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Schiavi a casa nostra: perché si spara nel ghetto pugliese dell’agroalimentare

L'ultimo episodio di violenza è accaduto nel foggiano: braccianti presi a fucilate. Perché? Forse perché si avvicina la data del 18 maggio, primo sciopero proclamato dagli «ultimi della filiera». Un gesto per nulla isolato che, spiega il sindacalista e attivista Aboubakar Soumahoro, rivela una situazione ben oltre i limiti della disumanità

di Marco Dotti

L'ultimo episodio, due giorni fa. Spari contro un gruppo di ragazzi che tornava dal cosiddetto "gran ghetto", un insediamento sorto circa vent'anni or sono tra le campagne di San Severo, Rignano Garganico e Foggia. Una città vera e propria che ospita i "raccoglitori", migliaia di persone che arrivano in Puglia per lavorare per meno di 3 euro l'ora nei campi di pomodori. Nel foggiano si contano oltre 10mila persone, tutte impegnate nella raccolta agricola, alloggiate in insediamenti di cui il "gran ghetto" è solo la più nota.

Mentre ancora si cerca di capire il "chi" e il "cosa", è già chiaro il "come": affiancati nella notte da un fuoristrada, i tre ragazzi che erano a bordo di una vecchia Opel sono stati sorpresi dai colpi di fucile.

Pochi giorni prima si era registrata un'altra aggressione, stavolta ai danni dell'équipe socio-sanitaria che presta soccorso e aiuto all'interno dell'insediamento.

Ma i due episodi sembrano slegati tra loro e anche se sull'ultimo che ha portato al ferimento di un giovane maliano, le forze dell'ordine ancora non si esprimono tanto è bastato per riportare all'attenzione della società civile il tema dello sfruttamento agricolo e delle condizioni di vita dei lavoratori.

A denunciare quanto accaduto nella notte del 25 aprile è stata la Lega Braccianti, fondata dal sindacalista Aboubakar Soumahoro. Come Lega Braccianti, spiega l'attivista, «abbiamo convocato un’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori perché questi attentati alla vita di uomini e donne, non piegheranno e non fermeremo la nostra lotta per i diritti e per la dignità socio lavorativa di tutte e di tutti. Non c’é consolazione per il dolore e la rabbia provata, ma continueremo a lottare per questo nostro compagno e per tutti quelli che sono stati feriti questa notte nell’agguato».

Come ha rimarcato Toni Mira su Avvenire non si tratta del primo agguato nell’area: il 28 marzo 2019, nella zona di Borgo Mezzanone, venne ucciso con due colpi di pistola, mentre era in bicicletta, il cinquantunenne ghanese Daniel Nyarko. A fine luglio 2019, altri nove immigrati, sono stati vittime di aggressioni a sassate mentre in bicicletta andavano al lavoro.

Le ragioni dell'agguato, al di là del probabile intento ritorsivo, secondo Soumahoro vanno ricercate sullo sfondo di un'economia grigia sempre più messa in discussione dalla consapevolezza che braccianti e migranti stanno acquisendo sui propri diritti. Persone che lavorano anche 14 ore al giorno e spesso vengono pagate in natura, con beni alimentari e acqua e hanno deciso di dire di no organizzando per il 18 maggio prossimo uno sciopero.

«È un gesto gravissimo, a nostro avviso sicuramente ritorsivo per quanto accaduto nei giorni scorsi, quando facinorosi hanno tentato di rubare il carburante e sono stati bloccati da un abitante del ghetto che grazie all’aiuto di altri abitanti sono stati assicurati alla giustizia», commentano dalla locale sezione Flai Cgil.

Raffaele Falcone, segretario della Flai Cgil di Foggia spiega che «da qualche tempo il giovane ferito dagli spari, che gli amici chiamano Biggie per la sua stazza, aveva un lavoro stabile in un’azienda agricola del territorio. Da sempre iscritto alla Flai Cgil Foggia, aveva un po’ di problemi con il permesso di soggiorno e l’anno scorso avevamo fatto richiesta di sanatoria grazie anche all’aiuto del suo datore di lavoro».

Nel frattempo, il prefetto Raffaele Grassi dopo i due episodi che hanno interessato l’insediamento nelle campagne tra Foggia e San Severo ha disposto un servizio di vigilanza armata nell’area del cosiddetto «gran ghetto».


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