un breve scambio di saluti, poi il gruppo prosegue verso l’isolamento, mentre io devio per andare in città. Lui si accorge subito che non sono nel gruppo, si ferma, mi chiama e, venendomi incontro, mi chiede, non senza una nota di apprensione: «Qualcosa non va? Non vieni a lavorare con noi?». Gli assicuro che non ci sono problemi, mi scuso per non averlo informato, dicendogli che non volevo interrompere la sua conversazione con le persone che erano in sua compagnia. Con un sospiro di sollievo dice: «Va bene, va bene», e dopo una breve pausa aggiunge: «È dura, vero? Sì, lo so, è davvero duro continuare in questa situazione, ma cosa possiamo fare? Non siamo ancora alla fine, dobbiamo solo perseverare sostenendoci a vicenda».


Matthew Lukwiya, libro da cui sono tratti questi paragrafi, è disponibile all’interno del sito web di EMI Editrice Missionaria Italiana


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