Politica & Istituzioni

Diserzione dai seggi? La politica smetta di lamentarsi e agisca

I dati sull'astensione impressionano centrodestra e centrosinistra, ma in queste ore al di là di tante parole non si sono alzate voci nè su proposte, nè su azioni concrete da prendere per fermare il crollo dall'impegno politico che colpisce soprattutto le periferie e gli strati di popolazioni più poveri. Due cose da fare subito? Sostenere la campagna per rendere il volontariato patrimonio dell'umanità e rendere il servizio civile davvero praticabile per tutti i ragazzi che ne facciano richiesta

di Redazione

Per il candidato di centrosinistra Roberto Gualtieri o per quello di centrodestra Enrico Michetti (foto) in questo turno di elezioni municipali ha votato appena il 40,68% degli elettori (a Torino il 42,14%, meno 5.94% sulle precedenti consultazioni e a Trieste il 42%, meno 4%). Questo significa che nella capitale hanno scelto il sindaco meno di un milione di romani (960mila). Come nota Andrea Fabozzi sul Manifesto di oggi «per trovare un precedente a questa “bassezza” bisogna tornare indietro di settanta anni, al 1952 quando però la città era grande (e abitata) la metà. Per stare a un periodo più recente, e a parità di abitanti, negli anni Novanta Francesco Rutelli ha vinto due volte le elezioni conquistando da solo lo stesso numero di elettori che nel complesso sono andati a votare tra domenica e lunedì. Un'affluenza così bassa è dunque, inevitabilmente, la prima causa dei risultati di ieri: sono stati innanzitutto gli assenti ad assegnare le vittorie nei ballottaggi e vedremo in che senso».

Il trend è impressionante, ma largamente annunciato dopo che al primo turno andò a votare poco più di un italiano su due (il 54%) calato nella due giorni del 17 e 18 ottobre a meno di uno su due rispetto agli aventi diritto (gli astenuti sono stati oltre il 56%) . Sono in particolare le periferie delle grandi città, ci dicono gli analisti, a soffrire di apatia politica, ma forse come fa il direttore di Fanpage Francesco Cancellato sarebbe meglio battezzare come “diserzione”. Quelle stesse periferie popolate dalla gran parte dei 2 milioni di Neet, ragazzi che non studiano e non lavorano, che fanno (o meglio, dovrebbero fare) dell’Italia un “caso” in tutta Europa e che invece ormai la politica, ma anche buona fetta dell’intellighenzia di questo Paese considera una sorta di silenzioso ed spiacevole effetto collaterale del un modello di sviluppo educativo ed economico a cui (inconsapevolmente?) ci siamo affidati.

A impressionare però non è solo la virulenza di questo distacco dalla politica, in particolare, dei più giovani e dei più poveri (perché questo è, diciamocelo), ma anche l’aridità delle riflessioni che oggi la politica riversa nel dibattito pubblico. Da destra la leader di Giorgia Meloni se la prende col fango gettato contro i fascisti nell’ultimo miglio della campagna elettorale e la mancanza di compattezza nelle scelte nazionali del suo fronte (pro o contro Draghi); quanto a Matteo Salvini si limita a buttare la palla in tribuna dando la responsabilità della debacle al ritardo con cui si sono resi noti i nomi dei candidati. Sicuro che se i milanesi e i romani avessero avuto più tempo per conoscere Luca Bernardo e Michetti i voti non sarebbero stati ancora meno dei pochi che ha raccolto? Non ne sarei certo.

E anche dal sorridente centrosinistra di queste ore, non si va molto più in al di là di una generica convocazione "politica" della società civile. Scrive Giovanna Vitale per Repubblica nel suo pezzo sulla “vittoria” di Enrico Letta: «”Vinciamo ovunque e comunque"», rimarca l'inquilino del Nazareno citando, oltre a Roma e Torino, i casi emblematici di Varese e Latina: “Sia dove il centrodestra aveva azzeccato i candidati sia dove non li aveva azzeccati” e “con percentuali del 60%, in periferia come nelle metropoli”, a riprova che “il Pd non è più il partito delle Ztl”. Due le armi, appena sperimentate, su cui puntare: la spinta degli elettorati “che si sono saldati, vogliono unità e si sono dimostrati più avanti di noi», hanno saputo cioè superare le divisioni e i veti imposti dai vari capi e capetti di un centrosinistra ancora troppo frammentato. E l'apertura alle tante associazioni, forze civiche e reti di cittadinanza che già hanno contribuito alla conquista delle città e ora costituiranno l'ossatura delle Agorà democratiche lanciate da Letta per allargare il campo a energie fresche e realtà fin qui trascurate. Chiaro l'obiettivo: rendere meno decisivi i cespugli del Nuovo Ulivo, diluirne l'influenza al centro come a sinistra». Insomma il coinvolgimento delle energie civiche in un’ottica di strategia politica. Ammesso e non concesso che il Pd sia uscito dalla zona Ztl, il cerchio rimane troppo stretto.

Si dovrebbe fare di più, molto di più. Per rimangiare terreno alla diserzione dalla politica, ma forse anche dalla democrazia occorre ricostruire dal basso e a partire dai giovani di questo Paese quella passione civile che è alla base di ogni processo di partecipazione. Si partecipa, perché si sa di poter incidere. Come?

Oggi il Corriere della Sera ospita sia nella versione cartacea, sia in quella digitale pubblica una lettera firmata da Emanuele Alecci e Riccardo Bonacina, in qualità di Portavoce della campagna Volontariato Patrimonio dell’Umanità. La lettera è rivolta al presidente del Consiglio Mario Draghi. Scrivono Alecci e Bonacina: «…Il volontariato è un bene unico e prezioso che riesce a rivitalizzare tutto il nostro vivere. Perciò abbiamo deciso di lanciare una campagna che mira a candidare a livello transazionale il volontariato a Patrimonio immateriale dell’Umanità. Perchè il futuro non potrà essere la riproposizione riveduta e corretta di cose vecchie ma l’ideazione di un mondo nuovo. Un mondo che veda nel volontariato la leva robusta di una sviluppo equo e sostenibile». Spostare questa campagna, impegnarsi affinché il mondo del volontariato cresca e sia sempre più preso in considerazione nella società e dalla politica, sarebbe un’azione concreta di ricostruzione del tessuto sociale. Come lo sarebbe rendere finalmente il servizio civile “universale”, ovvero aperto a tutti i ragazzi fra i 18 e 28 anni che ne fanno richiesta. Ogni anno sono 120mila e ad appena 50mila di loro si dà la possibilità di impegnarsi per il prossimo e nell’interesse generale. Questo esclusivamente per una decisione politica di allocazione dei fondi (stiamo parlando di poche centinaia di milioni di euro, a fronte di 26,3 miliardi di spese militari all’anno). Uno spreco inaccettabile di gioventù e civismo.

La campagna per il riconoscimento del volontariato come bene immateriale dell’umanità e un servizio civile davvero universale: oggi la politica ha a portata di mano due grandi occasioni per la ricostruzione sociale di cui tanto si riempie la bocca. Dopo le parole, è l’ora dei fatti.


foto: Sintesi


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