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Educatori, servono (anche) imprese sociali meno giurassiche

Mino Spreafico, pedagogista e ricercatore dell’Università Cattolica di Milano, interviene nel dibattito avviato da Vita sulle difficoltà del lavoro sociale e dice: «è vero che c’è una emergenza educativa, è vero che gli attori “educatori” sono sfiancati, ma ciò non dipende da loro. Io sogno imprese sociali nuove, con management “vero” e innovazione spinta».

di Mino Spreafico

Si è accesa una viva attenzione da più parti sul tema della educazione di minori e adolescenti nei vari ambienti da loro frequentati. Questo è avvenuto con maggior enfasi in questa stagione post-pandemica. Mino Spreafico, pedagogista e ricercatore dell’Università Cattolica di Milano, lo spiega, dal suo punto di vista privilegiato, come esperto di strutture comunitarie italiane e internazionali, in questo modo: «è vero che c’è una emergenza educativa, è vero che gli attori “educatori” sono sfiancati, ma ciò non dipende da loro. Siamo noi adulti che teniamo le redini dei sistemi formativi universitari, che disegniamo il terzo settore e le tecnologie relative, che facciamo impresa sociale avendo una reputazione insieme a canali privilegiati di accesso alla finanza. Se devo poi dire quale è il punto su cui farei leva da subito è soprattutto l’ultimo. Imprese sociali nuove, con management “vero” under 30, innovazione spinta al massimo come avviene in altri settori».

Le osservazioni di Mino Spreafico si declinano lungo queste tre assi

  • La formazione degli Educatori Professionali e il ruolo delle Università e Scuole di formazione
  • Il sistema dei servizi socio-educativi e socio-sanitari centrati ancora sulla offerta e non sulla domanda
  • Il management della fiducia e la fatica a crescere in una organizzazione di terzo settore.

1. La formazione degli Educatori Professionali e il ruolo delle Università e Scuole di formazione


«Circa gli educatori professionali va detto che solo in Italia esiste questa divisione tra educatore socio-pedagogico ed educatore socio-sanitario. Sono stati fatti passi avanti grazie al lavoro di Vanna Iori e Milena Santerini, ma il sistema rimane diviso. Sono logiche legate alle Facoltà Universitarie con imperfezioni sia nel mondo di Scienze della Formazione che nel mondo di Medicina. Il campo della educazione e a volte della cura di minori ed adolescenti compromessi richiede competenze multidisciplinari sempre più complesse. Ad esempio nei curricula della figura di educatore socio-pedagogico mancano completamente alcuni moduli che consento di dialogare con la Neuropsichiatria e una debole capacità di distinguere la differenziata offerta di approcci dati dalle Specializzazioni nelle Psicoterapie. E’ debolissimo anche il dialogo con le competenze di chi proviene da Scienze Sociali e poco viene approfondito sul tema della Giustizia declinata alle persone minorenni. Se queste ultime richiedono il lavoro professionale di specialisti magistrali e dunque è frequente lavorare in equipe con loro, una alfabetizzazione in neuropsichiatria e in psicoterapia della adolescenza diviene essenziale. Il polo medico che ingaggia terapisti occupazionali ed educatori socio-sanitari ha altrettanto necessità di aprirsi a tematiche che provengono dalle scienze umane e meno dalla medicina. Molte cure oggi sono centrate su approccio educazionali e di progettazione pedagogica eterodiretta o autodiretta.

Anche le diversi scuole Pedagogiche sono in dialogo tra di loro e gli approcci sono molto diversi tra loro. Ciò significa che è riduttivo affermare che “mancano educatori”. Occorre dire quali educatori per quali segmenti del vasto sistema della trasmissione della vita e della cultura delle nostre Comunità. In una comunità o in una famiglia possiamo decidere un determinato approccio e paradigma educativo che parte da una connotata visione di persona e da una riflessione antropologica specifica, così coma la scuola può aderire ad una visione di società più o meno individualista, competitiva ovvero spazio di capacitazione dei talenti e capace di adattarsi agli scenari evolutivi globali del pianeta.

Questo è il primo punto. Tradotto in slogan: quale educatore per quale società-comunità. Ed anche: la scuola anticipa la società o viceversa? Sono temi ampi che spesso sono alla base delle fatiche educative».

2. Il secondo punto attiene al mondo dei servizi socio-educativi e socio-sanitari

«In generale in questi trent’anni sono stati fatti passi enormi per costruire una rete di servizi che aiutassero un territorio a prevenire, prendersi cura e includere le persone fragili. In questo si colloca tutto il mondo delle Comunità per minori e adolescenti, le comunità terapeutiche per giovani, le iniziative rivolte a stranieri incusi i Minori stranieri Non Accompagnati. La letteratura internazionale ha fatto molta strada nei medesimi anni ed ha coniugato il concetto di Progetto di Vita (che potremmo associare a ICF-Classificazione Internazionale del Funzionamento per certi versi e a DSM-Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali per altri).

