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Ecco cosa serve per riaprire le RSA ai familiari

Riaprire ai parenti è un dovere e una gioia. Ma non è vero che siccome tutti gli ospiti delle RSA sono vaccinati, non ci sono più problemi: serve fare un sierologico a tutti, per verificare la risposta immunitaria. Luca Degani (Uneba Lombardia) spiega cosa si aspetta di trovare nell'emendamento annunciato dal Governo, cominciando da chi può entrare e da quale contatto fisico è accettabile. Perché demandare ai direttori sanitari è una palese contraddizione: le RSA non li hanno

di Sara De Carli

Una riapertura alle visite, dove la sicurezza possa andare insieme alla gioia di rivedersi. C’è grandissima attesa da parte delle famiglie ma anche da parte degli enti gestori per gli impegni arrivati da molte parti politiche per la riapertura delle visite dei famigliari nelle strutture residenziali per anziani. Uneba – la più rappresentativa organizzazione di categoria del settore sociosanitario e socioassistenziale, con circa 1000 enti aderenti in tutta Italia – apprezza in particolare l'intenzione di introdurre di regole uniformi per tutte le strutture e tutte le Regioni, tramite un emendamento al decreto Riaperture. «È esattamente quanto noi di Uneba avevamo chiesto con il nostro comunicato del 27 aprile, in cui ci appellavamo al Governo e alle Regioni perché approvassero protocolli e regole chiare, per modificare le norme sulle visite, molto stringenti, attualmente in vigore. Solo in questo modo infatti, le RSA possono garantire sia la protezione di tutti dal Covid che la gioia della relazione personale, tanto agli anziani quanto ai loro famigliari. Far vivere alle anziane e agli anziani relazioni di valore, pur con tutte le difficoltà delle fragilità, è infatti l'obbiettivo quotidiano degli enti e delle migliaia di lavoratrici e lavoratori degli enti Uneba: prima, durante e dopo la pandemia», dice Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia.

Che cosa mancava finora?
Eravamo e siamo in una situazione paradossale, con un dpcm che dichiarava che le visite ai parenti devono limitarsi alla eccezionalità. Norma rafforzato a fine marzo da un decreto legge di analoghi contenuti, che ha dato alla norma la natura di fonte primaria. Gli ingressi possono essere autorizzati in casi eccezionali dal direttore sanitario della struttura e non è che non ci fossero riferimenti per dare contenuto a quell’“eccezionali”, perché in norme precedenti era stato espressamente indicato il fine vita. Per di più si fa riferimento alla decisione del direttore sanitario, una figura di altissima professionalità, con competenze specifiche: di per sé è corretto… peccato che nelle RSA praticamente non esistono i direttori sanitari, si tratta di una figura più che altro ospedaliera. Le RSA con un direttore sanitario sono quelle che appartengono a realtà con più strutture e migliaia di posti letto, ma anche qui il direttore sanitario non è quello che sovrintende alla struttura con 100-120 ospiti. Le RSA solitamente hanno un responsabile medico, non un direttore sanitario: almeno, qui in Lombardia. In Veneto nemmeno quelli, perché la normativa prevede non un responsabile medico ma un coordinatore infermieristico, dal momento che il medico degli ospiti resta quello di medicina generale. Ecco, questo dà l’idea che non si sa esattamente ciò di cui si sta parlando.

Cosa vi aspettate ci sia in questo emendamento?
Riaprire le visite e riattivare anche un contatto fisico fra gli ospiti e i loro familiari è importante e necessario ma non può voler dire un “liberi tutti”. Intanto bisogna abrogare la norma esistente e sostituirla con norme che non siano indicazioni generiche ma precisi protocolli nazionali, con vigenza normativa, che definiscano i criteri per l’accesso. A quel punto le strutture redigeranno i loro piani organizzativi, che sottoporranno alle Asl o Ats a seconda delle zone. Quello che certamente non possiamo dire è che siccome gli anziani ospiti delle RSA sono tutti vaccinati, siamo a posto.

