Sostenibilità sociale e ambientale

Transizione ecologica, la pagheranno i cittadini?

Luce e gas in tutta la zona euro subiranno rincari dolorosi. Come ha sottolineato lo stesso ministro Cingolani, in Italia dal mese prossimo si vedranno aumenti del 40%. La transizione verde ricadrà totalmente sui conti dei cittadini europei? Lo abbiamo chiesto a Stefano Ciafani di Legambiente

di Lorenzo Maria Alvaro

È scoppiata la polemica sull'aumento di gas e luce, i cui costi a detta dello stesso ministro per la Transizione energetica, Roberto Cingolani, lieviteranno dal mese prossimo del 40%, cui si aggiunge l'aumento già avvenuto nel trimestre scorso del 20%. Il rincaro è certamente dovuto al maggior costo delle materie prime energetiche. Ma ha anche a che fare con le regole europee per le de-carbonizzazione e l'abbattimento delle emissioni. In due parole con la transizione verde. La domanda che nessuno si sta facendo oggi però è: ma la tanto decantata svolta green sarà pagata dai cittadini? Ne abbiamo parlato con Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente.


Come si spiega un aumento, da un mese con l'altro, del 40% su luce e gas?
È il prodotto di una somma di fattori. Come ha spiegato il vice presidente della Commissione Europea Frans Timmermans l'80 per cento dell'aumento del costo dell'energia è dovuto all'aumento del prezzo del combustibile usato per generare energia elettrica. In Italia usiamo per lo più gas naturale che acquistiamo all'estero, principalmente dalla Russia. Si tratta del 90 per cento del nostro consumo. I prezzi si sono alzati sia in conseguenza della pandemia e quindi del rincaro generalizzato delle materie prime che della scarsità di risorse sul mercato. Da un lato la Russia vende meno gas di prima, dall'altro è cresciuta la domanda dell'Asia. Meno gas disponibile significa prezzo più alto. Questo problema coinvolge tutti i Paesi dell'Eurozona che stanno vivendo lo stesso problema. A questi costi naturalmente si aggiungono anche quelli derivanti dagli impegni presi dall'Unione Europea nel contesto della transizione energetica. Si tratta del restante 20 per cento.

Possiamo entrare nel merito degli aumenti dovuti agli impegni dell'Unione Europea sull'abbattimento delle emissioni?
L’Europa ha gli obiettivi di de-carbonizzazione più ambiziosi del mondo: nel luglio scorso la Commissione Ue ha presentato il piano per tagliare le emissioni del 55% entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050. Un percorso all'interno del quale a pesare è il sistema di scambi di quote di emissione previste dallo schema ets. Sempre Timmermans ha ricordato come se noi avessimo praticato il Green Deal qualche anno fa non avremmo oggi questo problema.

Come funziona il sistema di scambio di quote di emissione (Ets)?
L'Ets europeo fissa un tetto limite, che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti che rientrano nel sistema. Entro questo limite, le imprese possono acquistare o vendere quote in base alle loro esigenze. Le quote rappresentano la valuta centrale del sistema; una quota dà al suo titolare il diritto di emettere una tonnellata di CO2 o l’ammontare equivalente di un altro GHG. Una volta l’anno, tutte le imprese che partecipano all’UE ETS devono restituire una quota di emissione per ogni tonnellata di CO2 emessa. Le imprese le quote ricevute non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte devono acquistare le quote di emissione all’asta o da altre imprese. Viceversa, chi ha quote di emissioni in eccesso rispetto alle emissioni prodotte, può venderle. Se una società non adempie agli obblighi di conformità subisce sanzioni pesanti.

La via d'uscita principale quindi è principalmente costruirci un'autonomia energetica?
Il gas è l'unico responsabile dell'aumento dei costi delle bollette e a cascata di molti altri beni. Noi dobbiamo sbloccare le rinnovabili e costruire un mix energetico per arrivare ad essere indipendenti o quanto meno più liberi dal gas estero.

