Attivismo civico & Terzo settore

Donazioni, le piattaforme non sono tutte uguali

Interviene nel dibattito scaturito dalla raccolta fondi di Malika su GoFundMe anche Valeria Vitale, socia fondatrice di Rete del Dono. «Non c'è dubbio che quando l'obiettivo di una raccolta è circoscritto e chiaro si argina qualunque possibile disguido. Le raccolte fondi stile Malika sono relativamente nuove e le piattaforme italiane probabilmente non sono ancora pronte per gestirle mentre nei Paesi anglosassoni sono più avanti e hanno strumenti molto utili. In questo senso a mio avviso sarebbe utile immaginare l'opportunità dei trust»

di Lorenzo Maria Alvaro

Continua il dibattito sul tema delle donazioni e delle piattaforme nato dopo il caso Malika, la ragazza che con i proventi di una raccolta fondi lanciata sulla piattaforma GoFundMe si era poi comprata una macchina e un cane di lusso generando molto sdegno. Dopo i dialoghi con Paolo Venturi e Valerio Melandri, Massimo Coen Cagli e Gabriele Sepio, con la direttrice in Europa di GoFundMe, Elisa Liberatori Finocchiaro e con il direttore Comunicazione e Raccolta Fondi dell'Istituto Serafico di Assisi Stefano Malfatti abbiamo intervistato Valeria Vitali, co-fondatrice di Rete del Dono, piattaforma di crowdfunding per la raccolta di donazioni online.


Malfatti fa delle piattaforme, partendo dal caso GoFundMe, una descrizione in cui sottolinea come si tratti di strumenti che sacrificano la relazione dei fundraiser con i donatori. Ha ragione?
Non voglio eludere la domanda ma prima vorrei fare una precisazione

Prego…
Non tutte le piattaforme sono uguali. Come Rete del Dono ci sentiamo diversi proprio come dna. Siamo nati come piattaforma per il settore non profit, come luogo per creare un'opportunità per le organizzazioni non profit per sfruttare il digitale. Siamo stati disegnati per il non profit. Spesso le piattaforme di crowdfunding sono disegnati per un altro tipo di utenti, principalmente individui. L'apertura al mercato dei bisogni sociali avviene successivamente rendendosi conto della dimensione del mercato.

Come si concretizza questa differenza dal punto di vista operativo?
Si declinano nelle modalità nel coinvolgimento delle organizzazioni sociali e nella distribuzioni dei fondi. Per potersi iscrivere su Rete del Dono e attivare una campagna gli enti devono prima produrre tutta una serie di documenti che vanno dallo statuto ai documenti del legale rappresentante . Una volta conclusa la campagna i fondi vengono inviati alle organizzazioni, non esistono intermediari.

Quindi una volta che sono iscritto posso pubblicare le campagne che voglio?
Dietro le quinte c'è sempre una persona di Rete del Dono che dà assistenza e accompagna l'organizzazione sia dal punto di vista dei contenuti del progetto che sulle modalità di raccolta nell'ingaggiare la propria community. E qui vengo alla risposta alla prima domanda: la piattaforma non può e non deve sostituirsi al fundraiser delle organizzazioni. È il fundraiser che deve attivare tutta una serie di attività ad esempio per4 la fidelizzazione e cura dei donatori. Malfatti ha ragione sull'importanza del ruolo del fundraiser. Come Rete del Dono noi sosteniamo e accompagniamo i fundraiser ma dipende dal loro lavoro il successo o meno dell'ampliamento dei donatori, quindi il successo di una campagna online. Da questo punto di vista le organizzazioni devono fare molti passi in avanti.

L'idea è che le organizzazioni potrebbero sfruttare meglio questi strumenti?
Non c'è dubbio. Il digital è una grande opportunità che va colta. Naturalmente con certe attenzioni. Il tema del personal fundraising ad esempio è un fenomeno da guardare con attenzione.

In che senso?
Io credo che i personal fundriser, su cui abbiamo una grandissima quantità di esempi e casi virtuosi, andrebbe considerato come un grande donatore, anche per il tipo di cifre che riesce a muovere e invece spesso è ignorato.

A proposito di personal fundraising, una campagna come quella di Malika avrebbe trovato spazio su Rete del Dono?
Da circa un anno abbiamo aperto la possibilità agli individui di fare raccolta fondi per persone in difficoltà. Poco prima di Natale una professoressa dell'Università di Bologna ha raccolto fondi per aiutare una sua studentessa per pagarsi il percorso di studi. Quindi teoricamente avrebbe potuto essere ospitata.

Il pagamento di un percorso di studi però è una finalità molto più concreta e circoscritta rispetto a quella molto vaga di un generale miglioramento delle condizioni di vita…
Non c'è dubbio che quando l'obiettivo è circoscritto e chiaro si argina qualunque possibile disguido. Le raccolte fondi stile Malika sono relativamente nuove in Italia e le piattaforme probabilmente non sono ancora pronte per gestirle mentre nei Paesi anglosassoni sono più avanti e hanno strumenti molto utili. In questo senso a mio avviso sarebbe utile immaginare l'opportunità dei trust. Degli strumenti che permettono di evitare aberrazioni nella spesa dei fondi raccolti.

Come funzionano questi trust?
Nel caso di specie potrebbero prevedere la spesa per il bisogno abitativo o per altre spese “utili”. Si decide a monte la destinazione dei fondi anche con erogazioni mensili. Quindi nel caso di specie si poteva ancorare preventivamente la raccolta di Malika per trovarle un alloggio o un persorso di studi. Si tratta quindi di un accompagnamento del beneficiario che oltre a tutelare i donatori tutela anche la persona bisognosa. Non si può non prendere in considerazione che si tratta spesso di persone che, magari per la giovane età o per le condizioni di vita, fa fatica a capire il valore dei soldi. Non ho dubbi che quando Malika sarà più grande si pentirà di come ha speso questi soldi.

Uno dei temi più scottanti emersi è che spesso queste piattaforme sono realtà for profit. Come sta insieme la ricerca di un legittimo profitto con bene comune e gratuità?
È il motivo per cui Rete del Dono è una Srl, B-corp e società benefit. Questo certifica la nostra spinta al contributo al bene comune cui dedichiamo parte dei nostri profitti. Il fatto di avere una ragione sociale e uno statuto molto chiaro da questo punto di vista ci permette, nei confronti dei nostri stakeholder, di testimoniare e affermare il nostro ingaggio e il modo con cui conduciamo la nostra attività. Io devo seguire certe regole. La certificazione B-Corp è molto rigida e verifica con cadenza triennale se sto facendo le cose nel modo giusto. È una cosa molto giusta.


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