Sanità & Ricerca

DSM, il disordine del discorso psichiatrico e il sesso

Da decenni il Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorders, elaborato da psichiatri americani, è considerato la Bibbia da gran parte degli specialisti in discipline "psy" in ambito diagnostico. Nel suo ultimo libro, Sergio Benvenuto smonta pezzo per pezzo questa pretesa di scientificità, denunciandolo come “manuale Cencelli” delle correnti psichiatriche americane, frutto di compromessi politici e ideologici

di Enrico Valtellina

Aveva senz’altro ragione il Foucault del primo volume della Storia della sessualità, criticando l’“ipotesi repressiva”, ad affermare che la modernità si è accanita nella esposizione, mappatura, classificazione delle forme del desiderio sessuale: “Nasce verso il XVIII secolo un’incitazione politica, economica, tecnica a parlare del sesso. E non tanto sotto la forma di una teoria generale della sessualità, ma sotto quella di analisi, di contabilità, di classificazione e di specificazione, sotto forma di ricerche quantitative o causali” (Foucault, 1978). Un lungo itinerario da Onania (Laqueur, 2007) alle Psychopathia sexualis, di Heinrich Kaan, di Albert von Schrenck-Notzing e di Richard von Krafft-Ebing, a Henry Havelock Ellis, Auguste Forel e Magnus Hierschfeld, fino al rapporto Kinsey raccorda i piaceri sessuali alla loro percezione culturale, esponendone con dedizione e precisione entomologica le forme. Più che nel cervello o nel cuore, la verità dei soggetti è ricercata nei genitali e nelle predilezioni singolari per i loro usi.

Come mostra Ian Hacking nella splendida lezione inaugurale al Collège de France sulle problematicità del pensiero classificatorio (evidenziate in altro modo nel Penser/Classer di Georges Perec), le classificazioni sono specchio fedele del tempo in cui si danno, valga a esempio come nelle successive edizioni della Psychopathia sexualis di Krafft-Ebing sia inscritta, e possiamo cogliere, la parabola della fortuna del termine degenerazione, Entartung, al centro della scena nelle prime edizioni, defilata fino a scomparire in quelle novecentesche, del resto l’ossessione, al limite della fobia, dell’autore per i tagliatori di trecce, non ha più ragioni nel tempo presente. Ciò per dire che le forme della mappatura del desiderio sessuale dicono verità sul tempo in cui si danno, e sulle portanti dei metodi interpretativi, nel modo più diretto e chiaro.

Il nuovo libro di Sergio Benvenuto, Lo psichiatra e il sesso di Sergio Benvenuto (prefazione di Pietro Barbetta, Mimesis, 2021) si appoggia in modo mirabile al principio del raccordo tra classificazione e tempo della sua evenienza nell’analisi del luogo della verità delle divergenze nella condotta, anche sessuale: il quinto volume del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM V. Lo psichiatra e il sesso: I malesseri sessuali secondo il DSM-5 (Benvenuto, 2021. Introduzione di Pietro Barbetta) è un’indagine che, interrogando la Bibbianordamericana della psichiatria in relazione al sesso, giunge a esplicitarne compiutamente le portanti teoriche. Critica al DSM, quindi, ma a un tempo critica alle critiche usuali, serrata e articolata tanto da non permettere scorciatoie che ne eludano in una sintesi brutale lo sviluppo. Seguiamone quindi l’argomentazione.

Disorder, uno dei termini chiave del DSM V, viene tradotto usualmente con disturbo, Benvenuto ritiene giustamente più esplicativa la traduzione immediata disordine, in quanto pone la questione in termini di non conformità, divergenza dall’ordine della norma. E ne evidenzia la natura essenzialmente morale. Poi, nel DSM, in verità, ad apparire essenzialmente disordinato è il suo principio, una specie di disordine del discorso psichiatrico, la cui conseguenza è la proliferazione delle diagnosi, e ancor più di quanti vi si trovano inscritti.

Ciò anche in ragione della definizione spettrale delle condizioni, per cui, abbassando la soglia dell’inscrizione, in qualche modo, tutti ci trovano un posticino. Per un verso ciò è molto democratico, come il manicomio de L’alienista di Machado de Assis, per altro ha motivato le critiche dei redattori pentiti delle due edizioni precedenti, Robert Spitzer e Allen Frances. A loro parere, e innegabilmente, la conseguenza è la patologizzazione indiscriminata, che porta a “curare chi è normale” (Frances, 2013), con un indotto considerevole per il settore farmaceutico, ma al contempo con ricadute sociali non esattamente auspicabili.

Una critica ricorrente al DSM lo vede come strumento scientifico di controllo sociale, una simile prospettiva accredita le pretese di oggettività degli estensori. Si tratta di una critica antiscientista e spiritualista, piuttosto, sostiene Benvenuto, “è vero l’opposto: la diagnostica psichiatrica – DSM-5 incluso – non è affatto oggettiva, assorbe invece come una spugna visioni diffuse, mentalità, tropismi politico-filosofici alla moda, pregiudizi correnti, insomma, quelle che chiamerò Filosofie Popolari Dominanti, e dà a questo assorbimento una sorta di avallo “scientifico” post factum” (p. 31). Nulla di meno scientifico, una scienza per alzata di mano, secondo il criterio con cui venne scelto di depatologizzare l’omosessualità nel 1973 (vinse col 58% delle mani, contro il 38%).