Il sistema di welfare italiano è stato pioniere in questo campo negli anni 90 dello scorso secolo ma si è completamente fermato negli ultimi 10-15 anni. Si sono creati sistemi di accreditamento, si sono irrigidite le figure professionali coinvolte nei vari sistemi. La scuola ha scelto di aprire alla Psicologia, lasciando fuori dalla porta grandi pezzi della Pedagogia. Ma non è questo il punto.

Lo è invece lo spostamento da un sistema centrato sulla offerta (filiera di servizi) ad un sistema centrato sulla domanda. Un cambio vero e proprio di paradigma e di passo. Il primo alloca delle risorse per una target di fragilità, divide per livelli di prestazioni essenziali, e offre a tutti (se costoro riescono ad accedere ) risorse dedicate. Si vigila sugli output per tenere in ordine il sistema nel suo insieme. Il sistema centrato sulla domanda, invece, vede la persona come portare di bisogni ma anche di risorse, attiva queste ultime, supporta le fatiche, personalizza una somma di interventi professionali in modo customizzato, coinvolge la famiglia, e vigilia sugli outocome non tanto sulla applicazione di protocolli.

Ciò delinea ambienti in cui sono allestite offerte trasformative e non venduti servizi. Un tale sistema richiede buone competenze di lavoro multi e interdisciplinare nonché una valutazione di tipo formativo partecipato e in progress e non una verifica delle procedure. Si pensi ad esempio in Italia al lavoro promosso dal gruppo TCOM-Transformational Collaborative Outcome Management (Gestione collaborativa e trasformativa degli esiti). Vi sono diversi sistemi presenti nella letteratura della valutazione degli esiti che si sono affacciati in Italia ma che non sono sufficientemente conosciuti e poco vengono diffusi. Anche il mondo della scuola, ora arricchito dalle tecnologie digitali che hanno espanso gli spazi fisici moltiplicando la possibilità di accesso alla conoscenza e le occasioni di socializzazione, potrebbe diventare uno spazio di vera capacitazione e non di livellamento di volumi predefiniti di conoscenza. Prevale invece in questo campo, in particolare del contrasto alla povertà educativa, il concetto di valutazione di impatto dove il focus resta quasi sempre sulle risorse investite e non tanto sulle risorse generate».

3. Il terzo tema che avverto urgente è il management del terzo settore e l’esercizio in esso di datate forme di leadership

«E’ un tema rilevante che comporta un turn over molto alto nelle Comunità e nei luoghi di lavoro dell’educatore professionale. Su questo tema dobbiamo porre molta attenzione. Un sistema di welfare che risulta dalla interazione tra pubblico, privato e terzo settore (che poi è più corretto chiamare impresa sociale ovvero comunità attiva) che assume come vertice la capacitazione delle persone cui si rivolge non può che essere un luogo di creatività, di ricerca, di forte ingaggio motivazionale. Il terzo settore che si rivolge a bisogni nuovi in un territorio in genere dice “siamo qua noi”, asfissiando la nascita di nuove iniziative di impresa sociale pensate da giovani. Il sistema della finanza agevolata o della filantropia è ancillare a questa visione controllante chiedendo reputazione, bilanci passati ecc.­».

«Il problema – aggiunge- è proprio immettere processi di Change Management che consentano la liberazione di questa creatività e competenza delle nuove generazioni. E’ noto che il nostro paese attrae fondi di investimento per sviluppare sistemi a mercato nel campo della cura degli anziani e cominciano a comparire anche proposte di cura private nel settore socio-sanitario. Di fatto il mondo della cura di minori con fragilità di apprendimento e complessità psicologiche è molto di tipo privato e poco sostenuto da risorse pubbliche. Ciò significa che una diversa visione delle imprese potrebbe attrarre giovani con formazione professionale anche di tipo accademico robusta e aumentare il mercato del lavoro per i giovani.
Organizzazioni eterarchice e non gerarchiche, team guidati da professionisti under trenta e non da 60 enni che hanno guadagnato posizioni apicali o manageriali. Diciamo che questo è un punto rilevante. Negli ultimi 4 anni ho visto cadere teste giovani e spesso le migliori per mancanza di spazio lasciato dai direttori o coordinatori delle varie strutture nelle quali avevano cominciato a operare.

Anche questo fenomeno tipicamente italiano della celebrazione degli anniversari di fondazione delle strutture educative spero si esaurisca presto. Educare è generare e non replicare e certamente non riparare. E generare comporta ad un certo punto “lasciar andare” e non accanirsi per essere riconosciuti. Sarebbe bello festeggiare il battesimo di nuove imprese sociali magari per bisogni umani non ancora codificati che celebrare anche giustamente anniversari. Quanto bello sarebbe questo passaggio di consegne a giovani imprenditori».

*Mino Spreafico è pedagogista e ricercatore dell’Università Cattolica di Milano


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