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Cooperazione & Relazioni internazionali

Le guerre di Putin e il silenzio del mondo

Dalla Cecenia nel 1999, le prime settimane di Putin primo ministro, con la strage al mercato della capitale cecena Grozny e le bombe sulla colonna di profughi ai bombardamenti sulla Siria che hanno provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Passando dagli sconfinamenti aggressivi in Georgia, Crimea e Kazakhinstan

di Paul Ricard

La passione per la guerra a Putin inizio poche settimane dopo essere stato indicato come primo ministro e suo successore da Eltin nel 1999. La Cecenia, piccola repubblica caucasica perseguiva l’indipendenza da Mosca dal 1991 la ottenne solo Il 30 agosto 1996 con la firma degli Accordi di Khasavyur.

Il 9 agosto del 1999 Putin viene indicato da Eltsin come nuovo premier, e come suo successore in vista delle elezioni presidenziali previste l’anno successivo. Putin si sarebbe insediato ufficialmente solo il 16 agosto, ma da subito agì come fosse già nel pieno delle sue funzioni risolvendo la crisi daghestana (gli islamici ceceni avevano occupato la parte settentrionale del Daghestan, territorio russo) entro due settimane. Restava però da porre rimedio allo smacco del ’96, e non perse tempo. Ebbe gioco facile a riaprire le ostilità con la Cecenia anche per via degli attentati esplosivi che colpirono tra il 4 e il 16 settembre del 1999 diverse edifici residenziali a Mosca e nelle città meridionali di Buynaksk e Volgodonsk. I morti furono 307. Alcune evidenze suggerirono che a mettere le bombe sarebbe stato il servizio segreto federale, per incolpare gli insorti ceceni. Tra chi supportò questa versione dei fati ci furono la giornalista Anna Politkovskaya, uccisa a colpi di pistola nell’ascensore del suo condominio il 7 ottobre 2006, e l’ex agente segreto Alexander Litvinenko, morto per avvelenamento il 4 dicembre dello stesso anno.

Il 1 ottobre 1999 Putin diede inizio a una nuova, feroce e brutale, offensiva di terra e di aria sulla Cecenia. I militari russi non si facevano scrupoli a colpire la popolazione civile. L’episodio più noto avvenne il 21 ottobre, quando un missile russo bersagliò il mercato della capitale cecena Grozny: morirono 140 persone, tra cui donne e bambini, centinaia furono ferite. Otto giorni dopo un aereo russo bombardò un convoglio di profughi, tra i 25 morti c’erano volontari della croce rossa e giornalisti. Emersero racconti di stupri e violenze sulla popolazione civile, di stragi a sangue freddo.

Il 31 dicembre 1999, a guerra ancora in corso, Boris Eltsin, malato e screditato per i suoi problemi di alcolismo, si dimise e Putin assunse l’interim. Le elezioni anticipate, svoltesi nel marzo 2000, lo confermeranno al Cremlino con il 53% dei voti. Giurò come presidente il 7 maggio 2000, un mese dopo insediò un uomo di fiducia a capo dell’amministrazione cecena. Le polemiche sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia andarono avanti per qualche tempo, ma la Comunità internazionale non intraprese alcuna azione a riguardo.

Non c’è da stupirsi. Il Caucaso non era infatti l’unico scenario bellico che vedeva impegnata la Russia: da un anno faceva parte, insieme ai paesi Nato, della Kosovo Force (Kfor), l’operazione di peacekeeping nell’ultima delle guerre balcaniche iniziate un quasi un decennio prima.

I rapporti della Russia con i paesi atlantici sarebbero rimasti buoni a lungo, tanto che nel 2007 il G7, il gruppo dei paesi più industrializzati del mondo di cui fa parte anche l’Italia, si allargò alla Russia diventando G8.

Putin restò presidente fino al 2008: allora la costituzione della Federazione non consentiva un ulteriore mandato, così al Cremlino salì il suo stretto collaboratore Dmitrij Medvedev, mentre Putin fu nominato primo ministro, mantenendo di fatto ben salde in mano le leve del potere.

