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La fotografia porta la bellezza sui campi di lavoro dei migranti

"Correspondence” di Martina Della Valle e “Fascia Trasformata” di Maria Vittoria Trovato i due progetti che, nell'ambito del Ragusa Foto Festival di Ibla, hanno raccontato la vita dei lavoratori e delle famiglie che ruotano attorno alle distese di serre del territorio, preziose risorse sfruttate per alimentare il comparto agricolo, spesso senza essere tenute nella degna considerazione. A sostenere il progetto "Fondazione CON IL SUD" e la Collezione Donata Pizzi, insieme a partner come Fondazione di Comunità Val di Noto e le Caritas diocesane di Ragusa e di Noto

di Gilda Sciortino

Quando si dice che la solidarietà è un’arte non si sbaglia, soprattutto se si pensa alla fotografia che racconta il sociale e, in un certo senso, se ne prende carico. Lo ha dimostrato una manifestazione come il Ragusa Foto Festival, quest’anno dedicato al tema del desiderio, dal quale sono emersi due percorsi sulla resilienza dei lavoratori agricoli che vivono nel territorio ragusano, porta a sud d’Europa, e sull’innata celebrazione della vita che anima l’operato dei sostenitori dei progetti tra i quali ci sono Fondazione CON IL SUD e la Collezione Donata Pizzi, insieme a partner come Fondazione di Comunità Val di Noto e le Caritas diocesane di Ragusa e di Noto.

Correspondence” di Martina Della Valle e “Fascia Trasformata” di Maria Vittoria Trovato i progetti che, con linguaggi visivi diversi, rispettivamente documentaristico e concettuale, hanno basato la loro ricerca e i loro lavori su una visibilità che testimonia sia la realtà e sia le emozioni di luoghi e di persone che vivono intorno alle distese di serre dislocate nel territorio ibleo, rappresentando una forza lavoro necessaria per il comparto agricolo e le catene del valore agroalimentari.

Il primo progetto si è concentrato sull’incontro, sulla condivisione del racconto e sulla partecipazione al processo creativo attraverso uno scambio di parole e immagini che ha composto, anche grazie ai loro stessi scatti, un racconto per frammenti della realtà dei migranti e delle loro famiglie; il secondo percorso è partito dall’incontro negli spazi del presidio Caritas durante le ore di doposcuola per proseguire a formare, grazie allo scambio continuo, quotidiano, una sequenza di serre, mare, plastica, volti, piante, gesti, che ha costituito un paesaggio fatto di nuovi accostamenti e relazioni.

Lavori inediti scelti tra i venti in mostra a Ibla, uno dei più borghi barocchi più belli d’Italia patrimonio Unesco, per raccontare dei percorsi di innovazione sociale avviati dal 2014 nei due Presidi siciliani di Caritas Italiana, Marina di Acate e Pachino, con l’obiettivo di dare assistenza ai lavoratori tra i più invisibili nel territorio. Parliamo dei braccianti agricoli immigrati che già prima del coronavirus, lavoravano nel silenzio più assoluto per realizzare il desiderio di una vita migliore.

Il desiderio, quindi, come occasione per far meglio comprendere come le storie di queste persone debbano uscire fuori dal meccanismo di mera denuncia degli aspetti più gravi della loro condizione, dimostrando che, nonostante facciano parte di un contesto sociale assolutamente precario, possono farci arrivare tutti i loro sogni e le speranze che albergano nel loro animo.

«Ci teniamo che questamanifestazione internazionale di provincia, non sia una semplice iniziativa che, come tante altre, si ferma al momento espositivo – spiega la fondatrice del Festival, Stefania Paxhia, giornalista e ricercatrice sociale per il Consorzio Aaster, che dal 2012, insieme al direttore artistico Steve Bisson, docente di fotografia al Paris College of Art, organizza il Festival – ma che abbia una progettualità dal respiro globale fortemente radicato in questo territorio così ricco di bellezza e di ispirazione. La bellezza può salvare perché cambia la prospettiva attraverso la quale guardare e affrontare la vita».

Se, poi, volessimo utilizzare il cinema per spiegare cosa sia la bellezza, basta rivedere la scena de ”I Cento Passi” dove Peppino Impastato guarda dall’alto Cinisi e, dopo aver mostrato all'amico come la mafia distrugga anche l’ambiente con i suoi affari, lo fa partecipe della sua convinzione rispetto al fatto che le lotte non bastano, che è solo la bellezza ciò che conta.

«Ecco, con questo progetto il messaggio si rinnova – sottolinea Maurilio Assenza, vicepresidente della Fondazione di Comunità Val di Noto -. L’arte fotografica e l’arte del sociale ritrovano le loro radici profonde: cogliere nel volto e nei dettagli della vita quella leva di Archimede che aiuta a ritessere relazioni di comunità. E i Sud d’Italia e del mondo, da terre di dolore, potranno diventare terre di bellezza, anzitutto come “sole dentro” che illumina e riscalda un’umanità capace di vivere nella convivialità delle differenze».

Un percorso, quello compiuto da questo festival nel raccontare lo sfruttamento dei migranti in agricoltura, che chiama in causa i presidi, praticamente il “farsi presente” di una rete di soggetti che lavora attraverso la messa in campo di sportelli itineranti, assistenza legale, abitativa, lavorativa, scuola di italiano per fare emergere le condizioni a cui devono sottostare questi lavoratori, pur di “sognare” una vita migliore .

«Cogliere, come si propone il festival, il desiderio di dignità e anche di superamento di questo tempo difficile – conclude Assenza – ha il sapore della bellezza da cui ridiscende il resto».


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