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Per una scuola davvero di tutti

Come vivono la scuola gli studenti e le studentesse LGBTQI+? Non tanto bene: «Invisibilità e bullismo omotransfobico sono due dei principali problemi», raccontano le autrici del libro “Una Scuola Arcobaleno". Tra i suggerimenti operativi per gli insegnanti anche film e serie tv per affrontare i tanti tabù su sessualità e identità di genere

di Sabina Pignataro

Gli studenti e studentesse LGBTQI+ a scuola ci sono, ma non sempre stanno bene. Invisibilità e bullismo omotransfobico sono due dei problemi avvertiti con maggior intensità. La quasi totalità delle scuole, infatti, è impreparata sul tema dell’inclusione: di sessualità e identità di genere si parla pochissimo e sono pressoché assenti politiche e attività didattiche dedicate alla comprensione delle differenze.

È da questa evidenza che prende vita il libro Una scuola arcobaleno (edizioni Settenove), scritto da Giulia Selmi, sociologa e saggista, socia fondatrice di Il Progetto Alice e vicepresidente dell’associazione Educare alle Differenze e da Valeria Roberti, attivista LGBTQI+ e facilitatrice del Centro Risorse LGBTI.

I risultati della prima indagine nazionale

Le due esperte iniziano analizzando i dati dell’indagine Be proud! Speak out condotta nel 2016-2017 con l’obiettivo di conoscere chi sono gli e le student* che non si riconoscono nell’eterosessualità e nel binarismo di genere e di comprendere come vivono la loro quotidianità a scuola. «I risultati di questo studio – commenta Giulia Selmi – il primo in Italia di questa portata, hanno confermato quanto già rilevato in altri Paesi: i giovan* LGBTQI+ incontrano difficoltà nello stare a scuola (una difficoltà che ha un impatto sulla continuità della frequenza e sulla possibilità di abbandono); vivono sulla loro pelle l’uso di linguaggi ed espressioni omofobiche sia da parte dei loro pari, sia da parte del personale insegnante; subiscono aggressioni verbali e fisiche che non raccontano agli adulti di riferimento, e quando le raccontano, ricevono aiuto solo in minima parte».

Una delle principali difficoltà riscontrate a scuola sembra essere l’invisibilità. Gli esiti della ricerca «mostrano infatti che gli student* LGBTQI+ non vedono la loro esperienza rispecchiata in nessuna situazione scolastica, non trovano nella scuola la possibilità di comprendere la propria identità e raramente incontrano il contributo delle persone e delle comunità LGBTQI+ alla storia e al sapere», commenta Selmi.
L’ invisibilità viene meno solo in casi tristemente eclatanti: sui media, così come nei consigli di classe o nei collegi docenti si parla di studentesse lesbiche, studenti gay o giovani persone trans spesso solo quando sono vittime di violenze o soprusi o, peggio, quando decidono di togliersi la vita. «Eppure le esperienze degli adolescent* LGBTIQI+ non sono solo di dolore, sofferenza e vittimizzazione, ma anche gioia e creatività, e i contesti educativi possono contribuire proprio a questo».

La scuola non è preparata

Un altro dei problemi centrali è la quasi totale impreparazione della scuola nell’accoglienza di alunne e alunni che non si riconoscono nel genere assegnato o che rappresentano minoranze sessuali.

«Il timore che ogni discorso che riguardi il genere e la sessualità sia conflittuale e divisivo alimenta la mancanza di progettazione didattica e educativa sulla comprensione delle differenze. Questo fa sì che siano sono pressoché assenti protocolli, politiche e pratiche di governance in materia di equità e inclusione».

Giulia Selmi

Il silenzio, il non detto, il non-intervento da parte delle figure educative hanno un costo, nel tempo, pesante e documentato da diverse ricerche che nel libro vengono segnalate. In questo vuoto di assunzione di responsabilità educative, internet e soprattutto la pornografia online assumono una funzione di supplenza, diventando fonti di informazioni non filtrate, che spesso fanno da cassa di risonanza a cliché o peggio alla normalizzazione della violenza e della prevaricazione nelle relazioni di intimità», evidenzia Chiara Sita, professoressa di Pedagogia generale all’ Università di Verona, che ha scritto la prefazione del volume.

Da dove cominciare?

Forse, commenta Valeria Roberti, «iniziando dal rivedere proprio i programmi e i materiali scolastici, per allargare gli immaginari. Se nei romanzi che vengono proposti non vi è mai un personaggio trans o l’unico amore contemplato e quello eterosessuale, se nei film che proiettiamo il protagonista è sempre virile e senza paura e la protagonista in attesa di essere salvata, se non vi sono scienziate, poetesse, biologi, capi di stato o condottieri non eterosessuali è molto difficile che ragazze e ragazzi possano dare spazio a desideri e modi di essere diversi da quelli proposti dai modelli culturali dominanti». Nel processo di crescita, invece, «è fondamentale poter vedere rispecchiati i propri sentimenti, le proprie emozioni o problemi così come è fondamentale avere dei modelli di ruolo».

Talvolta, più semplicemente, anche un arcobaleno può fare la differenza, sottolinea Selmi. «I simboli hanno un enorme potere e possono essere un segnale molto chiaro di apertura e di inclusione. Indossare una bandierina arcobaleno il 17 maggio, nella giornata mondiale contro l’omotransfobia o attaccare un poster arcobaleno sulla porta della sala insegnanti possono rivelarsi gesti potentissimi per segnalare agli studenti LGBTQI+ disponibilità e apertura.

In questo contesto di chiusura e omertà è proprio l’omotransfobia – ovvero l’avversione per le persone LGBTQI+ – ad essere matrice di moltissime violenze tra pari in adolescenza. «Le ricerche più recenti, svolte sia in Italia che all’estero, mostrano come il bullismo causato da omotransfobia riguardi il 25% del totale e come linguaggi e culture omofobiche siano diffuse anche nell’ambiente scolastico». Sono soprattutto i giovani ragazzi ad essere più spesso contemporaneamente vittime e fautori di atti di bullismo omofobico. «Se tra le ragazze e ammessa una certa forma di intimità, vicinanza, contatto fisico che può anche sfiorare l’erotismo o la scoperta del se sessuale, così non è tra i ragazzi, che sono invece guidati da competizione e cameratismo allo stesso tempo», chiarisce l’esperta.

Contrastare il bullismo però non è semplice. «Non lo è perché richiede non solo mettere fine a comportamenti lesivi, ma anche agire attraverso l’educazione per modificare culture e modelli relazionali oppressivi più ampi» sostiene Roberti. Proprio per questa ragione l’auspicio di Chiara Sita è che il volume possa divenare uno strumento utile agli adulti e alle adulte che a vario titolo sono impegnati nell’educazione: «in primis le e gli insegnanti, le educatrici ed educatori e i genitori. Ma sarebbe un bene se questo libro circolasse anche nei gruppi scout, negli oratori, nei centri sportivi».

Il libro si chiude con un’appendice operativa che raccoglie testi di narrativa, film (come L’altra metà, del 2020), serie tv (come Modern Family; Grace and Frankie) , siti web (come Genderlens.org ed Educarealledifferenze.it ) che possono essere utilizzati sia come approfondimento per adulte e adulti che come strumenti per costruire attività didattiche ed educative con ragazze e ragazzi.

Foto in apertura, Steve Johnson By Unsplash


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