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Cooperazione & Relazioni internazionali

Nonviolenza e Solidarietà: legittimità e autorevolezza di una scelta necessaria

Mentre l’Europa si riarma in una strategia di difesa, non riconoscendo al dialogo e all’azione delle organizzazioni civili quella dignità che spetta loro per costruire un mondo più giusto e pacifico, lo ‘sciame’ solidale e non violento sta comunque costruendo i ponti di dialogo distrutti dal conflitto con un incessante lavoro di tessitura di relazioni, utilizzando i fili della coerenza e della fiducia. Perchè la Pace non è questione da affrontare dopo la guerra, ma subito

di Silvia Stilli

Dal mese di marzo scorso il dibattito nei media italiani sulla guerra in atto in Ucraina a causa dell’attacco da parte della Russia è stato impostato in maniera sbagliata, portando di fatto alla creazione di schieramenti contrapposti, come se ci si trovasse noi stessi in un campo di battaglia. Credo convintamente che questo approccio abbia generato nella maggior parte delle persone una sensazione di disagio intellettuale, anche talvolta un certo pudore nel dire quali fossero i propri pensieri, gli interrogativi e i dubbi nei momenti di maggiore emotività, di fronte alle immagini di distruzione, violenza e massacri veri e propri.

Questo stato di disagio non ha risparmiato neppure molti di noi, ahimè, che abbiamo vissuto e viviamo in diretta con l’azione umanitaria i conflitti del passato e quelli presenti che proliferano nel mondo: quasi 40 più o meno dichiarati, ma circa il doppio in realtà, conteggiando gli scontri interni nei Paesi. Ci è stato chiesto di professare la fede della giusta risposta armata, perché pare che la diplomazia istituzionale a livello mondiale ritenga che solo questa sia la modalità legittima di esprimere vicinanza alla popolazione martoriata in Ucraina. Così, dallo scorso febbraio la politica estera dell’Europa, anzi, quella della somma dei suoi Stati aderenti, dato che non ne ha una unitaria, ha ragionato su quante e quali dotazioni di armi si dovessero fornire al Governo di Kiev. Di conseguenza, si va cercando all’interno della NATO un’alleanza (militare, appunto) per rispondere all’attacco ingiustificabile della Russia. Si è consumata in questo modo, come fosse ormai inevitabile e scontata, la fine della diplomazia internazionale, recitando la litania terribile del ‘de profundis’ delle Nazioni Unite, nate per affermare la Pace dopo l’ultimo conflitto mondiale.

Ecco che la Pace e la Nonviolenza divengono concetti superati: anzi no, mi sbaglio, la Pace si trasforma da valore universale a prospettiva auspicata per il futuro dell’intero pianeta, ma solo e sempre perseguibile attraverso lo strumento dello soluzione militare. Sia chiaro, per quanto mi riguarda non mi permetto di giudicare e condannare un popolo che difende la propria libertà contro la dittatura e l’invasore anche armandosi e chiedendo aiuto agli altri Paesi: mi sento con orgoglio di nome e di fatto “nipote” di chi ha partecipato alla stagione della Resistenza per la liberazione dell’Italia dal fascismo e dall’esercito tedesco di invasione, difendendo il diritto all’autodeterminazione e la democrazia come valori universali. Però dobbiamo valutare quanto sia l’impegno effettivo della comunità internazionale per far cessare con la diplomazia questa guerra distruttiva. Per adesso è lasciato soprattutto alla fornitura di armamenti al Governo di Kiev e alle sanzioni alla Russia, queste ultime con approccio non proprio coerente.

Torno al punto inziale di come si è articolato il dibattito sul conflitto in talk show e sulla carta stampata o nei giornali online, per non parlar dei social. La decisione, per me scellerata, di porre al centro esclusivamente la conta di chi fosse per l’invio delle armi a Kiev e chi contro, sfruttando l’emotività del momento, non ha reso giustizia della varietà dei ragionamenti e ha silenziato di volta in volta i posizionamenti più articolati emersi, che hanno avuto poco spazio nei dibattiti pubblici. Oggi vi è un dato oggettivo che orgogliosamente sottolineo, purtroppo ancora una volta snobbato dalla maggior parte della categoria dei media, ma che non si potrà silenziare all’infinito, dato che è “materiale resistente”. La Solidarietà concreta le organizzazioni sociali insieme alle loro reti, attiviste e attivisti per i diritti e la pace, tante cittadine e cittadini di questo Paese, spesso in silenzio e comunque senza tanto clamore, la praticano da marzo scorso.

