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Tommasini: «Il volontariato non abbia paura del conflitto»

Prima intervista della neo presidente di CSVnet, la rete dei centri di servizio per il volontariato: «Abbiamo di fronte due sfide: consolidare un sistema nazionale che deve trovare la sua dimensione di rete e intensificare il sostegno al volontariato in questa faticosa ripresa dalla pandemia». E per farlo «non dobbiamo avere paura né di fare proposte né di vivere anche un certo grado di conflitto con i nostri interlocutori»

di Redazione

Veronese, 46 anni, laureata in Economia e commercio da anni è volontaria nel soccorso e nella protezione civile. E da domenica scorso presiede, prima donna a ricoprire questo incarico, CSVnet, la rete dei centri di servizio per il volontariato. A lei spetta il compito di riaprire un dibattito sul futuro di un network che sta vivendo un momento di passaggio non privo di qualche nodo da sciogliere.

Dopo dieci anni lei raccoglie l'eredità di Stefano Tabò alla guida di CSVnet. Quali saranno le linee di continuità e quelle di discontinuità rispetto al suo predecessore?
CSVnet vive una fase complessa di rinnovamento, una fase in cui i Centri di servizio al volontariato sono diventati un sistema che ha finalmente unito l’integrazione nazionale con il radicamento territoriale. Una transizione in fase di completamento nella quale CSVnet ha svolto un ruolo cruciale per fare in modo che ogni tappa del percorso di riforma trovasse da una parte i Centri di Servizio pronti ad accogliere le nuove sfide e dall’altra il legislatore consapevole e rispettoso della loro natura e identità. Adesso abbiamo di fronte due sfide: consolidare un sistema nazionale che deve trovare la sua dimensione di rete e intensificare il sostegno al volontariato in questa faticosa ripresa dalla pandemia. Dobbiamo continuare a vigilare e presidiare i tavoli istituzionali per fare in modo che il volontariato venga riconosciuto e valorizzato, sentendoci parte di un ecosistema più grande composto da tanti soggetti, a partire dai centri di servizio, la pubblica amministrazione, il mondo associativo e utilizzare tutti gli strumenti di partecipazione, collaborazione, co-progettazione e co-programmazione che anche la normativa mette a disposizione. Per questi obiettivi CSVnet ha il compito di intensificare il lavoro di sostegno e consulenza ai Csv in particolare nella formazione, comunicazione e innovazione digitale in linea anche con gli obiettivi e le opportunità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Dal suo osservatorio quali sono oggi i punti di forza e i punti di debolezza del mondo del volontariato?
Il volontariato vive con consapevolezza la sua forza e anche i suoi limiti, che non sono limiti, ma umane fragilità e spesso fatiche. La sua forza è quella di essere nelle comunità e di favorire la creazione di community che operano per l’interesse generale e gli obiettivi comuni. Compie con generosità e dedizione quel pezzetto in più di lavoro che da sole le istituzioni non riuscirebbero a portare avanti. Nel farlo si costituisce come una scuola di formazione alla cittadinanza per i giovani e non solo. La mia esperienza di volontariato mi ha portato a non condividere la retorica che spesso lo accompagna: la sua missione non è quella di essere eroico, ma di migliorare la società, smuovere le coscienze, mostrare e percorrere strade, coltivare il senso di appartenenza solidale alle comunità. La sua più grande debolezza è quella di coinvolgere ancora una quota minoritaria della popolazione e quindi la priorità è trovare forme di impegno e linguaggi nuovi per fare in modo che sempre più persone diventino volontari attivi.

La Riforma del Terzo settore vi assegna il compito di sostenere le attività delle odv e di rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore. La sensazione invece è che molti giovani siano più attratti da un attivismo informale, piuttosto che "sposare" le attività di un solo ente. Come valuta questo trend in rapporto alla vostra mission?
La presunta contrapposizione fra volontari dentro o fuori le associazioni non fa bene alla cultura del volontariato. Non si tratta di difendere interessi particolari, ma di unire tutte le forze per essere all’altezza dei tempi che sono, come noto, sempre più complessi. La riforma ha recepito e definito una tendenza che negli ultimi anni si è andata affermando che è quella del cosiddetto volontariato individuale. A ben vedere però il volontariato non è mai individuale perché si esprime sempre per e tramite relazioni fra le persone. È normale che esistano persone le quali non hanno propensione a impegnarsi in percorsi strutturati e duraturi magari all’interno delle associazioni, ma il volontariato è prima di tutto un modo di essere dentro la società, un modo di essere dell’individuo e trova la sua naturale propensione a creare comunità tramite relazioni di senso. Dobbiamo saper guardare in modo aperto a tutte le forme di volontariato vero che mettano la solidarietà e la gratuità al centro della loro azione, consapevoli che le associazioni rimangono sempre il punto di riferimento più importante: è all’interno di esse che si progettano, non solo si fanno, le azioni solidali. È dentro le associazioni che si cresce e si maturano esperienze e competenze e questo è particolarmente importante per coinvolgere in modo attivo i giovani.

Condivide la posizione di chi "rivendica" una funzione "politica" del volontariato e del Terzo settore (a maggior ragione dopo il Covid). Ovvero il volontariato non è solo un'attività che riempie di senso la vita del volontario e fa bene al prossimo, ma le organizzazioni di volontariato devono concepirsi e qualificarsi come soggetti in grado di contribuire a immaginare nuove policy più efficaci e attagliate sui reali bisogni? Cocorda o lo vede come un rischio per l'autonomia delle odv?
Non riesco ad immaginare un volontariato che non si ponga il problema di contribuire alle politiche che riguardano gli ambiti della sua azione e il bene comune. Non è sempre facile per il mondo associativo esprimere tutte le potenzialità che ha, ma è anche vero che ci sono strumenti importanti a disposizione per esercitare tale funzione. Non si tratta solo sapersi fare ascoltare, quanto di essere capaci di affermare, utilizzando anche quanto prevede oggi la normativa, sani e solidi principi di collaborazione con le istituzioni. In questo senso il volontariato non deve avere paura né di fare proposte né di vivere anche un certo grado di conflitto coi propri interlocutori. L’autonomia si gioca su questo campo: saper anteporre sempre l’interesse generale a qualsiasi altro interesse di parte e fare in modo che le istituzioni sappiano riconoscere non solo il ruolo pratico, ma anche quello di advocacy del volontariato.


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