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Bambini poco capaci di esprimere le emozioni. Anche questa è povertà educativa
La pandemia non ha limitato solo le possibilità, per alcuni bambini, di ricevere cure essenziali e il soddisfacimento di bisogni primari e secondari. Ha impattato anche sulla loro sfera emotiva. La ricerca della Fondazione L'Albero della Vita rileva che la maggioranza di loro è poco capace di esprimere emozioni
di Redazione

Che la pandemia da Covid-19 abbia «esacerbato la criticità delle condizioni sociali ed economiche delle famiglie che vivevano in situazioni di disagio pregresse», come sottolineano Maria Garro e Cinzia Novara, docenti del Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell’Università degli studi di Palermo, era prevedibile.
Quello che emerge dalla ricerca “Pandemia e povertà nelle periferie italiane: il punto di vista delle famiglie e dei bambini” che l’ateneo ha condotto insieme alla Fondazione L’Albero della Vita tra agosto e settembre 2021 su un campione di 551 persone, di cui 277 adulti e 274 minori beneficiari del programma nazionale di contrasto alla povertà “Varcare la soglia” è un affresco molto più a tinte fosche.
L’emergenza sanitaria ha messo tanti genitori nelle condizioni di non poter garantire ai propri figli le cure essenziali e il soddisfacimento di bisogni primari e secondari, compresa la possibilità di procurare gli strumenti per la didattica a distanza. Il 66% delle famiglie ha visto aumentare il proprio disagio economico e l’80% dei genitori i propri figli avranno bisogno di supporto didattico una volta rientrati a scuola.
La povertà educativa, come riconosciuto da tutte le rivelazioni, è imputabile in larga misura alla privazione di opportunità di apprendimento e di socialità nei primi anni d’età spesso dettate dalla povertà economica, ed in tal senso le conseguenze sociali generate dall’emergenza sanitaria hanno inciso ulteriormente sulle periferie e sulle famiglie con minori che vi abitano.
Ma a questo si aggiunge «un’analisi delle forme di disagio minorile e giovanile causate anche dalla carenza, a volte dall’assenza, di confronti sociali costruttivi idonei all’espressione del sé e alla costruzione identitaria. Tra le cause l’impossibilità di lasciare, anche nel tempo libero, il quartiere di residenza, rischiando di inficiare il normale sviluppo individuale e sociale se non adeguatamente supportati», sottolineano Garro e Novara.
«Oltre al gioco con gli amici, tra le altre attività legate al tempo libero e a pagamento emerge che la maggioranza dei bambini ha avuto poche esperienze prima che scoppiasse la pandemia», si legge nella ricerca. «Si è voluto indagare quante volte prima del lockdown i minori sono stati portati al cinema, a teatro, a mostre e a concerti. Il 47% non è mai stato al cinema e il 46% è stato portato meno di 5 volte. Per quanto riguarda il teatro l’84% dei bambini intervistati dichiara di non esserci mai stato e solo il 13% di esserci stato qualche volta (meno di 5). L’87% dichiara di non aver mai visto una mostra e l’11 di averlo fatto ma meno di 5 volte. Assistere a un concerto non è mai capitato all’86% dei minori, al 12% è capitato meno di 5 volte. Durante il periodo del lockdown queste attività sono state sospese e uno dei modi per passare il tempo è stato leggere libri. Non tutte le famiglie però hanno potuto dare questa possibilità ai propri figli. Il 42% dei minori ammette infatti di non aver letto alcun libro, il 26% di averne letto solo 1».
La povertà educativa però non genera solo un problema educativo e di istruzione. Lo studio infatti collega direttamente questi dati alla sfera emotiva e quindi alla corretta crescita del minore.
La povertà educativa però non genera solo un problema educativo e di istruzione. Lo studio infatti collega direttamente questi dati alla sfera emotiva e quindi alla corretta crescita del minore.
Albero della Vita
La ricerca rileva infatti come «riguardo le capacità dei bambini e dei ragazzi a esprimere le proprie emozioni i minori affermano, per la maggioranza, di essere poco capaci di farlo. La metà dei bambini, il 50%, ritiene di essere poco capace a esprimere felicità quando accade qualcosa di bello e il 35% pensa di essere mediamente capace. Lo stesso accade quando si tratta di manifestare soddisfazione per il raggiungimento di obiettivi che ci si è preposti. Il 53% non riesce a gioire appieno dei propri successi e il 42% riesce a farlo in parte. Quando si tratta di esprimere liberamente la propria contentezza e il proprio entusiasmo in occasione di feste e incontri con gli amici il 53% si sente poco capace di farlo e il 39% mediamente capace. Il 47% riesce poi a rallegrarsi poco del successo di un amico, il 35% si sente abbastanza capace di farlo. Rispetto al divertirsi con gli amici il 40% dei bambini intervistati afferma di avere poca capacità in questo e il 35% di averne abbastanza. Anche rispetto alla musica la maggioranza dei minori pensa di riuscire a entusiasmarsi poco, 46%, quando ascolta un brano che gli piace, il 31% si ritiene mediamente capace».
Qual è il risultato? «Le ricadute non sono solo nell’ambito benessere individuale ma anche sul benessere di comunità. In tal senso i risultati fin qui ottenuti attraverso la ricerca esortano all’individuazione di interventi a sostegno della genitorialità e delle famiglie al fine di potenziarne la progettualità consapevole tesa al cambiamento. Basti pensare che il 78% degli intervistati ritiene oggi, nonostante tutto, più utile ricevere sostegno socio-pedagogico a distanza da parte di educatori piuttosto che materiale.
«Come Fondazione», sottolinea la direttrice generale Isabella Catapano, «in particolare con i nostri servizi Varcare la Soglia di Milano, Genova, Napoli, Perugia, Palermo e Catanzaro, ci prendiamo carico non solo del minore, ma di tutto il nucleo famigliare e quindi anche del tessuto sociale che vive questi margini».
Il motivo è presto detto: «Reputiamo che ogni persona e ogni famiglia sia portatrice di un potenziale di cambiamento forniamo a genitori e figli anche un sostegno socio-educativo e psicologico, oltre a quello materiale. In particolare l’intervento a supporto dell’empowerment punta a disinnescare il senso di solitudine che le famiglie in povertà vivono come conseguenza della loro condizione e che durante il periodo di lockdown è stato amplificato. Tutti i giorni riscontriamo l’utilità di questo approccio nel miglioramento delle relazioni tra i bambini e tra genitori e figli, un approccio che si è rivelato ancor più utile, come confermato dagli stessi beneficiari in questa ricerca, durante la pandemia».
In conclusione per Catapano «è imprescindibile che si lavori, insieme pubblico e privato, per migliorare l’accesso ai servizi socio-educativi per le famiglie a rischio di marginalità sociale, per rafforzare le competenze genitoriali e far emergere le risorse nascoste nelle individualità dei giovani. Crediamo inoltre fonda- mentale promuovere comunità educative, con la scuola al centro, in cui tutti gli attori istituzionali, sociali, culturali ed economici assumano come propria responsabilità i percorsi di crescita e studio dei minori, rimuovendo gli osta- coli che impediscono loro la piena fruizione dei processi formativi. Deve essere chiaro che gli ultimi rimarranno sempre ultimi se i primi sono irraggiungibili».
Foto in apertura: assistenza scolastica ai beneficiari dell'Albero della Vita durante la pandemia
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