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Fondo povertà educativa: la riconferma di un modello di successo

Nella Legge di Bilancio arriva la proroga per il 2023 e 2024. Nei primi sei anni del fondo, dal 2016 al 2021, sono stati versati dalle Fondazioni di origine bancaria 607 milioni di euro, utilizzati su progetti innovativi, in maniera flessibile e vicina ai territori. Tant'è che il modello è stato copiato per il nuovo Fondo per la Repubblica digitale. Una lezione da ricordare anche per il Pnrr

di Sara De Carli

La Legge di Bilancio 2022 riconferma il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile nato con la Legge di Bilancio 2016. La proroga riguarda gli anni 2023 e 2024, con il riconoscimento di un contributo, sotto forma di credito d'imposta per i versamenti effettuati al Fondo dalle Fondazioni di origine bancaria. Il contributo sarà riconosciuto per il 65 per cento dei versamenti effettuati e fino a 45 milioni di euro per l'anno 2023, mentre la percentuale torna al 75 per cento per l’anno 2024, con un tetto però di 25 milioni. Alla nascita, lo ricordiamo, il meccanismo prevedeva il riconoscimento di un credito d'imposta del 75 per cento, fino a 100 milioni di euro per gli anni 2016, 2017 e 2018, portato poi al 65 per cento e fino a 55 milioni di euro per gli anni dal 2019 al 2022.

«Nel Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nei primi sei anni, sono stati versati 607 milioni di euro e nei prossimi tre anni, dal 2022 al 2024, ci aspettiamo che ne arrivino altri 200 milioni. Arriveremmo quindi a 800 milioni di euro, più circa altri 30 da parte di enti privati sulle iniziative in cofinanziamento. Si tratta dell’operazione di partenariato pubblico/privato più grande della storia della Repubblica. Ben tre Governi differenti ne hanno apprezzato il valore, prima istituendo e poi confermando il Fondo», commenta Giorgio Righetti, direttore dell’Acri. Un modello di successo, che ha consentito di investire risorse in maniera snella e flessibile, vicina ai territori e ai loro bisogni, su un tema di interesse generale assolutamente cruciale per il futuro del Paese. «È motivo di soddisfazione il fatto che il modello che abbiamo creato nel 2015 con il decreto Recovery sia stato replicato a sostegno di progetti rivolti alla formazione e all'inclusione digitale, per la riduzione del digital divide. Il nuovo Fondo per la Repubblica digitale sarà alimentato sempre dalle fondazioni con il medesimo meccanismo, tramite un protocollo stipulato tra le fondazioni, il ministro per l'Innovazione e il ministro dell'Economia».

Per comprendere appieno il meccanismo, occorre ricordare che il credito d’imposta, pur generoso, copre solo una parte di quanto le fondazioni versano nel Fondo: per esempio nel 2024 le fondazioni recupereranno fino a 25 milioni versando 33 o più milioni di euro al Fondo per il contrasto della povertà educativa. Si tratta quindi di soggetti che coinvestono insieme al pubblico su temi di interesse generale e così facendo attirano anche altre risorse. Un credito di 25 milioni non è poco rispetto ai 100 iniziali? «Non è tanto questo il punto», replica Righetti. «Il valore vero è poter indirizzare cifre così significative di risorse pubbliche con logiche certamente concertate con il pubblico (il Governo ovviamente è nel Comitato di Indirizzo Strategico del Fondo, attualmente presieduto dal Sottosegretario di Stato Roberto Garofoli, ndr) ma che portano nelle scelte lo sguardo e la compentenza della società civile, di chi è più prossimo ai bisogni, di chi punta a promuovere innovazione e a generare impatto sociale». Se in questi anni avessimo speso questi 600 milioni esclusivamente con le logiche tipiche del pubblico, davvero pensiamo che avremmo fatto le stesse cose? Con lo stesso impatto? Pensiamoci, anche per il Pnrr.

Photo by Ben Mullins on Unsplash


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