Il problema è che gli aumenti avvengono nel giro di un mese, per cambiare il sistema energetico del Paese ci vuole molto più tempo…
Certo, ma qualcosa si può fare subito. Nella Legge di Bilancio si potrebbe intervenire sugli oneri impropri contenuti nelle bollette. Quella quota di costi con cui paghiamo il costo di smantellamento delle centrali, gli incentivi alle industrie energivore, i sussidi agli impianti a fonte fossile. Tutta una serie di costi che si possono tagliare subito.

Tornando al Green Deal il nuovo motto europeo è il “chi inquina di più pagherà di più” della Von Der Leyen. Cosa significa?
Il 14 luglio scorso la Commissione europea ha adottato il pacchetto climatico “Fit for 55”, che illustra le proposte legislative per raggiungere entro il 2030 gli obbiettivi del Green Deal. Il documento è naturalmente molto ricco. Per semplificare, tra le novità, si è incluso il settore del trasporto su gomma e quello del riscaldamento degli edifici proprio nel sistema Ets. In più ha stabilito dazi sull’import di prodotti realizzati in Paesi con standard ambientali più bassi e individuerà una data definitiva entro la quale le auto con motori diesel o benzina non potranno più essere immesse sul mercato.

Ciascuna di queste novità aumenta i costi a carico dei cittadini, o sbaglio?
Non c'è alcun dubbio

Il combinato disposto tra nuove regole europee, Ets e congiuntura genera una tempesta perfetta per i cittadini. Semplificando: un'azienda italiana paga per poter inquinare e scarica questi costi aggiuntivi ambientali sul consumatore aumentando i prezzi. Nel contempo le merci più a basso costo che vengono da Paesi più inquinati aumenteranno di prezzo per via delle tasse e la maggior parte degli strumenti aggiuntivi si basa sulla spesa diretta dei cittadini. È così?
Anche il modello odierno, insostenibile e che ci sta portando al disastro, lo pagano i cittadini. La verità è che pagano sempre i cittadini, a prescindere. Dobbiamo decidere per cosa vogliamo pagare. C'è da fare una scelta. Il prezzo è solo un indicatore. Dovremmo valutare i costi indiretti che il modello odierno genera sui fronti del cambiamento climatico e della salute pubblica.

All'interno di questa scelta però devono esserci garanzie e tutele. Altrimenti il rischio è una macelleria sociale di enormi proporzioni…
Questo è sicuramente un grande tema: dobbiamo fare in modo che questa transizione sia sostenibile anche socialmente. Dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti che permettano di essere equi. Ad esempio con la leva fiscale che faccia pagare di più a chi ha di più.

Oggi però a rimetterci economicamente è il pubblico, cioè Stato e cittadini, chiamati a tagli e spese. A guadagnare invece sono solo le utility….
Non c'è dubbio che il pianeta lo salveremo anche con le imprese, l'industria pulita e l'innovazione tecnologica. Dobbiamo fare in modo che il mondo produttivo sempre di più adotti modelli puliti, garantendo il benessere delle persone che lavorano. Non basta, per fare un esempio, chiudere l'Ilva a Taranto e poi usare l'acciaio indiano

Sembra quasi che la transizione verde, più che un cambio di paradigma, sia un ennesimo giro di guadagni capitalista. Che fino hanno fatto l'economia circolare e il cambio di paradigma?
È naturalmente un progetto, un processo, molto complesso. Sicuramente può essere accompagnato con azioni che calmierino il tutto e lo rendano più dolce. Ci sono strumenti già previsti per questo, come il Just Transition Fund,: fondi per riconvertire poli produttivi senza lasciare a casa i lavoratori. Penso alle miniere della Polonia, all'Ilva o al Sulcis. C'è poi un enorme tema infrastrutturale. Bisogna costruire soluzioni non solo per poter rendere accessibile economicamente a tutti tecnologie e struemnti ma anche per renderli fruibili davvero. Non basta abbassare il costo delle auto elettriche, è necessario che siano facilmente ricaricabili e non vincolate ai box di proprietà. È una rivoluzione complicata ma abbiamo tutti gli attrezzi per operarla.


Photo by Ilse Driessen on Unsplash


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