In questa fase, si accese un'altra crisi nel Caucaso. La Georgia, che faceva parte della Comunità degli stati indipendenti, l’organizzazione internazionale che raggruppava buona parte delle ex repubbliche sovietiche, cercava da tempo di affrancarsi dall’influenza di Mosca, ma doveva fare i conti con le regioni russofile dell’Abkhazia dell’Ossezia del Sud, con cui vigeva un precario cessate il fuoco dopo tre anni di scontri terminati nel 1994 e che nel frattempo avevano raggiunto un’autonomia de facto.

La notte del 7 agosto 2008 la Georgia bombardò la capitale sud-osseta Tskhinvali provocando centinaia di morti e enormi distruzioni. L’indomani Mosca intervenne a fianco dei secessionisti e la Georgia dichiarò lo stato di guerra, nei giorni successivi il conflitto si allargò in Abkhazia. Con la mediazione dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy il 12 agosto fu raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco. Due settimane dopo Mosca riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche separatiste, facendo leva sul riconoscimento del Kosovo di pochi mesi prima da parte di numerosi stati: di nuovo, Putin si avvalse di quel che avveniva nel conflitto balcanico per rafforzare la sua posizione nel Caucaso.

Putin si ricandidò alla presidenza alle elezioni del 4 marzo 2012, vincendole con il 64% dei voti. Da allora è sempre stato presidente, due anni fa ha anche ottenuto la riforma costituzionale che gli consente di candidarsi per altri due mandati e restare al Cremlino potenzialmente fino al 2035.

Due anni dopo, nel 2014, mentre si chiudevano le Olimpiadi invernali che per la prima volta si tenevano in Russia, a Sochi, si infiammò l’Ucraina: la tendopoli pro-Ue di piazza Maidan a Kiev, gli scontri, il governo filo-russo di Yanukovic rovesciato. La reazione di Putin fu mandare soldati russi senza mostrine né a bandiere a occupare militarmente la penisola di Crimea, annettendola ufficialmente il 18 marzo. Le conseguenze di questi fatti, e dei lunghi anni di guerriglia separatista in Donbass sono la tetra cronaca di questi giorni.

Negli otto anni passati da quei fatti i rapporti con l'Occidente si sono guastati, il G8 non si è mai più riunito, l'Occidente ha opposto all'espansionismo di Mosca le prime sanzioni, molto meno pesanti di quelle attuali.

Frattanto, Putin ha continuato a fare la guerra, in altri scenari. A settembre 2015 la Russia entra attivamente nel conflitto in Siria, a fianco del governo di Bashar Assad e contro le fazioni ribelli, che dopo oltre quattro anni di conflitto, erano finite per essere egemonizzate da gruppi islamisti radicali. L’intervento russo fu determinante nel permettere al regime di Damasco dato per prossimo alla sconfitta, di riconquistare gran parte del paese a spese della popolazione civile massacrata dai bombardamenti. In Siria in 11 anni di guerra ci sono stati più di 400mila morti e 11 milioni di profughi. Troppe immagini di questi primi 13 giorni di aggressione all’Ucraina sono simoli alle immagini che negli anni scorsi arrivavano dalla Siria, le città rase al suolo, i civili uccisi sull’asfalto.

Il penultimo intervento militare russo, prima dell'aggressione all'Ucraina, risale solo a due mesi fa, quando con tutta probabilità i piani per l’invasione dell’Ucraina erano già in fase avanzata, e ha riguardato un’altra enorme repubblica ex sovietica, il Kazakhinstan . Lo scorso gennaio Putin ha inviato le forze armate ad aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokayev a far rientrare i violenti moti di protesta innescati dall’aumento dei prezzi dell’energia. Anche qui Mosca ha avuto il suo tornaconto: cementare i rapporti non solo con il Kazakhistan e altri stati asiatici nati dalla dissoluzione dell’Urss, ma anche con la Cina, interessata al mantenimento degli equilibri regionali. E Pechino, di fronte all’invasione dell’Ucraina, ha mantenuto un approccio morbido e dialogante.


Nella foto di apertura: A sinstra, Aleppo il 7 marzo 2014, © PHOTOSHOT/SINTESI. A destra, Kharkiv, 4 marzo 2022, © Avalon/Sintesi


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