Cooperazione & Relazioni internazionali

In Ucraina con gli ucraini e l’arma dei forti, la nonviolenza

L'iniziativa che ha l'acronimo MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta), ha preso il via dalla constatazione che i segnali di una società civile europea, a partire proprio da quella ucraina, in grado di fare da starter per un tale processo, ci sono, numerosi, coraggiosi, scalpitanti di volontà di contare ed essere ascoltati. È a partire da questo che è venuto in mente ad alcuni di noi di allestire, in collaborazione con le iniziative della società civile ucraina, una specie di "invasione" pacifica, nonviolenta, ma di massa

di Marianella Sclavi

Se uno, di fronte alla aggressione russa alla Ucraina, si chiedesse: "Cosa fare affinché questo conflitto si perpetui in eterno?" Troverebbe facilmente una risposta perfetta, proprio da manuale della "pace alla rovescia", prima di tutto nel comportamento del governo Usa.

Dal punto di vista di chi si occupa di gestione creativa dei conflitti, affermazioni del tipo: "Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto che non possa fare le cose che ha fatto", ovvero l'idea che la vittoria coincide con l'umiliazione, la messa in un angolo del nemico, per quanto dispotico e impermeabile ad ogni proposta di negoziato, è semplicemente delirante. Un delirio che non viene smorzato dalle nostre discussioni se sia il caso di allargare la NATO e se è giusto fornire all'Ucraina mezzi bellici più offensivi. Sono tutte alternative e proposte che si inscrivono dentro uno scenario che al massimo può arrivare a fermare provvisoriamente il ricorso alle armi, ma destinate ad alimentare l'acrimonia, l'odio, il desiderio di revanche e quindi una guerra sempre pronta a ripresentarsi, perchè non c'è capacità di ricostruzione e di coprotagonismo.

L'aspetto veramente allarmante della situazione attuale, che per davvero può portare alla terza guerra mondiale, è la piattezza/superficialità delle analisi e conseguente assenza di visioni alternative. Alla fine della Prima Guerra Mondiale c'erano i 14 punti del Presidente Wilson, l'idea di costruire la Società delle Nazioni. Dove c'è oggi una proposta analoga? Eppure almeno dalla caduta del muro di Berlino, dalla fine del Patto di Varsavia e crollo dell'URSS, è all'ordine del giorno (come hanno autorevolmente fatto notare nel panorama politico italiano due donne: Rosi Bindi e Luciana Castellina) l'idea di costruire "Gli Stati Uniti d' Europa", Russia compresa, con un proprio esercito difensivo al posto della NATO e un vero ed efficace sistema di Corpi Civili di Pace (CCP) , che avrebbero dovuto operare in Donbass da quell'ora.

È il non aver appreso nulla nè dalla esperienza storica, (vedi il trattato di Versailles o il più recente accordo di Dayton) e neppure dagli studi sulla Alternative Dispute Resolution e dalle esperienze ormai molto numerose e localmente solide di democrazia deliberativa. Tutti approcci ed esperienze che dimostrano che è possibile uscire dal cunicolo in cui i conflitti sono solo occasioni di schieramento, per saperli, invece, trasformare in occasioni di reciproco apprendimento e co-progettazione. Fa parte dell'abc della gestione creativa dei conflitti, l'idea che per cambiare stabilmente le relazioni in senso positivo, cooperativo, bisogna creare un nuovo contesto entro il quale ognuna delle parti possa trovare conveniente cambiare strategia e ridefinire la propria identità. Il che non implica che non si debba reagire anche con le armi; le armi sono in molti casi uno strumento adatto a bloccare una invasione, ma non a cambiare il contesto che l'ha resa possibile. Bisogna quindi sapersi muoversi a molti livelli.

Ma da dove prendere le mosse per creare questo nuovo contesto, un contesto ideale e istituzionale atto a costruire una nuova convivenza fra i popoli, visto che i leader politici sembrano al momento non dare credito a questa prospettiva ?

L'iniziativa che ha l'acronimo MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta), ha preso il via dalla constatazione che i segnali di una società civile europea, a partire proprio da quella ucraina, in grado di fare da starter per un tale processo, ci sono, numerosi, coraggiosi, scalpitanti di volontà di contare ed essere ascoltati; si tratta di dare al loro composito insieme un corpo e una voce, di permettere a un pulviscolo di migliaia di iniziative umanitarie e solidali, di farsi massa critica, di proporsi agli occhi del mondo con una presenza così vistosa e in un certo senso "urlata" da renderla non più ignorabile. Qui per aderire alla mobilitazione.

