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La felicità: un progetto alla portata di tutti

Essere felici non è un dono del destino, ma un progetto concreto che chiunque può realizzare. Non esistono formule magiche, ma metodi. Sergio Sorgi e Francesca Bertè ci spiegano come essere persone felici in una società felice

di Redazione

Cos’è la felicità e cosa la determina? Esiste una ricetta per essere felici oggi, in un momento storico segnato da incertezza, angoscia, paura? Sembrano domande esistenziali, legate alla sfera più intima e personale dell’essere umano, in realtà la felicità è una dimensione ben più complessa e declinabile su più piani dell’esistenza. La felicità non è fortuita o illusoria, è un atto concreto, un progetto che richiede impegno, scelte precise, passione e responsabilità. Per parafrasare Rene Magritte, riuscire a essere felici, nonostante l’insensatezza del nostro mondo, è arte allo stato puro. E l’arte, certo, non si improvvisa.

Di questo si è discusso lo scorso 5 maggio nel talk di PHYD dal titolo La felicità? È un progetto alla portata di tutti. Protagonisti, due esperti di welfare e benessere: Sergio Sorgi e Francesca Bertè, rispettivamente presidente e vicepresidente di eQwa – Impresa sociale, impegnata, attraverso studi, attività e riflessioni, nella promozione di un welfare comunitario le cui politiche possono contribuire significativamente a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali e, dunque, a migliorare le condizioni di vita dei singoli. Insieme hanno scritto nel 2020 per Egea il libro Felicità cercasi. Pratiche personali e collettive.

Non esiste momento migliore dell’attuale per affrontare il tema della felicità, perché, lo dicono i due autori:

È proprio nei momenti di crisi che bisogna trovare il coraggio di progettare l’avvenire personale e comune

Per prima cosa, bisogna trovare una definizione comune di felicità, fosse solo per liberarla da una dimensione esclusivamente privata o emozionale che ne limita il campo di indagine. «Che cos’è la felicità?» Si domanda retoricamente Sorgi «una chimera, un senso, un sentimento, un istante, un atteggiamento?». Potremmo definire la felicità, citando uno studio del 1976 condotto da Campbell, Converse e Rodgers, come la vicinanza o il divario tra le nostre ambizioni (economiche, relazionali, professionali, religiose) e ciò che siamo. E felicità è, seguendo questa enunciazione, anche la possibilità di sperare e aspirare a raggiungere ciò cui ambiamo. Allora come cucire l’ideale al reale, il tempo presente a quello futuro? Lavorando su tre pilastri che compongono una formula, tutt’altro che magica o misteriosa, per essere persone e comunità felici:

FE(felicità)=B(benessere)+R(relazioni)+F(futuro).

Benessere (e sostenibilità)

È ormai sapere condiviso che il termine "benessere" ha sempre meno a che fare con i soli indicatori economici, come il PIL ad esempio, e sempre più con una molteplicità di fattori, che sono fisici, materiali, psicologici, ambientali. Si assiste già da tempo a un ribaltamento di prospettiva, in cui più che a quello che si produce si presta attenzione al consumo, al reddito e alle conseguenti condizioni di vita delle persone, in famiglia, sul luogo di lavoro, in città. Lo dimostrano le 12 dimensioni del benessere stilate dal Bes dell’Istat e i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per un mondo sostenibile, in cui si parla di salute, d’istruzione e formazione, di relazioni, di lavoro e conciliazione con i tempi della vita privata, d’innovazione e impatto ambientale, di gender equality e inclusione. Come si può essere felici se, come individui, imprese e istituzioni, non perseguiamo il benessere della collettività?

Relazioni (e fiducia)

Diversi studi hanno dimostrato che la condizione di felicità è strettamente legata alla qualità delle relazioni con gli altri. Non si tratta solo di rapporti amicali o familiari, ma di un’alterità che si estende fino ad abbracciare la politica, la scienza, la cultura, l’etica. Possiamo compiere delle azioni che ci aiutino a costruire e mantenere rapporti sani, imparando a perdonare o compiendo atti quotidiani di gentilezza, ma più di ogni altro aspetto, esercitando la fiducia in modo non istintivo, sia nell’atto di chiederla che in quello di darla. Sorgi evidenzia al riguardo l’esistenza di tre tipi di fiducia: personale – valoriale, normativo-istituzionale e logico-razionale, ognuno dei quali richiede l’adozione di comportamenti specifici, dall’empatia alla verità, dalla coerenza alla responsabilità, dal rispetto dei contratti alla competenza e professionalità…


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