Che cosa serve per riaprire le strutture alle visite dei parenti?
Innanzitutto creare un protocollo per le visite omogeneo sul territorio nazionale non significa che tutti potranno entrare ovunque, ma che andrà valutata con criteri omogenei la situazione pandemica di ogni territorio, l’indice di trasmissione del virus, la tipologia di virus che circola. L’elemento più importante però a nostro giudizio è la verifica preliminare della risposta immunitaria al vaccino da parte di tutti i nostri ospiti: deve essere fatto un sierologico a tutti gli ospiti delle RSA per dire se vaccino che hanno fatto li copre davvero. Perché se io o lei, non abbiamo una adeguata risposta immunitaria pazienza. Ma se non ce l'ha un 85enne, che poi prende il Covid nonostante il vaccino… siamo daccapo. Riaprire la struttura agli esterni infatti non riguarda solo l’incontro fra un ospite e il suo familiare, ma evidentemente coinvolge il fatto che la RSA è una comunità. E in questa comunità possono vivere anche soggetti che magari non hanno un adedguato livello di immunizzazione. Ricordiamoci sempre che l’età media degli ospiti in RSA è di 85 anni, con più patologie: la verifica della risposta immunitaria di tutti gli ospiti è un dovere etico.

Chi dovrebbe pagare questo sierologico per tutti gli ospiti?
Possiamo anche pagarlo noi strutture, ma la verità è che dovrebbe essere a carico dello Stato: non può che essere così se vogliamo avere la certezza che tutti lo facciano. Altrimenti avremo RSA di serie A e di serie B, ma soprattutto cittadini di serie A e di serie B.

Voi avete chiesto la vaccinazione di un familiare per ciascun ospite…
I protocolli devono definire quali categorie di persone potranno entrare: non sono io a dover dire se serviranno una o due dosi di vaccino, ci vuole il CTS… Mi aspetto anche che venga detto se è il caso o meno che ci sia l’abbraccio, il bacio… Questa dimensione deve essere disciplinata da chi ha competenze igienistiche per capire qual è livello accettabile di rischio per ciascun contatto. Occorre regolare la frequenza di accesso, in modo da poter igienizzare e areare gli spazi: le visite in spazi comuni aerati e all’aperto le stiamo già facendo, ma se si aprono le strutture occorre prestare attenzione a questo aspetto. Anche perché chi oggi rischia di più sono proprio i parenti, i figli cinquantacinquenni che non sono ancora vaccinati.

Come descriverebbe la qualità di vita nelle RSA in questi mesi?
Gli ospiti hanno ricominciato a vivere meglio quando sono stati vaccinati, non c’è dubbio. Adesso sono state riattivate completamente le attività interne, la vita fra loro è ripresa: ci sono tutte le attività animative e educative, la dimensione ludica, i laboratori… La situazione dopo il vaccino è completamente cambiata: prima non si poteva nemmeno mangiare insieme in mensa. Dobbiamo ringraziare le tante realtà che si sono ingegnate per avere strumenti di videochiamata che non fossero i piccoli schermi dei telefonini, le stanze degli abbracci, i vetri… ma quello rispetto alla relazione era un danno: un danno necessario ma pur sempre un danno.

Ci sono nodi ancora da sciogliere, oltre a quello delle visite?
La vaccinazione deve riguardare tutti operatori: un ausiliario che si occupa quotidianamente dell’igiene dell’ospite e degli ambienti ha più contatto con gli anziani rispetto a chi ha una funziona diagnostica. Alcune regioni hanno interpretato l’obbligo vaccinale solo per alcune categorie professionali – medici, infermieri e OSS – mentre per noi l’interpretazione estensiva dell’obbligo è necessaria, soprattutto sul lungo periodo: il Covid-19 cesserà di essere una pandmia e diventerà un virus endemico, ma in una RSA esso potrà avere comunque esiti letali. Per questo chi entra in una RSA a qualsiasi titolo, che sia un consigliere, chi prepara i pasti, un familiare… ha l’obbligo di essere vaccinato, a tutela dei nostri ospiti.

Photo by LOGAN WEAVER on Unsplash


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