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Scuola&Lavoro: come risolvere un rapporto ancora troppo complicato

L'intervento dell'economista dell'università Ca' Foscari di Venezia: "Grazie a nuovi strumenti didattici è possibile gestire un ponte virtuoso fra formazione e innovazione, fra giovani di talento e realtà consolidate, anche in quei settori che sono stati meno investiti dall’innovazione tecnologica (piccola impresa, pubblica amministrazione, cultura, non profit). Si tratta ora di aggregare – e non è cosa facile – tante buone pratiche che hanno già dato prova della loro utilità"

di Stefano Micelli

Il rapporto tra scuola e mondo del lavoro nel nostro paese è stato un rapporto complicato. Imprese e istituzioni formative si sono a lungo guardate con sospetto. Le prime hanno cercato con attenzione crescente profili formativi declinati sulle esigenze specifiche di un mercato del lavoro sempre più competitivo. Il mondo della formazione, per parte sua, ha rivendicato la necessità di fornire alle nuove generazioni un impianto culturale sufficientemente solido per guardare al futuro senza il timore di una rapida obsolescenza del bagaglio di conoscenze acquisito.


In anni recenti, la diffusione di strumenti come lo stage fra gli studenti universitari e l’alternanza scuola-lavoro nei cicli secondari ha consentito di creare un ponte efficace fra due sponde che hanno fatto fatica a parlarsi. Grazie a questi momenti di “acclimatamento”, lo studente ha potuto riorganizzare saperi acquisiti attraverso lo studio delle singole discipline attorno ai problemi che effettivamente si incontrano nel mondo del lavoro.


I grandi cambiamenti di questi anni ci costringono a riflettere ancora sull’efficacia di questi strumenti e sulla necessità di andare oltre. La rivoluzione digitale, che oggi riguarda tutti gli aspetti della vita delle imprese, la rapida evoluzione dei mercati su scala globale, la sfida energetica e del cambiamento climatico sono tutti fattori che rendono queste passerelle più fragili di un tempo. Non perché non siano utili di per sé ma perché una delle due sponde, quella delle imprese, costituisce oggi un cantiere in trasformazione. I cambiamenti imposti, ad esempio, da Industria 4.0, contribuiscono a mettere in discussione profili e mansioni tradizionali senza che siano disponibili indicazioni precise su come procedere. Manca un “libretto di istruzioni” cui fare riferimento. E difficilmente ne avremo uno a disposizione in tempi brevi.


In questo scenario, chiedere al singolo studente di adattare conoscenze e competenze acquisite al contesto del lavoro rischia di non essere sufficiente. Allo stesso modo le imprese hanno poco interesse a trasferire ai giovani modelli organizzativi destinati a essere trasformati in tempi brevi. Questo perché il lavoro stesso è oggetto di un profondo ripensamento così come i modelli organizzativi che hanno distinto il funzionamento delle imprese fino al recente passato. In questo contesto, appare sempre più evidente la necessità di ripensare i rapporti fra i soggetti della ricerca, della formazione e le imprese. Il ciclo dell’innovazione che abbiamo conosciuto nel ‘900 si fondava su investimenti in ricerca e sviluppo che, dopo aver provato la loro efficacia, venivano stabilizzati in processi industriali con procedure e mansionari allegati. Oggi, semplicemente, manca il tempo per sviluppare una sequenza di questo tipo. Sperimentazione attiva, ripensamento delle forme del lavoro e formazione di giovani (e non) sono attività che vanno di pari passo. Ciò che abbiamo pensato in termini lineari si comprime in forme inedite, stravolgendo i ruoli tradizionali assunti dai diversi soggetti coinvolti nel processo.


Come immaginare una proposta formativa che costruisce assieme alle imprese il futuro del lavoro? Un esempio: a partire dal 2017 il Ministero dell’Istruzione (prima MIUR) ha promosso ITS 4.0, un’iniziativa che ha coinvolto gli Istituti Tecnici Superiori per sviluppare insieme alle imprese percorsi di innovazione 4.0 e, allo stesso tempo, nuovi profili coerenti con le tecnologie indicate dal piano Calenda. Grazie a strumenti come il Design Thinking, una metodologia di gestione dell’innovazione ampiamente consolidata a livello internazionale, soggetti diversi (studenti, docenti, consulenti e personale delle imprese) hanno sperimentato insieme il potenziale delle nuove tecnologie. Grazie a percorsi collaudati hanno imparato a concretizzare le opportunità offerte nei campi di applicazione più diversi, dalla produzione dei formaggi alla robotica degli altiforni. Come? Lavorando su problemi di frontiera con l’obiettivo di produrre prototipi funzionanti a partire dall’ascolto e dalla comprensione degli utenti finali. Formazione e innovazione si sono saldate in modo originale, contribuendo alla solidità del curriculum dei giovani studenti così come alla competitività delle imprese coinvolte nei progetti.
Questa e altre esperienze ormai consolidate all’interno del panorama formativo italiano ci dicono che oggi scuola e università possono rappresentare un enzima chiave per grado di innescare processi di innovazione ad ampio spettro. Grazie a nuovi strumenti didattici è possibile gestire un ponte virtuoso fra formazione e innovazione, fra giovani di talento e realtà consolidate, anche in quei settori che sono stati meno investiti dall’innovazione tecnologica (piccola impresa, pubblica amministrazione, cultura, non profit). Si tratta ora di aggregare – e non è cosa facile – tante buone pratiche che hanno già dato prova della loro utilità e della loro capacità di coinvolgimento all’interno di un modello educativo stabile e condiviso.


Foto: progetto di alternanza scuola/lavoro della Fondazione Casillo


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