Senza finanziamenti e sostegno operativo per lungo tempo da parte della Farnesina (il primo bando emergenza è stato lanciato pochi giorni fa per 13 milioni di euro) o della Protezione Civile, così tanto ‘ingaggiata’ per questa crisi, le organizzazioni non governative italiane hanno da subito investito risorse umane, materiali e finanziarie per stare vicino alla popolazione civile ucraina in fuga dalla guerra in accoglienza nei Paesi vicini e anche direttamente nelle varie aree e città colpite. Oggi siamo ben più di una quindicina di organizzazioni ormai presenti in Ucraina e ai confini che dialogano e collaborano con le Agenzie ONU dell’umanitario, ma soprattutto che convogliano contributi di singole persone per portare aiuti concreti (tonnellate) e sostenere le fasce più fragili nell’emergenza. In Italia continua l’impegno per l’accoglienza, iniziata nelle zone di guerra laddove tante sigle sociali hanno contributo all’evacuazione dei civili e adesso assistono chi si trova negli alberghi e si attivano per la seconda accoglienza e i programmi di inclusione sociale. Volontariato e professionalità si coniugano in un ampio mondo solidale che non lascia nella solitudine chi è stato salvato da bombe e violenza. Anche in questo caso dell’accoglienza in Italia, l’azione descritta non vede ancora il sostegno che le istituzioni avevano annunciato: l’avviso pubblico per l’accoglienza diffusa gestito dalla Protezione Civile è bloccato, a causa delle procedure farraginose che lo rendono inefficace in termini di tempistica e forse anche di gestione.

La Solidarietà come pratica richiede continuità, non ammette interruzioni o tempi morti, non può attendere le lungaggini della burocrazia e i permessi per varcare un confine in ‘assoluta sicurezza’. Ci vuole coraggio e determinazione e le carovane e i gruppi di persone nell’entrare nel Paese in conflitto con gli aiuti e nell’evacuare donne, bambini, anziani, disabili li hanno dimostrati. Ma non si è trattato esclusivamente di Solidarietà. Sento l’esigenza di ringraziare pubblicamente chi insieme all’aiuto ha voluto portare la testimonianza di una volontà ferma di dialogare con la gente, le istituzioni, le realtà religiose, le organizzazioni e i gruppi informali di giovani, anche obiettori di coscienza o non convinti della risposta armata, per esprimere vicinanza e cercare quegli spazi di azione globale volti al dialogo.

E per spingere insieme l’Europa e il mondo nella strada della diplomazia con una determinazione che non compare. Non sono fatti isolati le carovane umanitarie; non è cosa da poco la presenza continuativa delle volontarie e dei volontari (penso all’enorme lavoro dalla pim’ora dei Caschi Bianchi di Operazione Colomba); non si può ignorare il reiterarsi delle iniziative realizzate da #StopTheWarNow tra Leopoli, Kiev, Odessa e Mykolaev e in agenda per i prossimi mesi; sarà visibile la presenza del gran numero di volontarie e dei volontari di MEAN dall’11 luglio a Kiev, forse in contemporanea con la missione imminente di Un Ponte Per sempre nella capitale.

Mentre l’Europa si riarma in una strategia di difesa, non riconoscendo al dialogo e all’azione delle organizzazioni civili quella dignità che spetta loro per costruire un mondo più giusto e pacifico, lo ‘sciame’ solidale e non violento sta comunque costruendo i ponti di dialogo distrutti dal conflitto con un incessante lavoro di tessitura di relazioni, utilizzando i fili della coerenza e della fiducia. Sono certa che sarà assai difficile sminuire ancora una volta l’autorevolezza e la legittimità di questa diplomazia civile che ha solide basi nell’azione nonviolenta e solidale.

*Portavoce AOI


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