Welfare & Lavoro

Spazi ibridi, nasce a Milano l’elenco dei luoghi di comunità

Ha l’obiettivo di mettere in rete le realtà che rigenerano i diversi quartieri della città. «Sono luoghi che non nascono più con l’idea solo di “vendere” dei prodotti, ma intorno a proposte di valore che aggregano persone che hanno la stessa passione», spiega Marta Mainieri, fondatrice di Collaboriamo organizzazione che si occupa di progettazione di servizi collaborativi

di Marta Mainieri

Milano lancia la rete degli spazi ibridi. Una mappa che ha l’obiettivo di mettere in rete le realtà che rigenerano i diversi quartieri della città coniugando il commercio con l’innovazione sociale, azioni culturali e nuove forme socialità e aggregazione. Un primo passo verso la valorizzazione di questi spazi che ritengo siano importanti per ripensare i centri urbani a partire dalle comunità.

Mi sono avvicinata agli spazi ibridi grazie alle mie ricerche e all’interesse verso la sharing economy. Ad un certo punto mi sono accorta che a fronte delle difficoltà di molte piattaforme italiane stavano, invece, nascendo in città tanti luoghi che sperimentavano pratiche collaborative. Mi riferisco a librerie che offrivano anche servizi di coworking; a bar che erano anche portinerie di quartiere; o a negozi che mettevano in relazioni persone per rigenerare o valorizzare intere aree di quartiere.

Quello che ho subito notato è che questi luoghi non nascevano più con l’idea solo di “vendere” dei prodotti, ma intorno a proposte di valore che aggregavano persone che avevano la stessa passione (penso al negozio per runner che ha fondato un’associazione, o quello del the che organizza eventi, approfondimenti e addirittura rimanda all’ecommerce la vendita), si impegnavano per lo stesso territorio (penso a un bistrot che è diventato anche un’associazione che organizza la festa del quartiere) o condividevano la stessa condizione, come per esempio il negozio dedicato ai cinesi di seconda generazione.

Questo fa sì che questi spazi non siano solo semplici dispensatori di prodotti ma luoghi che aggregano persone e, quindi comunità, e come tali importanti per i quartieri per almeno per tre diversi aspetti:

  1. Socialità: gli spazi ibridi rispondono a un grande bisogno di aggregazione. La gente oggi ha voglia di stare insieme ma ha bisogno di nuovi luoghi o di rivisitare i vecchi. I quartieri negli ultimi 50 anni sono stati svuotati dei luoghi di ritrovo, bar, negozi, cinema. Questi spazi, invece, ricreano una dimensione di prossimità che oggi più che mai è necessaria per coniugare famiglia, lavoro, tempo libero, assistenza agli anziani. Pensiamo, a questo proposito, quanto il covid sia stato un acceleratore in questo senso mettendoci di fronte, con lo smartworking, alla necessità e anche opportunità di rivedere le nostre vite in un’ottica più di prossimità.

  2. Creatività: questi luoghi rispondono a nuovi bisogni e propongono nuove soluzioni. Penso a Milano al negozio per le bici cargo, a quello che offre spazi merenda per i bambini dopo scuola, al servizio di portineria di quartiere. Sono luoghi che spesso si innescano nel quartiere proprio per rispondere a una domanda già presente, o che cambiano l’offerta a fronte di bisogni che emergono dai cittadini.

  3. Rigenerazione: questi luoghi sono dei presidi in territori spesso periferici. La presenza dei cittadini e il loro impegno fanno sì che intere aree diventino più vivibili e più sicure.

Di questi luoghi Milano ha bisogno -e tutte le città hanno bisogno- per fronteggiare la minaccia della “spersonalizzazione” dei centri urbani, – fatte di negozi e di centri storici tutti uguali- e di noi stessi, perché dai luoghi del commercio e del tempo libero passano anche le nostre abitudini, il nostro modo di pensare, la nostra ricerca estetica. Inoltre le città hanno bisogno di questi luoghi per fronteggiare la solitudine e la povertà. La prima minacciata, tra l’altro, anche dal digitale che se da un lato è una risorsa incredibile per connetterci e per permetterci di collaborare, dall’altro ci mette davanti allo scenario che Ezio Manzini nel suo ultimo libro ha definito del “tutto a casa”, cioè dell’utilizzo sempre più massiccio di beni e servizi direttamente dalla propria abitazione cosa che genera isolamento, solitudine e individualismo. Infine questi luoghi, come ricettori di bisogni, possono svolgere rapidamente anche funzioni sociali come è successo durante il covid quando molti di questi negozi, magari chiusi, magari in difficoltà, sono diventati centri di distribuzione di alimenti e di solidarietà.

Gli spazi ibridi sono luoghi di comunità che lasciano immaginare città più vivibili, più belle, più creative. Ben venga quindi l’elenco degli spazi ibridi promosso dal Comune di Milano sperando che non sia la fine di un percorso ma un’eredità che viene raccolta dalla prossima giunta e fatta crescere.


*Marta Manieri, fondatrice di Collaboriamo organizzazione che si occupa di progettazione di servizi collaborativi


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