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Spreco di cibo: in Italia siamo bravi, ma si può far meglio

L’Osservatorio Waste Watcher analizza quanti alimenti finiscono dalla cucina alla pattumiera: il nostro Paese è virtuoso, ma potrebbe fare di più. A livello globale lo spreco alimentare è molto elevato, ciò genera ripercussioni negative sul fronte etico, economico, ambientale e della salute

di Luca Cereda

Ogni anno, nel mondo, lo spreco di cibo è in media di 121 chilogrammi a persona. L’Italia resta la nazione più virtuosa nel “G8 dello spreco” che vede i russi a quota 672 grammi settimanali, gli spagnoli a 836 grammi e, quindi, i cittadini inglesi con 949 g, i tedeschi con 1081 g, i canadesi con 1144 g di spreco. Seguono i cinesi con 1153 grammi e, in fondo, i cittadini statunitensi che sprecano di 1453 grammi di cibo settimanali.

Salvare dal bidone della spazzatura alimenti che valgono – solo nel nostro Paese – 10 miliardi di euro l’anno, è facile capirlo, è tanto un risparmio quanto un guadagno: per le tasche e per l’ambiente, soprattutto. Una sostanziosa bolletta energetica nazionale, per dirla con la questione che più colpisce oggi i portafogli.

I numeri dell’Osservatorio Waste Watcher International

I dati dell’Osservatorio Waste Watcher International della Campagna Spreco Zero rilevati per l’Italia parlano di “soli” 31 chilogrammi pro-capite gettati ogni anno, un terzo in meno rispetto agli Stati Uniti. Ma non basta. Anche perché la nostra salute, quella del pianeta che abitiamo e lo spreco alimentare generato dall’umanità, sono intimamente collegati. Sprecare cibo ancora commestibile oltre a porre una questione etica – si pensi anche solo all’impoverimento della popolazione mondiale che, causa pandemia, non ha accesso sufficiente agli alimenti – genera un impatto negativo sull’ambiente e sulla nostra salute. Se possiamo essere orgogliosi che il G8 dello spreco trovi l’Italia al primo posto fra i Paesi virtuosi con meno chilogrammi di cibo gettati ogni anno, non dobbiamo chiudere gli occhi davanti alla spazzatura che si potrebbe evitare: nel bidone si trovano ancora alimenti di alto valore nutrizionale come frutta e verdura fresca, latte, pane e derivati, latticini a partire dallo yogurt.

Non serve fare gli asceti, ma…

La produzione di quegli alimenti che più vanno sprecati – secondo l’Osservatorio Waste Watcher International – ha un doppio impatto negativo sull’ambiente. Innanzitutto per l’uso delle risorse naturali: si pensi al suolo per coltivare, all’acqua per irrigare, all’energia per le macchine agricole e per gli impianti di allevamento, all’impiego di mezzi tecnici come i fertilizzanti per aumentare la produzione e i pesticidi per difendere le piante dalle malattie. In secondo luogo, per smaltire gli scarti e i rifiuti si pagano rilevanti costi ambientali ed economici. Messi insieme questi elementi, il risultato è che lo spreco alimentare globale – che ammonta ad un terzo di ciò che si produce secondo la Fao – è il terzo “produttore” di gas climalteranti, cioè quei gas che incidono sul riscaldamento globale di cui il mondo soffre. L’obiettivo è azzerare lo spreco alimentare domestico, quello che si può controllare direttamente a partire da cosa e dove si acquistano gli alimenti, da come li si conserva, e quindi da come si mangia nelle case, ma anche nei ristoranti e nelle mense.

Le basi della piramide alimentare

La proposta della Campagna è quella di puntare ad avere abbastanza. Ovvero quanto basta. Che è anche il motto più usato nella cucina domestica di una volta. Una “ricetta” valida sempre, quella di non superare i limiti e che non spreca niente.

E proprio su questo tema che l’Osservatorio Waste Watcher International “salda” la battaglia per la salute alimentare e quella del pianeta. Perché, i prodotti che si gettano maggiormente sono proprio gli alimenti base della dieta sostenibile per eccellenza, come riconosce la stessa Fao. Ci sono altri collegamenti netti e fitti fra spreco e dieta, visto che quello che sprechiamo c’entra con il cibo che produciamo e mangiamo. C’è un passo ulteriore da compiere e riguarda la qualità di questo cibo. Il Belpaese per tasso di obesità, soprattutto tra i giovani, sta rapidamente aumentando parallelamente all’allontanamento dallo stile di vita legato alla dieta mediterranea e al suo correlato stile di vita. Secondo l’Osservatorio, nel corso del 2020 la dieta mediterranea per via del lockdown è entrata nelle case degli italiani: dopo il primo lockdown 4 italiani su 10 hanno cambiato il loro stile alimentare e 6 italiani su 10 hanno dichiarato di privilegiare un regime nutrizionale ispirato alla dieta mediterranea perché più salutare, con cibi freschi, tanta frutta e molta verdura, legumi e proteine prevalentemente vegetali. Il 43,5 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato più verdure fresche, il 43,1 di aver acquistato più frutta fresca e il 36,8 di aver acquistato più legumi

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