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Sintomi di tipo autistico e Sindromi Autistiche. Quali differenze

In vista del convegno “Aut o Non Aut(ismo)?” in programma venerdì 23 settembre a Milano e in Fad, il professor Roberto Carlo Russo e la dottoressa Susanna Russo, neuropsichiatri infantili, propongono una riflessione su uno dei temi che saranno al centro dell'evento. In particolare si tratta di un approfondimento su diagnosi e necessità di evitare “l’etichetta” autistica a favore di una valutazione globale e complessiva dei bambini tra i 12 e i 36 mesi

di Roberto Carlo Russo e Susanna Russo

Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a un aumento considerevole delle diagnosi di autismo legate certamente a una maggiore richiesta, a maggiori visite nei primi tre anni, ma anche sostenute dalla tendenza a interpretare in modo superficiale il comportamento del bambino non mettendolo in relazione al rapporto con le figure genitoriali e considerando poco il ruolo degli eventi stressanti. L’aumento delle diagnosi si è verificato anche per l’uso spesso esclusivo dei test escludendo l’osservazione del bambino nel suo naturale ambiente di vita, causando errori diagnostici.

Elsanbbag et altri (2015) in diverse ricerche che hanno impegnato 26 nazioni e complessivamente circa 20 milioni di popolazione infantile hanno evidenziato una variabile da 0,7/10.000 a 189/10.000 (media 62/10.000). Kleinman ed altri (2008) hanno sostenuto che è molto difficile distinguere i bambini con la sindrome autistica dai bambini con un grave ritardo evolutivo in età precoce; è anche possibile che le diagnosi iniziali fossero accurate e che per l’intervento o per le caratteristiche specifiche dei bambini, le manifestazioni si siano spostate dallo spettro autistico a un altro disturbo dello sviluppo (ritardo del linguaggio, disturbo dello sviluppo globale, disturbi specifici) o verso nessuna diagnosi per la risoluzione dei sintomi.

Si è così facilmente arrivati all’etichetta autistica (I bambini con l’etichetta, Zappella 2021), che dal momento della prima diagnosi il bambino rischia di portarsi appresso fino alle scuole medie e superiori per la tendenza a non modificare la diagnosi anche quando i sintomi autistici o presunti tali non sono più presenti. In ogni caso si pensi quali sofferenze implichi per il bambino e per i genitori una diagnosi errata o una diagnosi superata. Oltre al danno psicologico va considerato il notevole impegno economico e sociale delle diagnosi errate.

Il dato importante e significativo messo in risalto dal Prof. Roberto Carlo Russo è che nell’età 12-36 mesi uno stress psico-fisico di varia origine (ricoveri prolungati, cambio della struttura familiare, disfunzioni di alcune competenze neurologiche da cause varie, carenze affettive o inadeguati metodi educativi) determina nel bambino una modalità specifica, caratteristica di questa fase evolutiva (in particolare quella di 12-24 mesi caratterizzata dall’affermazione del sé), sostenuta da uno stato confusivo e di sconcerto per l’incapacità di reperire una via di sviluppo della propria carica evolutiva; ne consegue la chiusura (completa o parziale) al rapporto di comunicazione con l’altro e la possibile sua sostituzione con gli oggetti e le auto-stimolazioni.

Nel caso di un ambiente familiare che per vari motivi non ha preparato il bambino adeguatamente all’inserimento in comunità, aumenta il divario tra la famiglia e la scuola con il risultato nel bambino di comportamenti inadeguati nella comunità: atteggiamenti oppositivo-reattivi o isolamenti e chiusure alla comunicazione tali da far sospettare sintomi autistici.

Nel caso che il problema evolutivo dipenda da carenze neurofunzionali per patologie organiche o genetiche, i modelli di riferimento genitoriali hanno la necessità di essere aiutati a comprendere le difficoltà, dare gli stimoli appropriati e sostenere la spinta evolutiva con le opportune strategie.

In ambedue i casi, oltre all’intervento specifico al bambino sarà essenziale l’aiuto di sostegno psicologico, di stimolo evolutivo ed educativo individualizzato da parte di una figura (psicologo o neuropsichiatra infantile) con competenze specifiche per tale supporto.

L’intervento precoce di sostegno in ambito familiare e sociale, la terapia psicomotoria, la frequenza dei controlli che tenga conto dell’adattamento al variare del comportamento e delle situazioni, forniscono le basi per una corretta valutazione del processo evolutivo e favoriscono il cambiamento (in rapporto all’entità delle cause) anche verso una completa risoluzione se l’intervento è precoce e competente. Frequentemente se gli effetti della genesi non sono gravi e non ancora strutturati, può essere risolutivo solo il supporto parentale e/o sociale con il risparmio di tutti gli effetti negativi dell’etichetta, della sofferenza familiare e della non sottovalutabile spesa economica. Diversamente l’evoluzione si avvia verso la strutturazione autistica con tutti gli oneri che ne consegue.

L’impostazione con l’ottica globale del problema permette di considerare che a volte il comportamento del bambino rappresenta solo il sintomo di una situazione di malessere del nucleo familiare per l’incapacità di dare gli opportuni stimoli d’indirizzo evolutivo e di compenso per un’anomala situazione; in questi casi la disponibilità parentale ad affrontare la genesi delle dinamiche e a modificare i codici educativi ha permesso di ottenere ottimi risultati (Russo, 1997, 2007, 2018).

Di questo si dibatterà anche all’interno di un convegno: AUT o NON AUT(ismo)? in programma per venerdì 23 settembre a Milano e in FAD.

Info e iscrizioni contattando la segreteria Intervision ai recapiti tel: 02.316790 – mail: formazione@intervisionitalia.com

www.intervisionitalia.com


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