Partiamo dalla resistenza ucraina. Mentre la capacità di resistenza armata ucraina ha sorpreso gli aggressori e parecchi altri, sbalorditivo è stato ancor più, a mio giudizio, almeno in tutta la prima fase del conflitto (ovvero prima che si cominciasse a sparare a chi cammina per strada..) il dispiegamento di mobilitazione popolare, di resistenza nonviolenta da parte della popolazione. Gli episodi di abitanti disarmati che sventolando una bandiera nazionale fanno arretrare i carri armati russi, a volte in centinaia a volte poche persone che si oppongono a spintoni contro un carro armato, gli abitanti che spostano i cartelli stradali, le donne che dalle finestre urlano in russo "Tornate a casa, qui non vi vogliamo!", i cantori del teatro di Odessa.. e la enorme rete di solidarietà, dai pompieri ai paramedici e medici, alle associazioni religiose e laiche che organizzano l'assistenza sotto i bombardamenti. Tutto questo corrisponde a decine di Teinanmen, quasi ignorate dai mezzi di comunicazione di massa, ma trasmesse sui canali social dai protagonisti stessi.

Accanto a questo c'è stata la mobilitazione di migliaia di associazioni e persone singole che stanno operando per dare assistenza con cibo e medicinali a chi rimane e fare da ponte per i profughi, da Odessa a Leopoli, un po' in ogni dove, dentro e fuori il territorio aggredito. Il rischio è che tutte queste reti di solidarietà, questa mobilitazione della società civile, rimangano sparpagliate, e vengano percepite come un surrogato benevolo della guerra, ridotte a un evento collaterale della unica vera protagonista che è la guerra.

Ma la nonviolenza che viene praticata in modo così diffuso ed esteso non è solo non-guerra, sta mettendo in atto pratiche e saperi che devono avere una presenza al tavolo dei negoziati e negli incontri e sessioni che li preparano e accompagnano. Proprio se si vuole evitare il dopo Versailles e il dopo Dayton.

È a partire dalla esigenza di far fare a questa utopia concreta in atto un salto di presenza e protagonismo corale, collettivo, che è venuto in mente ad alcuni di noi di allestire, in collaborazione con le iniziative della società civile ucraina, una specie di "invasione" pacifica, nonviolenta, ma di massa, nel territorio dominato in questo momento dalla devastazione bellica. Con l'idea che a uno che cammina per strada puoi sparare, a migliaia di persone riprese in tempo reale da tutti i media disponibili, è oggettivamente più difficile (L'ombra ed eredità della marcia della pace organizzata da don Tonino Bello a Sarajevo nel 1992, è di conforto..).

Ma l'elemento in assoluto più vitale che ci ha spinto a lanciare questa iniziativa è aver constatato quanto sia oggi diffusa nelle società civili europee una esigenza e consapevolezza che Gandhi è riuscito a sintetizzare meglio di altri: "Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo."

Tanta è la gente che ho incontrato in questi tempi a cui questa guerra appare insopportabile, non per una questione di armi sì o armi no, ma perché puzza di ipocrisia lontano un miglio. E poiché "La nonviolenza è l’arma dei forti", almeno grazie a lei ci possiamo mettere in gioco personalmente e non limitarci a fornire le armi ad altri perché vincano e/o muoiano al posto nostro.

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*Marianella Sclavi ha insegnato Etnografiaurbana, Arte di ascoltare e Gestione creativa dei conflitti al Politecnico di Milano e collabora da anni a progetti di risanamento dei quartieri in crisi. È membro della Fondazione Alexander Langer di Bolzano e si è occupata dei processi di ricostruzione e gestione creativa dei conflitti in Kosovo e Palestina/Israele.

Tra i suoi libri: Confronto creativo: dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati con Laurence E. Susskind, Milano, Et-al Edizioni, 2011; Costruire la pace. Volume primo – L'antica grecia: Atene, Melo e le guerre del Peloponneso; a cura di M. Sclavi; IPOC, Milano 2014; “La scuola e l’arte di ascoltare. Gli ingredienti delle scuole felici” (con Gabriella Giornelli, Feltrinelli 2019)


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