Welfare & Lavoro

Comunità per minori: 20 gestori rinunciano all’accreditamento con il Comune di Milano

La Città Metropolitana si ritrova di punto in bianco con 509 posti in meno, con venti cooperative che dicono no alle nuove tariffe proposte, peggiorative rispetto al contratto in vigore. Fondazione Archè, La Grande Casa, Comin, Farsi Prossimo sono solo alcuni dei nomi. Marelli (CNCA): «Ci rendiamo conto che c’è un disinvestimento nazionale, una catena di responsabilità, ma non è pensabile lasciare l’ente gestore con il cerino in mano»

di Sara De Carli

Venti organizzazioni dicono no alla nuova proposta di convenzione con il Comune di Milano per la gestione di comunità per minori o comunità mamma-bambino sul territorio di Milano Città Metropolitana e province limitrofe. Sono 147 le strutture coinvolte e 590 i posti che verrebbero meno, dentro un sistema già ora ampiamente insufficiente. Una vera e propria “fuga in massa dalle residenze per minori”, proprio nel momento in cui i bisogni sono urgenti e indifferibili.

La decisione è stata presa dopo che il Comune di Milano ha pubblicato il “bando residenzialità minori” per cui è appena scaduto il termine per presentare una manifestazione di interesse. Molte realtà hanno dichiarato forfait: Fondazione Archè, Cooperativa Arimo, Asilo Mariuccia, Casa dell’Accoglienza, Ceas, Centro Accoglienza Ambrosiano Sarepta, Centro Mamma Rita, Cooperativa Comin, Consorzio Solidarietà e Futuro (Centro Ambrosiano di Aiuto alla Vita e Pio istituto di Maternità), Cooperativa Diapason, Cooperativa Farsi Prossimo, Cooperativa il Portico, Cooperativa La Grande Casa. Hanno firmato la presa di posizione CDO, Federsolidarietà, LegaCoop Sociali, Uneba, CNCA Lombardia, membri del direttivo del Forum Terzo Settore di Milano.

Le ragioni di questa scelta, sta nei numeri: le tariffe proposte dal Comune di Milano infatti non permettono di sostenere gli standard previsti dalle normative di Regione Lombardia per la gestione del servizio e, quindi, di rispondere in maniera adeguata ai bisogni materiali e di crescita dei minorenni e delle famiglie accolte. «Si tratta di tariffe inferiori di almeno il 20% rispetto a quelle degli altri Comuni della Città Metropolitana e delle altre provincie lombarde», denuncia Paolo Cattaneo, presidente del CNCA Lombardia. In alcuni casi le rette previste sono addirittura più basse rispetto a quelle oggi in vigore, risalenti al bando del 2018. «In una stagione in cui sta via via emergendo la necessità di dare dignità alle professioni sociali e socio sanitarie ed è sempre più difficile trovare educatori, infermieri, medici disposti a lavorare nelle nostre strutture, e in cui il costo della vita parametrato agli stipendi di tali professioni risulta insostenibile generando la fuga dal sociale di decine di colleghi, il colpo di grazia viene dal Comune di Milano che continua a proporre convenzionamenti a tariffe insostenibili», sottolinea Cattaneo. «Pur riconoscendo lo sforzo fatto nell’ultimo anno dal Comune, che ha consentito di rivedere anche sensibilmente le tariffe di alcune unità di offerta», prosegue Cattaneo, «oggi si corre il rischio che l’esito immediato di questo nuovo accreditamento sia il mancato convenzionamento di circa 20 storiche realtà, sottraendo così di fatto più di 590 posti di accoglienza. L'esito a lungo termine è che tutto ciò ricadrà sulla qualità del lavoro rivolto a famiglie e minorenni in situazione di vulnerabilità e tutela, proprio quelli che avrebbero più bisogno di cura, attenzione, protezione e professionalità per realizzare il proprio progetto di vita».

«Siamo in venti, del CNCA ma non solo. Abbiamo firmato uno ad uno per metterci la faccia, come nostra abitudine, ma anche per dare lo spessore della larga adesione a questa azione», spiega Liviana Marelli, presidente della cooperativa sociale La Grande Casa. «Siamo stremati e arrabbiati, tentiamo da mesi di ragionare con il Comune e l’esito è il peggioramento dell’attuale bando? È assurdo». Già, perché la convenzione in essere – che scadrà a giugno – prevede che per le comunità genitore-figlio la retta sia di 83 euro al giorno per una mamma con figlio. Adesso invece, con il nuovo bando, si scende a 78 per le comunità di Milano e a 72 per quelle fuori Milano. Per le comunità per minori invece, c’è l’aspetto positivo di uniformare le rette, ma arrivando a 93 euro a Milano e a 87 euro fuori Milano. «Innanzitutto le cifre sono inferiori a quelle necessarie per l’erogazione di un servizio di qualità. Lo dice lo stesso Stato, che per i minori ucraini ha stanziato 100 euro al giorno pro capite. Lo stesso Comune di Milano, prima ammette che la retta equa sia di 104 euro al giorno e poi fa un bando con queste cifre? E soprattutto, c'è questa logica di Milano e fuori Milano, con una retta più bassa di dieci euro al giorno. È intollerabile».

Su cosa si basa la distinzione? Sul fatto che fuori Milano l’affitto costa meno? Come si fa a dire che hai meno costi? I costi sono quelli del contratto di lavoro, che sono gli stessi a Milano e fuori Milano e quelli per garantire gli standard previsti. Banalmente poi, dall’hinterland verosimilmente si hanno più costi per spostarsi a Milano per una visita, l’incontro con i servizi… «Io il minor costo non lo vedo. E soprattutto non si può pensare che l’ente gestore sostenga a proprie spese la qualità dell’accoglienza e del servizio. Proporre queste cifre significa avere rette che non sostengono la qualità del lavoro. Non si può più continuare a ragionare sull’abbassamento dei costi del sociale e a proporre bandi involutivi a fronte delle giuste esigenze di rinnovi contrattuali e di aumenti stipendiali. È qualcosa di impraticabile, letteralmente», afferma Marelli.

Che succede adesso? «Ci aspettiamo il Comune rifletta e ci ripensi. La nostra non è una lamentela ma la dimostrazione della inapplicabilità di queste tariffe nuove. Ci aspettiamo che si investano più risorse, ci rendiamo conto che c’è un disinvestimento nazionale, una catena di responsabilità, ma non è pensabile lasciare l’ente gestore con il cerino in mano», si accalora Liviana Marelli. «Ci aspettiamo che la politica capisca, che il sindacato comprenda che la giusta remunerazione passa dal giusto riconoscimento anche economico del lavoro scoiale. Ci aspettiamo di svegliare un po’ chi dovrebbe essere dalla nostra parte», conclude Marelli.


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