Benvenuto sostiene che il DSM `sia una composizione di compromesso tra prospettive filosofiche di difficile coesistenza, da qui la sua inconsistenza, ma una dominante spetta all’utilitarismo, in quanto il criterio prevalente è la polarità dolore-piacere. Se certamente al tempo era in atto una trasformazione culturale profonda nella percezione dell’omosessualità, ha contribuito alla sua depatologizzazione, oltre che di quella di altre pratiche sessuali non finalizzate alla procreazione, il principio utilitarista per cui non c’è nulla di male in attività tra persone consenzienti finalizzate al reciproco piacere, quando non siano di danno ad alcuno. Il principio utilitarista marca però i suoi limiti di fronte alla pietra d’inciampo della pedofilia, qui e in altre situazioni, il correttivo è il paternalismo, la repressione preventiva per giudizio morale.

Altro ingrediente fondamentale correlato alla visione delle condizioni come disorder, è il funzionalismo: “L’idea che la malattia come disfunzione presuppone insomma tutta un’antropologia metafisica, teleologica, che dà per implicito il fatto che l’essere umano vada pensato come una macchina volta a uno scopo. Si è disordinati nella misura in cui non si funziona più secondo una norma tacita, implicita, di “vita normale”” (p. 47). Tale prospettiva funzionalista, teleologica, antropocentrica è decisamente problematica, va in collisione con la pretesa di scientificità e con la dominante utilitarista, non di meno è fondamentale in quanto solo in base a tale assunto l’idea stessa di malattia o disordine mentale prende senso. Il DSM si trova così a oscillare tra due prospettive alternative, cercando soluzioni precarie di compromesso.

Una critica al DSM che manca quasi completamente il bersaglio è quella che ne mette in relazione la fortuna alla pervasività della farmacologia in psichiatria. Benvenuto nota che invece è la scarsità del numero delle risorse farmacologiche a rendere superflua la proliferazione delle classificazioni psichiatriche: “Le categorie del DSM, che nutrono i computer della burocrazia sanitaria, sono una sovrastruttura pletorica che nasconde la vera pratica psichiatrica, la quale si basa sull’uso, più o meno oculato, di pochi tipi di farmaci” (p. 52). Correlato a ciò, risulta ingenuo e fuorviante attaccare il DSM per contestare la psichiatria organicista. Malgrado le proprie pretese di scientificità, nulla dello straordinario sviluppo della ricerca sul cervello degli ultimi anni ha avuto qualche ricaduta sulla classificazione del DSM. Il DSM si accredita in relazione a un sapere di cui non è in grado di beneficiare.

Da queste premesse, dalla messa in questione radicale della pretesa scientificità dello strumento diagnostico, muove la loro verifica in relazione alla patologizzazione psichiatrica della sfera sessuale. Benvenuto tocca tutti i luoghi in cui viene trattata, evidenziando le inconsistenze, le incongruenze, le soluzioni di compromesso con i gruppi di pressione e gli interessi sociali correlati alle diverse condizioni, che hanno portato a un adeguamento della terminologia che le individua e del giudizio sulle stesse. Il DSM si muove sempre sul crinale della mediazione, con una costante attenzione al politicamente corretto, per cui le perversioni si sono trasformate in parafilie, termine che dice il medesimo occultando il giudizio morale sulle stesse, e badando di distinguere le pratiche legittime (parafilia semplice) da quelle “disordinate”, secondo il criterio utilitarista del crear danno a sé e agli altri. Sempre per maquillage terminologico è stata introdotta la “disforia di genere” per le forme del transessualismo. Appare qui evidente l’adeguarsi all’affermazione dell’orizzonte teorico dei gender studies, e ne procede la depatologizzazione delle condotte, fatte salve quelle a cui sia correlata “afflizione”.

La ricognizione dell’impianto teorico, pretesamente a-teorico, del DSM procede serrata nel libro evidenziandone la natura disordinata e compiutamente antiscientifica. L’utilità del manuale è banalmente amministrativa, asseconda finalità pratiche di gestione burocratica delle condizioni, “È la grande illusione tecnocratica di oggi: credere che se qualcosa è computabile, allora è rigoroso e scientifico” (135). La fortuna del DSM è da mettere in conto a tale capacità di ricondurre a un numero l’infinito spettro delle condizioni attenzionabili per divergenza, non certo alla sua “scientificità”, i suoi criteri non si discostano in effetti molto, per coerenza e rigore, dalla nota lista borghesiana dell’enciclopedia cinese, ripresa da Michel Foucault (Foucault, 1967) ne Le parole e le cose.

Rileggendo la mia piccola presentazione mi accorgo di aver mancato l’essenziale, ovvero di render conto della qualità del libro di Sergio Benvenuto, qualità di analisi, di scrittura, della sua capacità di vedere oltre ciò che va da sé e di aprire prospettive interpretative inedite, con il valore aggiunto inestimabile dell’arguzia e dell’ironia. In conclusione, una lettura necessaria, necessariamente dissacrante della Bibbia della psichiatria, salutare antidoto al realismo ingenuo con cui vengono universalmente accettate le classificazioni delle tipologie umane devianti che gli psichiatri americani si sono sforzati con pervicace accanimento di elaborare.

Riferimenti

Benvenuto, S. (2021). Lo psichiatra e il sesso: I malesseri sessuali secondo il DSM-5. Sesto San Giovanni: Mimesis.

Foucault, M. (1978). La volontà di sapere. Storia della sessualità 1. Milano: Feltrinelli.

Foucault, M. (1967). Le parole e le cose. Milano: Rizzoli.

Frances, A. (2013). Primo, non curare chi è normale: contro l’invenzione delle malattie. Torino: Bollati Boringhieri.

Laqueur, T. (2007). Sesso solitario. Milano: Il Saggiatore.

Machado de Assis, J. M. (2002). L’alienista. Torino: Lindau.


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